BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Il Novellino

ca. 1290

 

Il Novellino

 

51 – 60

Azioni illecite

 

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LI

Qui conta d'una Guasca come si

richiamò allo re di Cipri.

 

Era una Guasca in Cipri; un dì le fu fatta una grande onta, tale che non la potea sofferire. Mossesi et andonne al re di Cipri e disse:

«Messer, a voi sono già fatti diecimilia disinori, et a me n'è fatto pur uno: priegovi che voi, che n'avete tanti sofferti, m'insegniate sofferire il mio uno».

Lo re si vergognò molto e cominciò a vendicare li suoi e a non volere più sofferire.

 

 

LII

D'una campana che s'ordinò

al tempo del re Giovanni.

 

Al tempo del re Giovanni d'Acri fue in Acri ordinata una campana che, chiunque ricevea un gran torto, sì l'andava a sonare. Il re ragunava i savi a ciò ordinati, acciò che ragione fosse fatta.

Avenne, ché·lla campana era molto tempo durata, che la fune per la piova era venuta meno: sicché una vitalba v'era legata.

Or avenne che uno cavaliere d'Acri avea uno suo nobile destriere lo quale era invecchiato sì, che sua bontà era tutta venuta meno: sicché il cavaliere, per non darli mangiare, il lasciava andar per la terra. Lo cavallo, per la fame andando, trovò quella vitalba ch'era posta per fune; agiunse con la bocca aquella vitalba per rodegarla. Tirando, la campana sonò. Li giudici si adunaro e videro la petizione del cavallo, che parea che domandasse ragione. Giudicaro che 'l cavaliere, cui elli avea servito da giovane, il pascesse da vecchio. Il re il costrinse e comandò, sotto gran pena.

 

 

LIII

Qui conta d'una grazia che lo 'mperadore

fece a un suo barone.

 

Lo 'mperadore donò una grazia a un suo barone: che qualunque uomo passasse per sua terra, che·lli togliesse d'ogni magagna evidente uno danaio di passaggio. Il barone mise alla porta un suo passaggere a ricogliere il passaggio. Un giorno avenne che uno ch'avea pure uno piede venne alla porta.

Il pedaggere li domandò un danaio; quelli si contese, azzuffandosi con lui. Il pedaggere il prese; que' difendendosi trasse fuori un suo moncolino, c'avea meno l'una mano. Allora il pedaggere il vide; disse:

«Tu me ne darai due: l'uno per la mano e l'altro per lo piede».

Allora furono alla zuffa: il capello li andò di capo: quelli avea meno l'uno occhio. Disse il pedaggere:

«Tu mi ne darai tre».

Pigliarsi a' capelli: lo passagger li puose mano in capo: quelli era tignoso. Disse lo passagier:

«Tu mi ne darai or quattro»; e convenne, quegli che sanza lite potea passare per uno, pagasse quattro.

 

 

LIV

Qui conta come il piovano

Porcellino fu accusato.

 

Uno piovano, il quale avea nome il piovano Porcellino, al tempo del vescovo Mangiadore fu acusato dinanzi dal vescovo ch'elli guidava male la pieve per cagione di femine. Il vescovo, facendo sopra lui inquisizione, trovollo molto colpevole; e, stando in vescovado attendendo d'essere l'altro dì disposto, la famiglia, volendoli bene, l'insegnaro campare: nascoserlo la notte sotto il letto del vescovo.

E in quella notte il vescovo v'avea fatto venire una sua amica; et essendo entro il letto, volendola toccare, l'amica non si lasciava, dicendo:

«Molte impromesse m'avete fatte, e non me ne attenete neente».

Il vescovo rispose:

«Vita mia, io lo ti prometto e giuro».

«Non» disse quella: «io voglio li danari in mano»; e 'l vescovo, levandosi del letto, andava pe' danari, per donarli all'amica.

Il piovano uscì di sotto il letto e disse:

«Messere, a cotesto colgono ell'e me. Or chi potrebbe fare altro?»

Il vescovo si vergognò e perdonogli, ma molte minacce li fece dinanzi alli altri cherici.

 

 

LV

Qui conta una novella d'uno uomo

di corte ch'avea nome Marco.

 

Marco Lombardo, uomo di corto savissimo più che niuno di suo mistiere fosse mai, fu un dì domandato da un povero orrevole uomo e leggiadro, il quale prendea danari in sagreto da buona gente, ma non prendea robe. Era a guisa di morditore, et avea nome Pagolino; fece a Marco una così fatta questione, credendo che Marco non vi potesse rispondere:

«Marco» disse elli, «tu se' lo più savio uomo di tutta Italia, e se' povero e disdegni lo chiedere. Perché non ti provedestu sì che tu fossi sì ricco, che non ti bisognasse disdegnare di chiedere?»

