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B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A

 

 

 

 
Michelangelo Buonarroti
Rime
 


 






 




R i m e  1  -  9 9

_______________



1

Molti anni fassi qual felice, in una
brevissima ora si lamenta e dole;
o per famosa o per antica prole
altri s'inlustra, e 'n un momento imbruna.

5
Cosa mobil non è che sotto el sole
non vinca morte e cangi la fortuna.


2

Sol io ardendo all'ombra mi rimango,
quand'el sol de' suo razzi el mondo spoglia:
ogni altro per piacere, e io per doglia,
prostrato in terra, mi lamento e piango.


3

Grato e felice, a' tuo feroci mali
ostare e vincer mi fu già concesso;
or lasso, il petto vo bagnando spesso
contr'a mie voglia, e so quante tu vali.

5
E se i dannosi e preteriti strali
al segno del mie cor non fur ma' presso,
or puoi a colpi vendicar te stesso
di que' begli occhi, e fien tutti mortali.

Da quanti lacci ancor, da quante rete
10
vago uccelletto per maligna sorte
campa molt'anni per morir po' peggio,

tal di me, donne, Amor, come vedete,
per darmi in questa età più crudel morte,
campato m'ha gran tempo, come veggio.


4

Quanto si gode, lieta e ben contesta
di fior sopra ' crin d'or d'una, grillanda,
che l'altro inanzi l'uno all'altro manda,
come ch'il primo sia a baciar la testa!

5
Contenta è tutto il giorno quella vesta
che serra 'l petto e poi par che si spanda,
e quel c'oro filato si domanda
le guanci' e 'l collo di toccar non resta.

Ma più lieto quel nastro par che goda,
10
dorato in punta, con sì fatte tempre
che preme e tocca il petto ch'egli allaccia.

E la schietta cintura che s'annoda
mi par dir seco: qui vo' stringer sempre.

Or che farebbon dunche le mie braccia?


5

I' ho già fatto un gozzo in questo stento,
coma fa l'acqua a' gatti in Lombardia
o ver d'altro paese che si sia,
c'a forza 'l ventre appicca sotto 'l mento.

5
La barba al cielo, e la memoria sento
in sullo scrigno, e 'l petto fo d'arpia,
e 'l pennel sopra 'l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.

E' lombi entrati mi son nella peccia,
10
e fo del cul per contrapeso groppa,
e ' passi senza gli occhi muovo invano.

Dinanzi mi s'allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com'arco sorïano.

15
Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra' per cerbottana torta.

La mia pittura morta
difendi orma', Giovanni, e 'l mio onore,
20
non sendo in loco bon, né io pittore.


6

Signor, se vero è alcun proverbio antico,
questo è ben quel, che chi può mai non vuole.

Tu hai creduto a favole e parole
e premiato chi è del ver nimico.

5
I' sono e fui già tuo buon servo antico,
a te son dato come e' raggi al sole,
e del mie tempo non ti incresce o dole,
e men ti piaccio se più m'affatico.

Già sperai ascender per la tua altezza,
10
e 'l giusto peso e la potente spada
fussi al bisogno, e non la voce d'ecco.

Ma 'l cielo è quel c'ogni virtù disprezza
locarla al mondo, se vuol c'altri vada
a prender frutto d'un arbor ch'è secco.


7

Chi è quel che per forza a te mi mena,
oilmè, oilmè, oilmè,
legato e stretto, e son libero e sciolto?

Se tu incateni altrui senza catena,
5
e senza mane o braccia m'hai raccolto,
chi mi difenderà dal tuo bel volto?


8

Come può esser ch'io non sia più mio?

O Dio, o Dio, o Dio,
chi m'ha tolto a me stesso,
c'a me fusse più presso
5
o più di me potessi che poss'io?

O Dio, o Dio, o Dio,
come mi passa el core
chi non par che mi tocchi?

Che cosa è questo, Amore,
10
c'al core entra per gli occhi,
per poco spazio dentro par che cresca?

E s'avvien che trabocchi?


9

Colui che 'l tutto fe', fece ogni parte
e poi del tutto la più bella scelse,
per mostrar quivi le suo cose eccelse,
com'ha fatto or colla sua divin'arte.


10

Qua si fa elmi di calici e spade
e 'l sangue di Cristo si vend'a giumelle,
e croce e spine son lance e rotelle,
e pur da Cristo pazïenzia cade.

5
Ma non ci arrivi più 'n queste contrade,
ché n'andre' 'l sangue suo 'nsin alle stelle,
poscia c'a Roma gli vendon la pelle,
e ècci d'ogni ben chiuso le strade.

S'i' ebbi ma' voglia a perder tesauro,
10
per ciò che qua opra da me è partita,
può quel nel manto che Medusa in Mauro;

ma se alto in cielo è povertà gradita,
qual fia di nostro stato il gran restauro,
s'un altro segno ammorza l'altra vita?


11

Quanto sare' men doglia il morir presto
che provar mille morte ad ora ad ora,
da ch'in cambio d'amarla, vuol ch'io mora!

Ahi, che doglia 'nfinita
5
sente 'l mio cor, quando li torna a mente
che quella ch'io tant'amo amor non sente!

Come resterò 'n vita?

Anzi mi dice, per più doglia darmi,
che se stessa non ama: e vero parmi.

10
Come posso sperar di me le dolga,
se se stessa non ama? Ahi trista sorte!

Che fia pur ver, ch'io ne trarrò la morte?


12

Com'arò dunche ardire
senza vo' ma', mio ben, tenermi 'n vita,
s'io non posso al partir chiedervi aita?

Que' singulti e que' pianti e que' sospiri
5
che 'l miser core voi accompagnorno,
madonna, duramente dimostrorno
la mia propinqua morte e ' miei martiri.

Ma se ver è che per assenzia mai
mia fedel servitù vadia in oblio,
10
il cor lasso con voi, che non è mio.


13

La fama tiene gli epitaffi a giacere; non va né inanzi né
indietro, perché son morti, e el loro operare è fermo.


14

El Dì e la Notte parlano, e dicono:
Noi abbiàno col nostro veloce corso condotto
alla morte el duca Giuliano; è ben giusto
che e' ne facci vendetta come fa.

5
E la vendetta è questa: che avendo noi
morto lui, lui così morto ha tolta la luce a noi
e cogli occhi chiusi ha serrato e' nostri,
che non risplendon più sopra la terra.

Che arrebbe di noi dunche fatto, mentre vivea?


15

Di te me veggo e di lontan mi chiamo
per appressarm'al ciel dond'io derivo,
e per le spezie all'esca a te arrivo,
come pesce per fil tirato all'amo.

5
E perc'un cor fra dua fa picciol segno
di vita, a te s'è dato ambo le parti;
ond'io resto, tu 'l sai, quant'io son, poco.

E perc'un'alma infra duo va 'l più degno,
m'è forza, s'i' voglio esser, sempre amarti;
10
ch'i' son sol legno, e tu se' legno e foco.


16

D'un oggetto leggiadro e pellegrino,
d'un fonte di pietà nasce 'l mie male.


17

Crudele, acerbo e dispietato core,
vestito di dolcezza e d'amar pieno,
tuo fede al tempo nasce, e dura meno
c'al dolce verno non fa ciascun fiore.

5
Muovesi 'l tempo, e compartisce l'ore
al viver nostr'un pessimo veneno;
lu' come falce e no' siàn come fieno,
. . . . . . . . . . . . . .

La fede è corta e la beltà non dura,
10
ma di par seco par che si consumi,
come 'l peccato tuo vuol de' mie danni.

. . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
sempre fra noi fare' con tutti gli anni.


18

Mille rimedi invan l'anima tenta:
poi ch'i' fu' preso alla prestina strada,
di ritornare endarno s'argomenta.

Il mare e 'l monte e 'l foco colla spada:
5
in mezzo a questi tutti insieme vivo.

Al monte non mi lascia chi m'ha privo
dell'intelletto e tolto la ragione.


19

Natura ogni valore
di donna o di donzella
fatto ha per imparare, insino a quella
c'oggi in un punto m'arde e ghiaccia el core.

5
Dunche nel mie dolore
non fu tristo uom più mai;
l'angoscia e 'l pianto e ' guai,
a più forte cagion maggiore effetto.

Così po' nel diletto
10
non fu né fie di me nessun più lieto.


20

Tu ha' 'l viso più dolce che la sapa,
e passato vi par sù la lumaca,
tanto ben lustra, e più bel c'una rapa;
e' denti bianchi come pastinaca,
5
in modo tal che invaghiresti 'l papa;
e gli occhi del color dell'utriaca;
e' cape' bianchi e biondi più che porri:
ond'io morrò, se tu non mi soccorri.

La tua bellezza par molto più bella
10
che uomo che dipinto in chiesa sia:
la bocca tua mi par una scarsella
di fagiuo' piena, si com'è la mia;
le ciglia paion tinte alla padella
e torte più c'un arco di Sorìa;
15
le gote ha' rosse e bianche, quando stacci,
come fra cacio fresco e' rosolacci.

Quand'io ti veggo, in su ciascuna poppa
mi paion duo cocomer in un sacco,
ond'io m'accendo tutto come stoppa,
20
bench'io sia dalla zappa rotto e stracco.

Pensa: s'avessi ancor la bella coppa,
ti seguirrei fra l'altre me' c'un bracco;
dunche s'i massi aver fussi possibile,
io fare' oggi qui cose incredibile.


21

Chiunche nasce a morte arriva
nel fuggir del tempo; e 'l sole
niuna cosa lascia viva.
Manca il dolce e quel che dole
5
e gl'ingegni e le parole;
e le nostre antiche prole
al sole ombre, al vento un fummo.

Come voi uomini fummo,
lieti e tristi, come siete;
10
e or siàn, come vedete,
terra al sol, di vita priva.

Ogni cosa a morte arriva.

Già fur gli occhi nostri interi
con la luce in ogni speco;
15
or son voti, orrendi e neri,
e ciò porta il tempo seco.


22

Che fie di me? che vo' tu far di nuovo
d'un arso legno e d'un afflitto core?

Dimmelo un poco, Amore,
acciò che io sappi in che stato io mi truovo.

5
Gli anni del corso mio al segno sono,
come saetta c'al berzaglio è giunta,
onde si de' quetar l'ardente foco.

E' mie passati danni a te perdono,
cagion che 'l cor l'arme tu' spezza e spunta,
10
c'amor per pruova in me non ha più loco;
e s'e' tuo colpi fussin nuovo gioco
agli occhi mei, al cor timido e molle,
vorria quel che già volle?

Ond'or ti vince e sprezza, e tu tel sai,
15
sol per aver men forza oggi che mai.

Tu speri forse per nuova beltate
tornarmi 'ndietro al periglioso impaccio,
ove 'l più saggio assai men si difende:
più corto è 'l mal nella più lunga etate
20
ond'io sarò come nel foco el ghiaccio,
che si distrugge e parte e non s'accende.

La morte in questa età sol ne difende
dal fiero braccio e da' pungenti strali,
cagion di tanti mali,
25
che non perdona a condizion nessuna,
né a loco, né tempo, né fortuna.

L'anima mia, che con la morte parla,
e seco di se stessa si consiglia,
e di nuovi sospetti ognor s'attrista,
30
el corpo di dì in dì spera lasciarla:
onde l'immaginato cammin piglia,
di speranza e timor confusa e mista.

Ahi, Amor, come se' pronto in vista,
temerario, audace, armato e forte!

35
che e' pensier della morte
nel tempo suo di me discacci fori,
per trar d'un arbor secco fronde e fiori.

Che poss'io più? che debb'io? Nel tuo regno
non ha' tu tutto el tempo mio passato,
40
che de' mia anni un'ora non m'è tocca?

Qual inganno, qual forza o qual ingegno
tornar mi puote a te, signore ingrato,
c'al cuor la morte e pietà porti in bocca?

Ben sare' ingrata e sciocca
45
l'alma risuscitata, e senza stima,
tornare a quel che gli diè morte prima.

Ogni nato la terra in breve aspetta;
d'ora in or manca ogni mortal bellezza:
chi ama, il vedo, e' non si può po' sciorre.

50
Col gran peccato la crudel vendetta
insieme vanno; e quel che men s'apprezza,
colui è sol c'a più suo mal più corre.

A che mi vuo' tu porre,
che 'l dì ultimo buon, che mi bisogna,
55
sie quel del danno e quel della vergogna?


23

I' fu', già son molt'anni, mille volte
ferito e morto, non che vinto e stanco
da te, mie colpa; e or col capo bianco
riprenderò le tuo promesse stolte?

5
Quante volte ha' legate e quante sciolte
le triste membra, e sì spronato il fianco,
c'appena posso ritornar meco, anco
bagnando il petto con lacrime molte!

Di te mi dolgo, Amor, con teco parlo,
10
sciolto da' tuo lusinghi: a che bisogna
prender l'arco crudel, tirare a voto?

Al legno incenerato sega o tarlo,
o dietro a un correndo, è gran vergogna
c'ha perso e ferma ogni destrezza e moto.


24

I' fe' degli occhi porta al mie veneno,
quand' el passo dier libero a' fier dardi;
nido e ricetto fe' de' dolci sguardi
della memoria che ma' verrà meno.

5
Ancudine fe' 'l cor, mantaco 'l seno
da fabricar sospir, con che tu m'ardi.


25

Quand'il servo il signor d'aspra catena
senz'altra speme in carcer tien legato,
volge in tal uso el suo misero stato,
che libertà domanderebbe appena.

5
E el tigre e 'l serpe ancor l'uso raffrena,
e 'l fier leon ne' folti boschi nato;
e 'l nuovo artista, all'opre affaticato,
coll'uso del sudor doppia suo lena.

Ma 'l foco a tal figura non s'unisce;
10
ché se l'umor d'un verde legno estinge,
il freddo vecchio scalda e po' 'l nutrisce,

e tanto il torna in verde etate e spinge,
rinnuova e 'nfiamma, allegra e 'ngiovanisce,
c'amor col fiato l'alma e 'l cor gli cinge.

15
E se motteggia o finge,
chi dice in vecchia etate esser vergogna
amar cosa divina, è gran menzogna.

L'anima che non sogna,
non pecca amar le cose di natura,
20
usando peso, termine e misura.


26

Quand'avvien c'alcun legno non difenda
il propio umor fuor del terreste loco,
non può far c'al gran caldo assai o poco
non si secchi o non s'arda o non s'accenda.

5
Così 'l cor, tolto da chi mai mel renda,
vissuto in pianto e nutrito di foco,
or ch'è fuor del suo propio albergo e loco,
qual mal fie che per morte non l'offenda?


27

Fuggite, amanti, Amor, fuggite 'l foco;
l'incendio è aspro e la piaga è mortale,
c'oltr'a l'impeto primo più non vale
né forza né ragion né mutar loco.

5
Fuggite, or che l'esemplo non è poco
d'un fiero braccio e d'un acuto strale;
leggete in me, qual sarà 'l vostro male,
qual sarà l'impio e dispietato gioco.

Fuggite, e non tardate, al primo sguardo:
10
ch'i' pensa' d'ogni tempo avere accordo;
or sento, e voi vedete, com'io ardo.


28

Perché pur d'ora in ora mi lusinga
la memoria degli occhi e la speranza,
per cui non sol son vivo, ma beato;
la forza e la ragion par che ne stringa,
5
Amor, natura e la mie 'ntica usanza,
mirarvi tutto il tempo che m'è dato.

E s'i' cangiassi stato,
vivendo in questo, in quell'altro morrei;
né pietà troverei
10
ove non fussin quegli.

O Dio, e' son pur begli!
Chi non ne vive non è nato ancora;
e se verrà dipoi,
a dirlo qui tra noi,
15
forz'è che, nato, di subito mora;
ché chi non s'innamora
de' begli occhi, non vive.


29

Ogn'ira, ogni miseria e ogni forza,
chi d'amor s'arma vince ogni fortuna.


30

Dagli occhi del mie ben si parte e vola
un raggio ardente e di sì chiara luce
che da' mie, chiusi ancor, trapassa 'l core.

Onde va zoppo Amore,
5
tant'è dispar la soma che conduce,
dando a me luce, e tenebre m'invola.


31

Amor non già, ma gli occhi mei son quegli
che ne' tuo soli e begli
e vita e morte intera trovato hanno.

Tante meno m'offende e preme 'l danno,
5
più mi distrugge e cuoce;
dall'altra ancor mi nuoce
tante amor più quante più grazia truovo.

Mentre ch'io penso e pruovo
il male, el ben mi cresce in un momento.

10
O nuovo e stran tormento!

Però non mi sgomento:
s'aver miseria e stento
è dolce qua dove non è ma' bene,
vo cercando 'l dolor con maggior pene.


32

Vivo al peccato, a me morendo vivo;
vita già mia non son, ma del peccato:
mie ben dal ciel, mie mal da me m'è dato,
dal mie sciolto voler, di ch'io son privo.

5
Serva mie libertà, mortal mie divo
a me s'è fatto. O infelice stato!

a che miseria, a che viver son nato!


33

Sie pur, fuor di mie propie, c'ogni altr'arme
difender par ogni mie cara cosa;
altra spada, altra lancia e altro scudo
fuor delle propie forze non son nulla,
5
tant'è la trista usanza, che m'ha tolta
la grazia che 'l ciel piove in ogni loco.

Qual vecchio serpe per istretto loco
passar poss'io, lasciando le vecchie arme,
e dal costume rinnovata e tolta
10
sie l'alma in vita e d'ogni umana cosa,
coprendo sé con più sicuro scudo,
ché tutto el mondo a morte è men che nulla.

Amore, i' sento già di me far nulla;
natura del peccat' è 'n ogni loco.