E Marco si volse d'intorno e poi parlò e disse così:

«Altri non vede ora noi e non ci ode. Or tu com'hai fatto?»

E 'l morditore rispuose:

«Ho fatto sì, ch'io sono povero».

E Marco disse:

«Tiello credenza tu a me, et io a te».

 

 

LVI

Qui conta come uno della Marca

andò a studiare a Bologna.

 

Uno della Marca andoe a studiare a Bologna. Vennerli meno le spese. Piangea. Un altro il vide e seppe perché piangea. Disseli così:

«Io ti fornirò lo studio, e tu mi prometterai che tu mi dara' mille livre al primo piato che tue vincerai».

Lo scolaio studiò e tornò in sua terra. Quelli li tenne dietro per lo prezzo.

Lo scolaio, per paura di dare il prezzo, si stava e non avogadava, e così avea perduto l'uno e l'altro: l'uno il senno e l'altro i danari.

Or che pensò quelli de' danari? Richiamossi di lui e dielli un libello de duemilia livre, e disseli così:

«O vuogli perdere o vuogli vincere. Istue vinci, tu mi pagherai la promessione; e stu perdi, tu m'adimpierai il libello».

Allora lo scolaio il pagò e non volle piatire con lui.

 

 

LVII

Qui conta di madonna

Agnesina di Bologna.

 

Madonna Agnesina da Bologna, istando un giorno in una corte da sollazzo (et era donna dell'altre, intra le quali aveva una sposa novella, alla quale voleano fare dire com'ella fece la prima notte), cominciossi monna Agnesina alle più sfacciate, e domandò prima loro. L'una dicea:

«Io il presi ad ambo mani»; e l'altra dicea in altro sfacciato modo.

Domandò la sposa novella.

«E tu come facesti?»

E quella disse molto vergognosamente, cogli occhi chinati:

«Io il presi pur colle due dita».

Allora monna Agnesina rispuose e disse:

«Deh, cagiù ti foss'ello!»

 

 

LVIII

Qui conta di messer Beriuolo

cavaliere di corte.

 

Uno cavaliere di corte, ch'ebbe nome messere Beriuolo, era in Genova. Venne a rampogne con uno donzello. Quello donzello li fece la fica quasi infino all'occhio, dicendoli villania.

Messere Branca Doria il vidde: seppeli reo; venne aquello cavaliere di corte e confortollo che rispondesse e facesse la fica a colui che la facea lui.

«Maidio» disse quello «non farò io: ch'io non li farei una delle mie per cento delle sue».

 

 

LIX

Qui conta d'uno gran gentile uomo che

lo 'mperadore fece impendere.

 

Federigo imperadore fece impendere uno giorno un uomo di gran lignaggio per certo misfatto; e, per fare più rilucere la giustizia, sì 'l facea guardare ad un gran cavaliere con comandamento grande di gran pena che no·llo lasciasse spiccare, sì che, non guardando bene questo cavaliere, lo 'mpiccato fu portato via; sì che, quando quelli se n'avide, sì se consigliò per sé medesimo, per paura di perdere la testa. Et istando così pensoso, in quella notte si mosse ad andare ad una badia ch'era ivi presso, per sapere se potesse trovare alcuno corpo novellamente morto e potesselo trarre del sepolcro e metterlo alle forche in colui scambio.

Giunto alla badia la notte medexima, sì vi trovò una donna in pianto, scapigliata e scinta, forte lamentando, la quale era molto sconsolata e piangea uno suo caro marito lo quale era morto lo giorno. Allora il cavaliere dolcemente le parlò e disse:

«Madonna, che modo è questo? E perché 'l fate?»

La donna li rispuose:

«Per ciò ch'io tanto l'amava, ch'io mai non voglio essere più consolata, ma in pianto voglio finire li miei dì».

Allora il cavaliere le disse:

«Madonna, che savere è questo? Volete voi morire qui di dolore, che per pianto né per lagrime non si può recare a vita il corpo morto? Onde, che mattezza è quella che voi fate? Ma fate così: prendete me a marito, che non ho donna, e campatemi la persona: però ch'io ne sono in periglio, e non so là dov'io mi nasconda: ché io per comandamento del mio signore guardava un cavaliere impenduto per la gola; li uomini di suo lignaggio il m'hanno tolto; insegnatemi campare, ché potete, et io sarò vostro marito, e terrovi onorevolmente».

Allora la donna, udendo questo, innamorò di questo cavaliere e disse:

«Io farò ciò che voi mi comanderete, tant'è l'amore ch'io vi porto. Prendiamo questo mio marito, e traiallo fuori della sepultura et impicchiallo in luogo di quello che v'è tolto»; e lasciò suo pianto, et atò trarre il marito del sepulcro, et atollo impendere per la gola così morto.