15
Spoglia di me me stesso, e col tuo scudo,
colla pietra e tuo vere e dolci arme,
difendimi da me, c'ogni altra cosa
è come non istata, in brieve tolta.

Mentre c'al corpo l'alma non è tolta,
20
Signor, che l'universo puo' far nulla,
fattor, governator, re d'ogni cosa,
poco ti fie aver dentr'a me loco;
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
25
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
che d'ogn' uomo veril son le vere arme,
senza le quali ogn' uom diventa nulla.


34

La vita del mie amor non è 'l cor mio,
c'amor di quel ch'i' t'amo è senza core;
dov'è cosa mortal, piena d'errore,
esser non può già ma', nè pensier rio.

5
Amor nel dipartir l'alma da Dio
me fe' san occhio e te luc' e splendore;
nè può non rivederlo in quel che more
di te, per nostro mal, mie gran desio.

Come dal foco el caldo, esser diviso
10
non può dal bell'etterno ogni mie stima,
ch'exalta, ond'ella vien, chi più 'l somiglia.

Poi che negli occhi ha' tutto 'l paradiso,
per ritornar là dov'i' t'ama' prima,
ricorro ardendo sott'alle tuo ciglia.


35

El ciglio col color non fere el volto
col suo contrar, che l'occhio non ha pena
da l'uno all'altro stremo ov'egli è volto.

L'occhio, che sotto intorno adagio mena,
5
picciola parte di gran palla scuopre,
che men rilieva suo vista serena,

e manco sale e scende quand' el copre;
onde più corte son le suo palpebre,
che manco grinze fan quando l'aopre.

10
El bianco bianco, el ner più che funebre,
s'esser può, el giallo po' più leonino,
che scala fa dall'una all'altra vebre.

Pur tocchi sotto e sopra el suo confino,
e 'l giallo e 'l nero e 'l bianco non circundi.


36

Oltre qui fu, dove 'l mie amor mi tolse,
suo mercè, il core e vie più là la vita;
qui co' begli occhi mi promisse aita,
e co' medesmi qui tor me la volse.

5
Quinci oltre mi legò, quivi mi sciolse;
per me qui piansi, e con doglia infinita
da questo sasso vidi far partita
colui c'a me mi tolse e non mi volse.


37

In me la morte, in te la vita mia;
tu distingui e concedi e parti el tempo;
quante vuo', breve e lungo è 'l viver mio.

Felice son nella tuo cortesia.

5
Beata l'alma, ove non corre tempo,
per te s'è fatta a contemplare Dio.


38

Quanta dolcezza al cor per gli occhi porta
quel che 'n un punto el tempo e morte fura!

Che è questo però che mi conforta
e negli affanni cresce e sempre dura.

5
Amor, come virtù viva e accorta,
desta gli spirti ed è più degna cura.

Risponde a me: - Come persona morta
mena suo vita chi è da me sicura. -

Amore è un concetto di bellezza
10
immaginata o vista dentro al core,
amica di virtute e gentilezza.


39

Del fiero colpo e del pungente strale
la medicina era passarmi 'l core;
ma questo è propio sol del mie signore,
crescer la vita dove cresce 'l male.

5
E se 'l primo suo colpo fu mortale,
seco un messo di par venne d'Amore
che mi disse: - Ama, anz'ardi; ché chi muore
non ha da gire al ciel nel mondo altr'ale.

I' son colui che ne' prim'anni tuoi
10
gli occhi tuo infermi volsi alla beltate
che dalla terra al ciel vivo conduce. -


40

Quand'Amor lieto al ciel levarmi è volto
cogli occhi di costei, anzi col sole,
con breve riso ciò che preme e dole
del cor mi caccia, e mettevi 'l suo volto;

5
e s'i' durassi in tale stato molto,
l'alma, che sol di me lagnar si vole,
avendo seco là dove star suole,
. . . . . . . . . . .


41

Spirto ben nato, in cu' si specchia e vede
nelle tuo belle membra oneste e care
quante natura e 'l ciel tra no' può fare,
quand'a null'altra suo bell'opra cede:

5
spirto leggiadro, in cui si spera e crede
dentro, come di fuor nel viso appare,
amor, pietà, mercé, cose sì rare,
che ma' furn'in beltà con tanta fede:

l'amor mi prende e la beltà mi lega;
10
la pietà, la mercé con dolci sguardi
ferma speranz' al cor par che ne doni.

Qual uso o qual governo al mondo niega,
qual crudeltà per tempo o qual più tardi,
c'a sì bell'opra morte non perdoni?


42

Dimmi di grazia, Amor, se gli occhi mei
veggono 'l ver della beltà c'aspiro,
o s'io l'ho dentro allor che, dov'io miro,
veggio scolpito el viso di costei.

5
Tu 'l de' saper, po' che tu vien con lei
a torm'ogni mie pace, ond'io m'adiro;
né vorre' manco un minimo sospiro,
né men ardente foco chiederei.

- La beltà che tu vedi è ben da quella,
10
ma cresce poi c'a miglior loco sale,
se per gli occhi mortali all'alma corre.

Quivi si fa divina, onesta e bella,
com'a sé simil vuol cosa immortale:
questa e non quella agli occhi tuo precorre. -


43

La ragion meco si lamenta e dole,
parte ch'i' spero amando esser felice;
con forti esempli e con vere parole
la mie vergogna mi rammenta e dice:

5
- Che ne riportera' dal vivo sole
altro che morte? e non come fenice. -
Ma poco giova, ché chi cader vuole,
non basta l'altru' man pront' e vittrice.

I' conosco e' mie danni, e 'l vero intendo;
10
dall'altra banda albergo un altro core,
che più m'uccide dove più m'arrendo.

In mezzo di duo mort' è 'l mie signore:
questa non voglio e questa non comprendo:
così sospeso, el corpo e l'alma muore.


44

Mentre c'alla beltà ch'i' vidi in prima
appresso l'alma, che per gli occhi vede,
l'immagin dentro cresce, e quella cede
quasi vilmente e senza alcuna stima.

5
Amor, c'adopra ogni suo ingegno e lima,
perch'io non tronchi 'l fil ritorna e riede.


45

Ben doverrieno al sospirar mie tanto
esser secco oramai le fonti e ' fiumi,
s'i' non gli rinfrescassi col mie pianto.

Così talvolta i nostri etterni lumi,
5
l'un caldo e l'altro freddo ne ristora,
acciò che 'l mondo più non si consumi.

E similmente il cor che s'innamora,
quand'el superchio ardor troppo l'accende,
l'umor degli occhi il tempra, che non mora.

10
La morte e 'l duol, ch'i' bramo e cerco, rende
un contento avenir, che non mi lassa
morir; ché chi diletta non offende.

Onde la navicella mie non passa,
com'io vorrei, a vederti a quella riva
15
che 'l corpo per a tempo di qua lassa.

Troppo dolor vuol pur ch'i' campi e viva,
qual più c'altri veloce andando vede,
che dopo gli altri al fin del giorno arriva.

Crudel pietate e spietata mercede
20
me lasciò vivo, e te da me disciolse,
rompendo, e non mancando nostra fede,
e la memoria a me non sol non tolse,
. . . . . . . . . . . .


46

Se 'l mie rozzo martello i duri sassi
forma d'uman aspetto or questo or quello,
dal ministro che 'l guida, iscorge e tiello,
prendendo il moto, va con gli altrui passi.

5
Ma quel divin che in cielo alberga e stassi,
altri, e sé più, col propio andar fa bello;
e se nessun martel senza martello
si può far, da quel vivo ogni altro fassi.

E perché 'l colpo è di valor più pieno
10
quant'alza più se stesso alla fucina,
sopra 'l mie questo al ciel n'è gito a volo.

Onde a me non finito verrà meno,
s'or non gli dà la fabbrica divina
aiuto a farlo, c'al mondo era solo.


47

Quand'el ministro de' sospir mie tanti
al mondo, agli occhi mei, a sé si tolse,
natura, che fra noi degnar lo volse,
restò in vergogna, e chi lo vide in pianti.

5
Ma non come degli altri oggi si vanti
del sol del sol, c'allor ci spense e tolse,
morte, c'amor ne vinse, e farlo il tolse
in terra vivo e 'n ciel fra gli altri santi.

Così credette morte iniqua e rea
10
finir il suon delle virtute sparte,
e l'alma, che men bella esser potea.

Contrari effetti alluminan le carte
di vita più che 'n vita non solea,
e morto ha 'l ciel, c'allor non avea parte.


48

Come fiamma più cresce più contesa
dal vento, ogni virtù che 'l cielo esalta
tanto più splende quant'è più offesa.


49

Amor, la tuo beltà non è mortale:
nessun volto fra noi è che pareggi
l'immagine del cor, che 'nfiammi e reggi
con altro foco e muovi con altr'ale.


50

Che fie doppo molt'anni di costei,
Amor, se 'l tempo ogni beltà distrugge?

Fama di lei; e anche questa fugge
e vola e manca più ch'i' non vorrei.


51

Oilmè, oilmè, ch'i' son tradito
da' giorni mie fugaci e dallo specchio
che 'l ver dice a ciascun che fiso 'l guarda!

Così n'avvien, chi troppo al fin ritarda,
5
com'ho fatt'io, che 'l tempo m'è fuggito:
si trova come me 'n un giorno vecchio.

Né mi posso pentir, né m'apparecchio,
né mi consiglio con la morte appresso.

Nemico di me stesso,
10
inutilmente i pianti e ' sospir verso,
ché non è danno pari al tempo perso.

Oilmè, oilmè, pur riterando
vo 'l mio passato tempo e non ritruovo
in tutto un giorno che sie stato mio!

15
Le fallace speranze e 'l van desio,
piangendo, amando, ardendo e sospirando
(c'affetto alcun mortal non m'è più nuovo)
m'hanno tenuto, ond'il conosco e pruovo,
lontan certo dal vero.

20
Or con periglio pèro;
ché 'l breve tempo m'è venuto manco,
né sarie ancor, se s'allungassi, stanco.

I' vo lasso, oilmè, né so ben dove;
anzi temo, ch'il veggio, e 'l tempo andato
25
mel mostra, né mi val che gli occhi chiuda.

Or che 'l tempo la scorza cangia e muda,
la morte e l'alma insieme ognor fan pruove,
la prima e la seconda, del mie stato.

E s'io non sono errato,
30
(che Dio 'l voglia ch'io sia),
l'etterna pena mia
nel mal libero inteso oprato vero
veggio, Signor, né so quel ch'io mi spero.


52

S'alcun se stesso al mondo ancider lice,
po' che per morte al ciel tornar si crede,
sarie ben giusto a chi con tanta fede
vive servendo miser e 'nfelice.

5
Ma perché l'uom non è come fenice,
c'alla luce del sol resurge e riede,
la man fo pigra e muovo tardi el piede.


53

Chi di notte cavalca, el dì conviene
c'alcuna volta si riposi e dorma:
così sper'io, che dopo tante pene
ristori 'l mie signor mie vita e forma.

5
Non dura 'l mal dove non dura 'l bene,
ma spesso l'un nell'altro si trasforma.


54

Io crederrei, se tu fussi di sasso,
amarti con tal fede, ch'i' potrei
farti meco venir più che di passo;
se fussi morto, parlar ti farei,
5
se fussi in ciel, ti tirerei a basso
co' pianti, co' sospir, co' prieghi miei.

Sendo vivo e di carne, e qui tra noi,
chi t'ama e serve che de' creder poi?

I' non posso altro far che seguitarti,
10
e della grande impresa non mi pento.

Tu non se' fatta com'un uom da sarti,
che si muove di fuor, si muove drento;
e se dalla ragion tu non ti parti,
spero c'un dì tu mi fara' contento:
15
ché 'l morso il ben servir togli' a' serpenti,
come l'agresto quand'allega i denti.

E' non è forza contr'a l'umiltate,
né crudeltà può star contr'a l'amore;
ogni durezza suol vincer pietate,
20
sì come l'allegrezza fa 'l dolore;
una nuova nel mondo alta beltate
come la tuo non ha 'ltrimenti il core;
c'una vagina, ch'è dritta a vedella,
non può dentro tener torte coltella.

25
E non può esser pur che qualche poco
la mie gran servitù non ti sie cara;
pensa che non si truova in ogni loco
la fede negli amici, che è sì rara;
. . . . . . . . . . .
30
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .

Quando un dì sto che veder non ti posso,
non posso trovar pace in luogo ignuno;
35
se po' ti veggo, mi s'appicca addosso,
come suole il mangiar far al digiuno;
. . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
com'altri il ventre di votar si muore,
40
ch'è più 'l conforto, po' che pri' è 'l dolore.

E non mi passa tra le mani un giorno
ch'i' non la vegga o senta con la mente;
né scaldar ma' si può fornace o forno
c'a' mie sospir non fussi più rovente;
45
e quando avvien ch'i' l'abbi un po' dintorno,
sfavillo come ferro in foco ardente;
e tanto vorre' dir, s'ella m'aspetta,
ch'i' dico men che quand'i' non ho fretta.

S'avvien che la mi rida pure un poco
50
o mi saluti in mezzo della via,
mi levo come polvere dal foco
o di bombarda o d'altra artiglieria;
se mi domanda, subito m'affioco,
perdo la voce e la risposta mia,
55
e subito s'arrende il gran desio,
e la speranza cede al poter mio.

I' sento in me non so che grand'amore,
che quasi arrivere' 'nsino alle stelle;
e quando alcuna volta il vo trar fore,
60
non ho buco sì grande nella pelle
che nol faccia, a uscirne, assa' minore
parere, e le mie cose assai men belle:
c'amore o forza el dirne è grazia sola;
e men ne dice chi più alto vola.

65
I' vo pensando al mie viver di prima,
inanzi ch'i' t'amassi, com'egli era:
di me non fu ma' chi facesse stima,
perdendo ogni dì il tempo insino a sera;
forse pensavo di cantare in rima
70
o di ritrarmi da ogni altra schiera?

Or si fa 'l nome, o per tristo o per buono,
e sassi pure almen che i' ci sono.

Tu m'entrasti per gli occhi, ond'io mi spargo,
come grappol d'agresto in un'ampolla,
75
che doppo 'l collo cresce ov'è più largo;
così l'immagin tua, che fuor m'immolla,
dentro per gli occhi cresce, ond'io m'allargo
come pelle ove gonfia la midolla;
entrando in me per sì stretto vïaggio,
80
che tu mai n'esca ardir creder non aggio.

Come quand'entra in una palla il vento,
che col medesmo fiato l'animella,
come l'apre di fuor, la serra drento,
così l'immagin del tuo volto bella
85
per gli occhi dentro all'alma venir sento;
e come gli apre, poi si serra in quella;
e come palla pugno al primo balzo,
percosso da' tu' occhi al ciel po' m'alzo.

Perché non basta a una donna bella
90
goder le lode d'un amante solo,
ché suo beltà potre' morir con ella;
dunche, s'i' t'amo, reverisco e colo,
al merito 'l poter poco favella;
c'un zoppo non pareggia un lento volo,
95
né gira 'l sol per un sol suo mercede,
ma per ogni occhio san c'al mondo vede.

I' non posso pensar come 'l cor m'ardi,
passando a quel per gli occhi sempre molli,
che 'l foco spegnerien non ch'e' tuo sguardi.

100
Tutti e' ripari mie son corti e folli:
se l'acqua il foco accende, ogni altro è tardi
a camparmi dal mal ch'i' bramo e volli,
salvo il foco medesmo. O cosa strana,
se 'l mal del foco spesso il foco sana!


55

I' t'ho comprato, ancor che molto caro,
un po' di non so che, che sa di buono,
perc'a l'odor la strada spesso imparo.

Ovunche tu ti sia, dovunch'i' sono,
5
senz'alcun dubbio ne son certo e chiaro.

Se da me ti nascondi, i' tel perdono:
portandol dove vai sempre con teco,
ti troverei, quand'io fussi ben cieco.


56

Vivo della mie morte e, se ben guardo,
felice vivo d'infelice sorte;
e chi viver non sa d'angoscia e morte,
nel foco venga, ov'io mi struggo e ardo.


57

S'i' vivo più di chi più m'arde e cuoce,
quante più legne o vento il foco accende,
tanto più chi m'uccide mi difende,
e più mi giova dove più mi nuoce.


58

Se l'immortal desio, c'alza e corregge
gli altrui pensier, traessi e' mie di fore,
forse c'ancor nella casa d'Amore
farie pietoso chi spietato regge.

5
Ma perché l'alma per divina legge
ha lunga vita, e 'l corpo in breve muore,
non può 'l senso suo lode o suo valore
appien descriver quel c'appien non legge.

Dunche, oilmè! come sarà udita
10
la casta voglia che 'l cor dentro incende
da chi sempre se stesso in altrui vede?

La mie cara giornata m'è impedita
col mie signor c'alle menzogne attende,
c'a dire il ver, bugiardo è chi nol crede.


59

S'un casto amor, s'una pietà superna,
s'una fortuna infra dua amanti equale,
s'un'aspra sorte all'un dell'altro cale,
s'un spirto, s'un voler duo cor governa;

5
s'un'anima in duo corpi è fatta etterna,
ambo levando al cielo e con pari ale;
s'amor d'un colpo e d'un dorato strale
le viscer di duo petti arda e discerna;

s'amar l'un l'altro e nessun se medesmo,
10
d'un gusto e d'un diletto, a tal mercede
c'a un fin voglia l'uno e l'altro porre:

se mille e mille, non sarien centesmo
a tal nodo d'amore, e tanta fede;
e sol l'isdegno il può rompere e sciorre.


60

Tu sa' ch'i' so, signor mie, che tu sai
ch'i vengo per goderti più da presso,
e sai ch'i' so che tu sa' ch'i' son desso:
a che più indugio a salutarci omai?