E 'l cavaliere disse:

«Madonna, elli avea meno un dente della bocca: ond'i' ho paura, s'alcuno ci rivenisse per rivederlo, ch'io non ne ricevesse grande disnore, et ancora la morte».

Quella, udendo questo, sì li ruppe un dente dinanzi; e, s'altro vi fosse bisognato a quel fatto, sì l'avrebbe fatto.

Allora il cavaliere, veggendo quello che la donna ne avea fatto di suo marito, disse:

«Madonna, sì come poco v'è caluto di costui, che mostravate di tanto amarlo, così vi carebbe vie meno di me».

Allora si partì da·llei, et andossi per li fatti suoi; et ella rimase co·lla vergogna.

 

 

LX

Qui conta come Carlo Magno

amò per amore.

 

Carlo, nobile re di Cicilia e di Gerusalem, quando era conte d'Angiò sì amò per amore la bella contessa di Ceti, la quale amava medesimamente il conte d'Universa.

In quel tempo, il re di Francia avea difeso sotto pena del cuore e dell'avere che neuno atorneasse. Il conte d'Angiò, volendo provare qual meglio valesse d'arme tra·llui e 'l conte d'Universa, sì si provide, e fu con grandissime pregherie a messer Alardo di Valleri e manifestolli dove elli amava e cui, e com'elli era appensato al postutto di provare in campo col conte d'Universa, pregandolo per amore che accattasse parola dal re di guisa che un solo torneamento fedisse con sua licenzia. Quelli domandando cagione, il conte d'Angiò l'insegnò in questa guisa:

«Il re si è quasi beghino, e per la grande bontade di vostra persona elli spera di prendere e di fare prendere a voi drappi di religione per avere la vostra compagnia. Onde, in questa domanda, sia per voi chesto in grazia che uno solo torneamento lasci ferire, e voi farete quanto che a·llui piacerà».

E messere Alardo rispuose:

«Or mi di', conte: e perderò io la compagnia de' cavalieri per uno torneamento?»

E 'l conte d'Angiò rispuose:

«Io v'imprometto lealmente ch'io ve ne deliberrò»; e sì fece elli, in tal maniera come io vi conterò.

Messer Alardo se n'andò al re di Francia e disseli:

«Messere, quand'io presi arme il giorno del vostro coronamento, in quel giorno grande quantitade de' migliori cavalieri del mondo portarono arme: onde io per amore di voi volendo in tutto lasciare il mondo e vestirmi di drappi di religione, piaccia a voi di donarmi una nobile grazia, cioè che un torniamento feggia, là ove s'armi la nobiltà de' cavalieri, sì che·lle mie armi si lascino in così grande festa com'elle si presero».

Allora il re l'otroioe. Ordinossi un torniamento: dall'una parte fu il conte d'Universa e dall'altra il conte d'Angioe. La reina di Francia e l'altre, contesse e dame e damigelle di gran paraggio, fuoro alle logge; e la contessa di Ceti vi fue. In quel giorno portaro arme li fiori de' cavalieri e da una parte e dall'altra.

Dopo molto torneare, il conte d'Angioe e 'l conte d'Universa fecero diliverare l'aringo e l'uno incontra l'altro si mosse, alla forza de' poderosi destrieri, con grosse aste in mano.

Or avenne che nel mezzo dell'aringo il destriere del conte d'Universa cadde con tutto lo conte in un monte: onde le dame discesero delle logge e portarlone a braccia molto soavemente; e la contessa di Ceti vi fue. Il conte d'Angiò si biastemava forte dicendo:

«Lasso! perché non cadde mio cavallo come quello del conte d'Universa, che la contessa mi fosse tanto di presso quanto fu a·llui!»

Partito il torneamento, il conte d'Angiò fu alla reina di Francia e chiesele mercede ch'ella, per amore de' nobili cavalieri di Francia, dovesse mostrare cruccio al re, e poi nella pace li adomandasse un dono, e 'l dono fosse di questa maniera: che al re dovesse piacere che ' giovani cavalieri di Francia non perdessero sì nobile compagnia com'era quella di messere Alardo di Valleri.

La reina così fece tutto: fece cruccio col re e nella pace li adomandoe lo dono, e lo re lel promise. Allora fu diliberato messer Alardo di ciò ch'avea promesso, e rimase co·lle oneraveli armi colli altri prodi cavalieri del reame di Francia, torneando e facendo d'arme, sì come la rinomea per lo mondo corre, sovente, di grande bontade e d'oltramaravigliose prodezze.