5
Se vera è la speranza che mi dai,
se vero è 'l gran desio che m'è concesso,
rompasi il mur fra l'uno e l'altra messo,
ché doppia forza hann'i celati guai.

S'i' amo sol di te, signor mie caro,
10
quel che di te più ami, non ti sdegni,
ché l'un dell'altro spirto s'innamora.

Quel che nel tuo bel volto bramo e 'mparo,
e mal compres' è dagli umani ingegni,
chi 'l vuol saper convien che prima mora.


61

S'i' avessi creduto al primo sguardo
di quest'alma fenice al caldo sole
rinnovarmi per foco, come suole
nell'ultima vecchiezza, ond'io tutt'ardo,

5
qual più veloce cervio o lince o pardo
segue 'l suo bene e fugge quel che dole,
agli atti, al riso, all'oneste parole
sarie cors'anzi, ond'or son presto e tardo.

Ma perché più dolermi, po' ch'i' veggio
10
negli occhi di quest'angel lieto e solo
mie pace, mie riposo e mie salute?

Forse che prima sarie stato il peggio
vederlo, udirlo, s'or di pari a volo
seco m'impenna a seguir suo virtute.


62

Sol pur col foco il fabbro il ferro stende
al concetto suo caro e bel lavoro,
né senza foco alcuno artista l'oro
al sommo grado suo raffina e rende;

5
né l'unica fenice sé riprende
se non prim'arsa; ond'io, s'ardendo moro,
spero più chiar resurger tra coloro
che morte accresce e 'l tempo non offende.

Del foco, di ch'i' parlo, ho gran ventura
10
c'ancor per rinnovarmi abbi in me loco,
sendo già quasi nel numer de' morti.

O ver, s'al cielo ascende per natura,
al suo elemento, e ch'io converso in foco
sie, come fie che seco non mi porti?


63

Sì amico al freddo sasso è 'l foco interno
che, di quel tratto, se lo circumscrive,
che l'arda e spezzi, in qualche modo vive,
legando con sé gli altri in loco etterno.

5
E se 'n fornace dura, istate e verno
vince, e 'n più pregio che prima s'ascrive,
come purgata infra l'altre alte e dive
alma nel ciel tornasse da l'inferno.

Così tratto di me, se mi dissolve
10
il foco, che m'è dentro occulto gioco,
arso e po' spento aver più vita posso.

Dunche, s'i' vivo, fatto fummo e polve,
etterno ben sarò, s'induro al foco;
da tale oro e non ferro son percosso.


64

Se 'l foco il sasso rompe e 'l ferro squaglia,
figlio del lor medesmo e duro interno,
che farà 'l più ardente dell'inferno
d'un nimico covon secco di paglia?


65

In quel medesmo tempo ch'io v'adoro,
la memoria del mie stato infelice
nel pensier mi ritorna, e piange e dice:
ben ama chi ben arde, ov'io dimoro.

5
Però che scudo fo di tutti loro...


66

Forse perché d'altrui pietà mi vegna,
perché dell'altrui colpe più non rida,
nel mie propio valor, senz'altra guida,
caduta è l'alma che fu già sì degna.

5
Né so qual militar sott'altra insegna
non che da vincer, da campar più fida,
sie che 'l tumulto dell'avverse strida
non pèra, ove 'l poter tuo non sostegna.

O carne, o sangue, o legno, o doglia strema,
10
giusto per vo' si facci el mie peccato,
di ch'i' pur nacqui, e tal fu 'l padre mio.

Tu sol se' buon; la tuo pietà suprema
soccorra al mie preditto iniquo stato,
sì presso a morte e sì lontan da Dio.


67

Nuovo piacere e di maggiore stima
veder l'ardite capre sopr'un sasso
montar, pascendo or questa or quella cima,
e 'l mastro lor, con aspre note, al basso,
5
sfogare el cor colla suo rozza rima,
sonando or fermo, e or con lento passo,
e la suo vaga, che ha 'l cor di ferro,
star co' porci, in contegno, sott'un cerro;

quant'è veder 'n un eminente loco
10
e di pagli' e di terra el loro ospizio:
chi ingombra 'l desco e chi fa fora 'l foco,
sott'a quel faggio ch'è più lor propizio;
chi ingrassa e gratta 'l porco, e prende gioco,
chi doma 'l ciuco col basto primizio;
15
el vecchio gode e fa poche parole,
fuor dell'uscio a sedere, e stassi al sole.

Di fuor dentro si vede quel che hanno:
pace sanza oro e sanza sete alcuna.

El giorno c'a solcare i colli vanno,
20
contar puo' lor ricchezze ad una ad una.

Non han serrami e non temon di danno;
lascion la casa aperta alla fortuna;
po', doppo l'opra, lieti el sonno tentano;
sazi di ghiande, in sul fien s'adormentano.

25
L'invidia non ha loco in questo stato;
la superbia se stessa si divora.

Avide son di qualche verde prato,
o di quell'erba che più bella infiora.

Il lor sommo tesoro è uno arato,
30
e 'l bomero è la gemma che gli onora;
un paio di ceste è la credenza loro,
e le pale e le zappe e' vasi d'oro.

O avarizia cieca, o bassi ingegni,
che disusate 'l ben della natura!

35
Cercando l'or, le terre e ' ricchi regni,
vostre imprese superbia ha forte e dura.

L'accidia, la lussuria par v'insegni;
l'invidia 'l mal d'altrui provvede e cura:
non vi scorgete, in insaziabil foco,
40
che 'l tempo è breve e 'l necessario è poco.

Color c'anticamente, al secol vecchio,
si trasser fame e sete d'acqua e ghiande
vi sieno esemplo, scorta, lume e specchio,
e freno alle delizie, alle vivande.

45
Porgete al mie parlare un po' l'orecchio:
colui che 'l mondo impera, e ch'è sì grande,
ancor disidra, e non ha pace poi;
e 'l villanel la gode co' suo buoi.

D'oro e di gemme, e spaventata in vista,
50
adorna, la Ricchezza va pensando;
ogni vento, ogni pioggia la contrista,
e gli agùri e ' prodigi va notando.

La lieta Povertà, fuggendo, acquista
ogni tesor, né pensa come o quando;
55
secur ne' boschi, in panni rozzi e bigi,
fuor d'obrighi, di cure e di letigi.

L'avere e 'l dar, l'usanze streme e strane,
el meglio e 'l peggio, e le cime dell'arte
al villanel son tutte cose piane,
60
e l'erba e l'acqua e 'l latte è la sua parte;
e 'l cantar rozzo, e ' calli delle mane,
è 'l dieci e 'l cento e ' conti e lo suo carte
dell'usura che 'n terra surger vede;
e senza affanno alla fortuna cede.

65
Onora e ama e teme e prega Dio
pe' pascol, per l'armento e pel lavoro,
con fede, con ispeme e con desio,
per la gravida vacca e pel bel toro.

El Dubbio, el Forse, el Come, el Perché rio
70
no 'l può ma' far, ché non istà fra loro:
se con semplice fede adora e prega
Iddio e 'l ciel, l'un lega e l'altro piega.

El Dubbio armato e zoppo si figura,
e va saltando come la locuste,
75
tremando d'ogni tempo per natura,
qual suole al vento far canna paluste.

El Perché è magro, e 'ntorn'alla cintura
ha molte chiave, e non son tanto giuste,
c'agugina gl'ingegni della porta,
80
e va di notte, e 'l buio è la suo scorta.

El Come e 'l Forse son parenti stretti,
e son giganti di sì grande altezza,
c'al sol andar ciascun par si diletti,
e ciechi fur per mirar suo chiarezza;
85
e quello alle città co' fieri petti
tengon, per tutto adombran lor bellezza;
e van per vie fra sassi erte e distorte,
tentando colle man qual istà forte.

Povero e nudo e sol se ne va 'l Vero,
90
che fra la gente umìle ha gran valore:
un occhio ha sol, qual è lucente e mero,
e 'l corpo ha d'oro, e d'adamante 'l core;
e negli affanni cresce e fassi altero,
e 'n mille luoghi nasce, se 'n un muore;
95
di fuor verdeggia sì come smeraldo,
e sta co' suo fedel costante e saldo.

Cogli occhi onesti e bassi in ver' la terra,
vestito d'oro e di vari ricami,
il Falso va, c'a' iusti sol fa guerra;
100
ipocrito, di fuor par c'ognuno ami;
perch'è di ghiaccio, al sol si cuopre e serra;
sempre sta 'n corte, e par che l'ombra brami;
e ha per suo sostegno e compagnia
la Fraude, la Discordia e la Bugia.

105
L'Adulazion v'è poi, ch'è pien d'affanni,
giovane destra e di bella persona;
di più color coperta di più panni,
che 'l cielo a primavera a' fior non dona:
ottien ciò che la vuol con dolci inganni,
110
e sol di quel che piace altrui ragiona;
ha 'l pianto e 'l riso in una voglia sola;
cogli occhi adora, e con le mani invola.

Non è sol madre in corte all'opre orrende,
ma è lor balia ancora, e col suo latte
115
le cresce, l'aümenta e le difende.


68

Un gigante v'è ancor, d'altezza tanta
che da' sua occhi noi qua giù non vede,
e molte volte ha ricoperta e franta
una città colla pianta del piede;
5
al sole aspira e l'alte torre pianta
per aggiunger al cielo, e non lo vede,
ché 'l corpo suo, così robusto e magno,
un occhio ha solo e quell'ha 'n un calcagno.

Vede per terra le cose passate,
10
e 'l capo ha fermo e prossim'a le stelle;
di qua giù se ne vede dua giornate
delle gran gambe, e irsut' ha la pelle;
da indi in su non ha verno né state,
ché le stagion gli sono equali e belle;
15
e come 'l ciel fa pari alla suo fronte,
in terra al pian col piè fa ogni monte.

Com'a noi è 'l minuzzol dell'arena,
sotto la pianta a lui son le montagne;
fra ' folti pel delle suo gambe mena
20
diverse forme mostruose e magne:
per mosca vi sarebbe una balena;
e sol si turba e sol s'attrista e piagne
quando in quell'occhio il vento seco tira
fummo o festuca o polvere che gira.

25
Una gran vecchia pigra e lenta ha seco,
che latta e mamma l'orribil figura,
e 'l suo arrogante, temerario e cieco
ardir conforta e sempre rassicura.

Fuor di lui stassi in un serrato speco,
30
nelle gran rocche e dentro all'alte mura;
quand'è lui in ozio, e le' in tenebre vive,
e sol inopia nel popol prescrive.

Palida e gialla, e nel suo grave seno
il segno porta sol del suo signore:
35
cresce del mal d'altrui, del ben vien meno,
né s'empie per cibarsi a tutte l'ore;
il corso suo non ha termin né freno,
e odia altrui e sé non porta amore;
di pietra ha 'l core e di ferro le braccia,
40
e nel suo ventre il mare e ' monti caccia.

Sette lor nati van sopra la terra,
che cercan tutto l'uno e l'altro polo,
e solo a' iusti fanno insidie e guerra,
e mille capi ha ciascun per sé solo.

45
L'etterno abisso per lor s'apre e serra,
tal preda fan nell'universo stuolo;
e lor membra ci prendon passo passo,
come edera fa el mur fra sasso e sasso.


69

Ben provvide natura, né conviene
a tanta crudeltà minor bellezza,
ché l'un contrario l'altro ha temperato.

Così può 'l viso vostro le mie pene
5
tante temprar con piccola dolcezza,
e lieve fare quelle e me beato.


70

Crudele stella, anzi crudele arbitrio
che 'l potere e 'l voler mi stringe e lega;
né si travaglia chiara stella in cielo
dal giorno [in qua?] che mie vela disciolse,
5
ond'io errando e vagabondo andai,
qual vano legno gira a tutti e' venti.

Or son qui, lasso, e all'incesi venti
convien varar mie legno, e senza arbitrio
solcar l'alte onde ove mai sempre andai.

10
Così quagiù si prende, preme e lega
quel che lassù già 'll'alber si disciolse,
ond'a me tolsi la dote del cielo.

Qui non mi regge e non mi spinge il cielo,
ma potenti e terrestri e duri venti,
15
ché sopra di me non so qual si disciolse
per [darli mano?] e tormi del mio arbitrio.

Così fuor di mie rete altri mi lega.

Mie colpa è, ch'ignorando a quello andai?

Maladetto [sie] 'l dì che ïo andai
20
col segno che correva su nel cielo!

Se non ch'i' so che 'l giorno el cor non lega,
né sforza l'alma, ne' contrari venti,
contra al nostro largito e sciolto arbitrio,
perché [...] e pruove ci disciolse.

25
Dunche, se mai dolor del cor disciolse
sospiri ardenti, o se orando andai
fra caldi venti a quel ch'è fuor d'arbitrio,
[...], pietoso de' mie caldi venti,
vede, ode e sente e non m'è contra 'l cielo;
30
ché scior non si può chi se stesso lega.

Così l'atti suo perde chi si lega,
e salvo sé nessun ma' si disciolse.

E come arbor va retto verso il cielo,
ti prego, Signor mio, se mai andai,
35
ritorni, come quel che non ha venti,
sotto el tüo grande el mïo arbitrio.

Colui che sciolse e lega 'l mio arbitrio,
ov'io andai agl'importuni venti,
fa' mie vendetta, s' tu mel desti, o cielo.


71

I' l'ho, vostra mercè, per ricevuto
e hollo letto delle volte venti.

Tal pro vi facci alla natura i denti,
co' 'l cibo al corpo quand'egli è pasciuto.

5
I' ho pur, poi ch'i' vi lasciai, saputo
che Cain fu de' vostri anticedenti,
né voi da quel tralignate altrimenti;
ché, s'altri ha ben, vel pare aver perduto.

Invidiosi, superbi, al ciel nimici,
10
la carità del prossimo v'è a noia,
e sol del vostro danno siete amici.

Se ben dice il Poeta di Pistoia,
istieti a mente, e basta; e se tu dici
ben di Fiorenza, tu mi dai la soia.

15
Qual prezïosa gioia
è certo, ma per te già non si intende,
perché poca virtù non la comprende.


72

Se nel volto per gli occhi il cor si vede,
altro segno non ho più manifesto
della mie fiamma; addunche basti or questo,
signor mie caro, a domandar mercede.

5
Forse lo spirto tuo, con maggior fede
ch'i' non credo, che sguarda il foco onesto
che m'arde, fie di me pietoso e presto,
come grazia c'abbonda a chi ben chiede.

O felice quel dì, se questo è certo!

10
Fermisi in un momento il tempo e l'ore,
il giorno e 'l sol nella su' antica traccia;

acciò ch'i' abbi, e non già per mie merto,
il desïato mie dolce signore
per sempre nell'indegne e pronte braccia.


73

Mentre del foco son scacciata e priva,
morir m'è forza, ove si vive e campa;
e 'l mie cibo è sol quel c'arde e avvampa,
e di quel c'altri muor, convien ch'i' viva.


74

I' piango, i' ardo, i' mi consumo, e 'l core
di questo si nutrisce. O dolce sorte!

chi è che viva sol della suo morte,
come fo io d'affanni e di dolore?

5
Ahi! crudele arcier, tu sai ben l'ore
da far tranquille l'angosciose e corte
miserie nostre con la tuo man forte;
ché chi vive di morte mai non muore.


75

Egli è pur troppo a rimirarsi intorno
chi con la vista ancide i circustanti
sol per mostrarsi andar diporto attorno.

Egli è pur troppo a chi fa notte il giorno,
5
scurando il sol co' vaghi e be' sembianti,
aprirgli spesso, e chi con risi e canti
ammuta altrui non esser meno adorno.


76

Non so se s'è la desïata luce
del suo primo fattor, che l'alma sente,
o se dalla memoria della gente
alcun'altra beltà nel cor traluce;

5
o se fama o se sogno alcun produce
agli occhi manifesto, al cor presente,
di sé lasciando un non so che cocente
ch'è forse or quel c'a pianger mi conduce.

Quel ch'i' sento e ch'i' cerco e chi mi guidi
10
meco non è; né so ben veder dove
trovar mel possa, e par c'altri mel mostri.

Questo, signor, m'avvien, po' ch'i' vi vidi,
c'un dolce amaro, un sì e no mi muove:
certo saranno stati gli occhi vostri.


77

Se 'l foco fusse alla bellezza equale
degli occhi vostri, che da que' si parte,
non avrie 'l mondo sì gelata parte
che non ardessi com'acceso strale.

5
Ma 'l ciel, pietoso d'ogni nostro male,
a noi d'ogni beltà, che 'n voi comparte,
la visiva virtù toglie e diparte
per tranquillar la vita aspr'e mortale.

Non è par dunche il foco alla beltate,
10
ché sol di quel s'infiamma e s'innamora
altri del bel del ciel, ch'è da lui inteso.

Così n'avvien, signore, in questa etate:
se non vi par per voi ch'i' arda e mora,
poca capacità m'ha poco acceso.


78

Dal dolce pianto al doloroso riso,
da una etterna a una corta pace
caduto son: là dove 'l ver si tace,
soprasta 'l senso a quel da lui diviso.

5
Né so se dal mie core o dal tuo viso
la colpa vien del mal, che men dispiace
quante più cresce, o dall'ardente face
de gli occhi tuo rubati al paradiso.

La tuo beltà non è cosa mortale,
10
ma fatta su dal ciel fra noi divina;
ond'io perdendo ardendo mi conforto,

c'appresso a te non esser posso tale.

Se l'arme il ciel del mie morir destina,
chi può, s'i' muoio, dir c'abbiate il torto?


79

Felice spirto, che con zelo ardente,
vecchio alla morte, in vita il mio cor tieni,
e fra mill'altri tuo diletti e beni
me sol saluti fra più nobil gente;

5
come mi fusti agli occhi, or alla mente,
per l'altru' fiate a consolar mi vieni,
onde la speme il duol par che raffreni,
che non men che 'l disio l'anima sente.

Dunche, trovando in te chi per me parla
10
grazia di te per me fra tante cure,
tal grazia ne ringrazia chi ti scrive.

Che sconcia e grande usur saria a farla,
donandoti turpissime pitture
per rïaver persone belle e vive.


80

I' mi credetti, il primo giorno ch'io
mira' tante bellezze uniche e sole,
fermar gli occhi com'aquila nel sole
nella minor di tante ch'i' desio.

5
Po' conosciut'ho il fallo e l'erro mio:
ché chi senz'ale un angel seguir vole,
il seme a' sassi, al vento le parole
indarno isparge, e l'intelletto a Dio.

Dunche, s'appresso il cor non mi sopporta
10
l'infinita beltà che gli occhi abbaglia,
né di lontan par m'assicuri o fidi,

che fie di me? qual guida o qual scorta
fie che con teco ma' mi giovi o vaglia,
s'appresso m'ardi e nel partir m'uccidi?


81

Ogni cosa ch'i' veggio mi consiglia
e priega e forza ch'i' vi segua e ami;
ché quel che non è voi non è 'l mie bene.

Amor, che sprezza ogni altra maraviglia,
5
per mie salute vuol ch'i' cerchi e brami
voi, sole, solo; e così l'alma tiene
d'ogni alta spene e d'ogni valor priva;
e vuol ch'i' arda e viva
non sol di voi, ma chi di voi somiglia
10
degli occhi e delle ciglia alcuna parte.

E chi da voi si parte,
occhi, mie vita, non ha luce poi;
ché 'l ciel non è dove non siate voi.


82

Non posso altra figura immaginarmi
o di nud'ombra o di terrestre spoglia,
col più alto pensier, tal che mie voglia
contra la tuo beltà di quella s'armi.

5
Ché da te mosso, tanto scender parmi,
c'Amor d'ogni valor mi priva e spoglia,
ond'a pensar di minuir mie doglia,
duplicando, la morte viene a darmi.

Però non val che più sproni mie fuga,
10
doppiando 'l corso alla beltà nemica,
ché 'l men dal più veloce non si scosta.

Amor con le sue man gli occhi m'asciuga,
promettendomi cara ogni fatica;
ché vile esser non può chi tanto costa.


83

Veggio nel tuo bel viso, signor mio,
quel che narrar mal puossi in questa vita:
l'anima, della carne ancor vestita,
con esso è già più volte ascesa a Dio.

5
E se 'l vulgo malvagio, isciocco e rio,
di quel che sente, altrui segna e addita,
non è l'intensa voglia men gradita,
l'amor, la fede e l'onesto desio.

A quel pietoso fonte, onde siàn tutti,
10
s'assembra ogni beltà che qua si vede
più c'altra cosa alle persone accorte;

né altro saggio abbiàn né altri frutti
del cielo in terra; e chi v'ama con fede
trascende a Dio e fa dolce la morte.


84

Sì come nella penna e nell'inchiostro
è l'alto e 'l basso e 'l medïocre stile,
e ne' marmi l'immagin ricca e vile,
secondo che 'l sa trar l'ingegno nostro;

5
così, signor mie car, nel petto vostro,
quante l'orgoglio è forse ogni atto umile;
ma io sol quel c'a me propio è e simile
ne traggo, come fuor nel viso mostro.

Chi semina sospir, lacrime e doglie,
10
(l'umor dal ciel terreste, schietto e solo,
a vari semi vario si converte),

però pianto e dolor ne miete e coglie;
chi mira alta beltà con sì gran duolo,
ne ritra' doglie e pene acerbe e certe.


85

Com'io ebbi la vostra, signor mio,
cercand'andai fra tutti e' cardinali
e diss'a tre da vostra part' addio.

Al Medico maggior de' nostri mali
5
mostrai la detta, onde ne rise tanto
che 'l naso fe' dua parti dell'occhiali.

Il servito da voi pregiat' e santo
costà e qua, sì come voi scrivete,
n'ebbe piacer, che ne ris'altro tanto.

10
A quel che tien le cose più secrete
del Medico minor non l'ho ancor visto;
farebbes'anche a lui, se fusse prete.

Ècci molt'altri che rinegon Cristo
che voi non siate qua; né dà lor noia
15
ché chi non crede si tien manco tristo.

Di voi a tutti caverò la foia
di questa vostra; e chi non si contenta
affogar possa per le man del boia.

La Carne che nel sal si purg' e stenta
20
che saria buon per carbonat' ancora
di voi più che di sé par si rammenta.

Il nostro Buonarroto, che v'adora,
visto la vostra, se ben veggio, parmi
c'al ciel si lievi mille volte ogn'ora;

25
e dice che la vita de' sua marmi
non basta a far il vostro nom'eterno,
come lui fanno i divin vostri carmi.

Ai qual non nuoce né state né verno,
dal temp' esenti e da morte crudele,
30
che fama di virtù non ha in governo.

E come vostro amico e mio fedele
disse: - Ai dipinti, visti i versi belli,
s'appiccon voti e s'accendon candele.

Dunque i' son pur nel numero di quelli,
35
da un goffo pittor senza valore
cavato a' pennell' e alberelli.

Il Bernia ringraziate per mio amore,
che fra tanti lui sol conosc' il vero
di me; ché chi mi stim' è 'n grand'errore.

40
Ma la sua disciplin' el lum' intero
mi può ben dar, e gran miracol fia,
a far un uom dipint' un uom da vero. -

Così mi disse; e io per cortesia
vel raccomando quanto so e posso,
45
che fia l'apportator di questa mia.

Mentre la scrivo a vers'a verso, rosso
diveng'assai, pensando a cui la mando,
send' il mio non professo, goffo e grosso.

Pur nondimen così mi raccomando
50
anch'io a voi, e altro non accade;
d'ogni tempo son vostro e d'ogni quando.

A voi nel numer delle cose rade
tutto mi v'offerisco, e non pensate
ch'i' manchi, se 'l cappuccio non mi cade.

55
Così vi dico e giuro, e certo siate,
ch'i' non farei per me quel che per voi:
e non m'abbiat'a schifo come frate.

Comandatemi, e fate poi da voi.


86

Ancor che 'l cor già mi premesse tanto,
per mie scampo credendo il gran dolore
n'uscissi con le lacrime e col pianto,

fortuna al fonte di cotale umore
5
le radice e le vene ingrassa e 'mpingua
per morte, e non per pena o duol minore,

col tuo partire; onde convien destingua
dal figlio prima e tu morto dipoi,
del quale or parlo, pianto, penna e lingua.

10
L'un m'era frate, e tu padre di noi;
l'amore a quello, a te l'obrigo strigne:
non so qual pena più mi stringa o nòi.

La memoria 'l fratel pur mi dipigne,
e te sculpisce vivo in mezzo il core,
15
che 'l core e 'l volto più m'affligge e tigne.

Pur mi quieta che il debito, c'all'ore
pagò 'l mio frate acerbo, e tu maturo;
ché manco duole altrui chi vecchio muore.

Tanto all'increscitor men aspro e duro
20
esser dié 'l caso quant'è più necesse,
là dove 'l ver dal senso è più sicuro.

Ma chi è quel che morto non piangesse
suo caro padre, c'ha veder non mai
quel che vedea infinite volte o spesse?

25
Nostri intensi dolori e nostri guai
son come più e men ciascun gli sente:
quant'in me posson tu, Signor, tel sai.

E se ben l'alma alla ragion consente,
tien tanto in collo, che vie più abbondo
30
po' doppo quella in esser più dolente.

E se 'l pensier, nel quale i' mi profondo
non fussi che 'l ben morto in ciel si ridi
del timor della morte in questo mondo,

crescere' 'l duol; ma ' dolorosi stridi
35
temprati son d'una credenza ferma
che 'l ben vissuto a morte me' s'annidi.

Nostro intelletto dalla carne inferma
è tanto oppresso, che 'l morir più spiace
quanto più 'l falso persuaso afferma.

40
Novanta volte el sol suo chiara face
prim'ha nell'oceàn bagnata e molle,
che tu sie giunto alla divina pace.

Or che nostra miseria el ciel ti tolle,
increscati di me, che morto vivo,
45
come tuo mezzo qui nascer mi volle.

Tu se' del morir morto e fatto divo,
né tem'or più cangiar vita né voglia,
che quasi senza invidia non lo scrivo.

Fortuna e 'l tempo dentro a vostra soglia
50
non tenta trapassar, per cui s'adduce
fra no' dubbia letizia e certa doglia.

Nube non è che scuri vostra luce,
l'ore distinte a voi non fanno forza,
caso o necessità non vi conduce.

55
Vostro splendor per notte non s'ammorza,
né cresce ma' per giorno, benché chiaro,
sie quand'el sol fra no' il caldo rinforza.

Nel tuo morire el mie morire imparo,
padre mie caro, e nel pensier ti veggio
60
dove 'l mondo passar ne fa di raro.

Non è, com'alcun crede, morte il peggio
a chi l'ultimo dì trascende al primo,
per grazia, etterno appresso al divin seggio
dove, Die grazia, ti prosumo e stimo
65
e spero di veder, se 'l freddo core
mie ragion tragge dal terrestre limo.

E se tra 1' padre e 'l figlio ottimo amore
cresce nel ciel, crescendo ogni virtute,
. . . . . . . . . . .


87

Vorrei voler, Signor, quel ch'io non voglio:
tra 'l foco e 'l cor di ghiaccia un vel s'asconde
che 'l foco ammorza, onde non corrisponde
la penna all'opre, e fa bugiardo 'l foglio.

5
I' t'amo con la lingua, e poi mi doglio
c'amor non giunge al cor; né so ben onde
apra l'uscio alla grazia che s'infonde
nel cor, che scacci ogni spietato orgoglio.

Squarcia 'l vel tu, Signor, rompi quel muro
10
che con la suo durezza ne ritarda
il sol della tuo luce, al mondo spenta!

Manda 'l preditto lume a noi venturo,
alla tuo bella sposa, acciò ch'io arda
il cor senz'alcun dubbio, e te sol senta.


88

Sento d'un foco un freddo aspetto acceso
che lontan m'arde e sé con seco agghiaccia;
pruovo una forza in due leggiadre braccia
che muove senza moto ogni altro peso.

5
Unico spirto e da me solo inteso,
che non ha morte e morte altrui procaccia,
veggio e truovo chi, sciolto, 'l cor m'allaccia,
e da chi giova sol mi sento offeso.

Com'esser può, signor, che d'un bel volto
10
ne porti 'l mio così contrari effetti,
se mal può chi non gli ha donar altrui?

Onde al mio viver lieto, che m'ha tolto,
fa forse come 'l sol, se nol permetti,
che scalda 'l mondo e non è caldo lui.


89

Veggio co' be' vostr'occhi un dolce lume
che co' mie ciechi già veder non posso;
porto co' vostri piedi un pondo addosso,
che de' mie zoppi non è già costume.

5
Volo con le vostr'ale senza piume;
col vostro ingegno al ciel sempre son mosso;
dal vostro arbitrio son pallido e rosso,
freddo al sol, caldo alle più fredde brume.

Nel voler vostro è sol la voglia mia,
10
i miei pensier nel vostro cor si fanno,
nel vostro fiato son le mie parole.

Come luna da sé sol par ch'io sia,
ché gli occhi nostri in ciel veder non sanno
se non quel tanto che n'accende il sole.


90

I' mi son caro assai più ch'i' non soglio;
poi ch'i' t'ebbi nel cor più di me vaglio,
come pietra c'aggiuntovi l'intaglio
è di più pregio che 'l suo primo scoglio.

5
O come scritta o pinta carta o foglio
più si riguarda d'ogni straccio o taglio,
tal di me fo, da po' ch'i' fu' berzaglio
segnato dal tuo viso, e non mi doglio.

Sicur con tale stampa in ogni loco
10
vo, come quel c'ha incanti o arme seco,
c'ogni periglio gli fan venir meno.

I' vaglio contr'a l'acqua e contr'al foco,
col segno tuo rallumino ogni cieco,
e col mie sputo sano ogni veleno.


91

Perc'all'estremo ardore
che toglie e rende poi
il chiuder e l'aprir degli occhi tuoi
duri più la mie vita,
5
fatti son calamita
di me, de l'alma e d'ogni mie valore;
tal c'anciderm' Amore,
forse perch'è pur cieco,
indugia, triema e teme.

10
C'a passarmi nel core,
sendo nel tuo con teco,
pungere' prima le tuo parte streme
e perché meco insieme
non mora, non m'ancide. O gran martire,
15
c'una doglia mortal, senza morire,
raddoppia quel languire
del qual, s'i' fussi meco, sare' fora.

Deh rendim' a me stesso, acciò ch'i' mora.


92

Quantunche 'l tempo ne costringa e sproni
ognor con maggior guerra
a rendere alla terra
le membra afflitte, stanche e pellegrine,
5
non ha per 'ncor fine
chi l'alma attrista e me fa così lieto.

Né par che men perdoni
a chi 'l cor m'apre e serra,
nell'ore più vicine
10
e più dubiose d'altro viver quieto;
ché l'error consueto,
com più m'attempo, ognor più si fa forte.

O dura mia più c'altra crudel sorte!

tardi orama' puo' tormi tanti affanni;
15
c'un cor che arde e arso è già molt'anni
torna, se ben l'ammorza la ragione,
non più già cor, ma cenere e carbone.


93

Spargendo il senso il troppo ardor cocente
fuor del tuo bello, in alcun altro volto,
men forza ha, signor, molto
qual per più rami alpestro e fier torrente.

5
Il cor, che del più ardente
foco più vive, mal s'accorda allora
co' rari pianti e men caldi sospiri.

L'alma all'error presente
gode c'un di lor mora
10
per gire al ciel, là dove par c'aspiri.

La ragione i martiri
fra lor comparte; e fra più salde tempre
s'accordan tutt'a quattro amarti sempre.


94

D'altrui pietoso e sol di sé spietato
nasce un vil bruto, che con pena e doglia
l'altrui man veste e la suo scorza spoglia
e sol per morte si può dir ben nato.

5
Così volesse al mie signor mie fato
vestir suo viva di mie morta spoglia,
che, come serpe al sasso si discoglia,
pur per morte potria cangiar mie stato.

O fussi sol la mie l'irsuta pelle
10
che, del suo pel contesta, fa tal gonna
che con ventura stringe sì bel seno,

ch'i' l'are' pure il giorno; o le pianelle
che fanno a quel di lor basa e colonna,
ch'i' pur ne porterei duo nevi almeno.


95

Rendete agli occhi mei, o fonte o fiume,
l'onde della non vostra e salda vena,
che più v'innalza e cresce, e con più lena
che non è 'l vostro natural costume.

5
E tu, folt'aïr, che 'l celeste lume
tempri a' trist'occhi, de' sospir mie piena,
rendigli al cor mie lasso e rasserena
tua scura faccia al mie visivo acume.

Renda la terra i passi alle mie piante,
10
c'ancor l'erba germugli che gli è tolta,
e 'l suono eco, già sorda a' mie lamenti;

gli sguardi agli occhi mie tuo luce sante,
ch'i' possa altra bellezza un'altra volta
amar, po' che di me non ti contenti.


96

Sì come secco legno in foco ardente
arder poss'io, s'i' non t'amo di core,
e l'alma perder, se null'altro sente.

E se d'altra beltà spirto d'amore
5
fuor de' tu' occhi è che m'infiammi o scaldi,
tolti sien quegli a chi sanz'essi muore.

S'io non t'amo e ador, ch'e' mie più baldi
pensier sien con la speme tanto tristi
quanto nel tuo amor son fermi e saldi.


97

Al cor di zolfo, a la carne di stoppa,
a l'ossa che di secco legno sièno;
a l'alma senza guida e senza freno
al desir pronto, a la vaghezza troppa;

5
a la cieca ragion debile e zoppa
al vischio, a' lacci di che 'l mondo è pieno;
non è gran maraviglia, in un baleno
arder nel primo foco che s'intoppa.

A la bell'arte che, se dal ciel seco
10
ciascun la porta, vince la natura,
quantunche sé ben prema in ogni loco;

s'i' nacqui a quella né sordo né cieco,
proporzionato a chi 'l cor m'arde e fura,
colpa è di chi m'ha destinato al foco.


98

A che più debb'i' omai l'intensa voglia
sfogar con pianti o con parole meste,
se di tal sorte 'l ciel, che l'alma veste,
tard' o per tempo alcun mai non ne spoglia?

5
A che 'l cor lass' a più languir m'invoglia,
s'altri pur dee morir? Dunche per queste
luci l'ore del fin fian men moleste;
c'ogni altro ben val men c'ogni mia doglia.

Però se 'l colpo ch'io ne rub' e 'nvolo
10
schifar non posso, almen, s'è destinato,
chi entrerà 'nfra la dolcezza e 'l duolo?

Se vint' e preso i' debb'esser beato,
maraviglia non è se nudo e solo
resto prigion d'un cavalier armato.


99

Ben mi dove' con sì felice sorte,
mentre che Febo il poggio tutto ardea,
levar da terra, allor quand'io potea,
con le suo penne, e far dolce la morte.

5
Or m'è sparito; e se 'l fuggir men forte
de' giorni lieti invan mi promettea,
ragione è ben c'all'alma ingrata e rea
pietà le mani e 'l ciel chiugga le porte.

Le penne mi furn'ale e 'l poggio scale,
10
Febo lucerna a' piè; né m'era allora
men salute il morir che maraviglia.

Morendo or senza, al ciel l'alma non sale,
né di lor la memoria il cor ristora:
ché tardi e doppo il danno, chi consiglia?
 
 
 
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