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B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A

 

 

 

 
Raffaello Sanzio
1483 - 1520
 


 






 




S o n e t t i

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I
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Amor, tu m'envesscasti con doi lumi
de doi beli occhi dov'io me strugo e [s]face,
da bianca neve e da rosa vivace,
da un bel parlar in donnessi costumi.

5
Tal che tanto ardo, ch[e] né mar né fiumi
spegnar potrian quel foco; ma non mi spiace,
poiché 'l mio ardor tanto di ben mi face,
ch'ardendo onior più d'arder me consu[mi].

Quanto fu dolce el giogo e la catena
10
de' toi candidi braci al col mio vòl[ti],
che, sogliendomi, io sento mortal pen[a].

D'altre cose io non dico, che fôr m[olti],
ché soperchia docenza a mo[r]te men[a],
e però tacio, a te i pens[e]r rivolti.

Varianti:

O vaghi miei pensi[e]r in me rivolti,
considerade [a] la beltate amena.



II
_________


Como non podde dir d'arcana Dei
Paul, como disceso fu dal c[i]elo,
così el mio cor d'uno amoroso velo
ha ricoperto tuti i penser miei.

5
Però quanto ch'io viddi e quanto io fei
pel gaudio taccio, che nel petto celo,
ma prima cangerò nel fronte el pelo,
che mai l'obligo volga in pensi[e]r rei.

E se quello altero almo in basso cede,
10
vedrai che non fia a me, ma al mio gran foco,
qua più che gli altri in la fervenzia esciede.

Ma pensa ch'el mio spirto a poco a poco
el corpo lasarà, se tua mercede
socorso non li dia a tempo e loco.

Varianti:

1
Però quanto ch'io vidde e quanto io fei
dir non posso io, ch'uno amoroso zelo
fa che talor di morte el crudel felo
se gusta, ma tu rimedio al mio mal sei.

2
Donnqua te pregarò, ché 'l peregar qui lice,
per ritrovarsi in su sublimo loco
a poter dir nel mondo esar felice

3
Adunqua tu sei sola alma felice
in cui el c[i]el tuta beleza pose,
che rivelasse al mondo non se lice,
ch'el tien mio cor come in foco fenice.

4
che 'l mio cor arde qual nel foco fenice.

5
e, se benignia a me tua alma inclina
abasso . . .

6
e se ben guardi . . . infimo loco.

7
. . . Arno, Po, Nil, Inde e Gange

8
e, se 'l pregar mi[o] in te avesse loco,
giammai non resteria chiamar mercede,
fi[n] che nel petto fuso el parlar fi[o]co.

9
ma, se li mi[e] favile a poco a poco

10
[E] guarda a l'ardor mio non abbi a gi[o]co
ché, sendo io tuo sogetto, o[g]ni on concede
che per mia fiama ardresti a poco a poco.

11
E, guarda l'ardor mio non abbi a gi[o]co,
ché, esendo io fiama e tu rai giazio, ho fede
che da mia fiama ardrestí a poco a poco.

12
ma omni amuna gentil di basso loco
cerca surger gran cose, e imperò ho fede
che tua virtù m'esalta a poco a poco.

13
ma asa[i] fia el tacer che dirne poco.



III
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Un pensier dolce è rimembra[r]se in modo
di quello asalto, ma più gravo è il danno
del partir, ch'io restai como quei ch'hano
in mar perso la stella, se 'l ver odo.

5
Or, lingua, di parlar disogli el nodo
a dir di questo inusitato ingano
ch'Amor mi fece per mio gravo afanno,
ma lui pur ne ringrazio e lei ne lodo.

L'ora sesta era, che l'ocaso un sole
10
aveva fatto, e l'altro surse in loco,
ato più da far fati che parole.

Ma io restai pur vinto al mio gran foco
che mi tormenta, ché dove l'on sòle
disiar di parlar, più riman fioco.

Varianti:

1
più di dispetti è ricordarsi el dano
del suo partir . . .

2
molte speranze nel mio peto stanno.

3
e questo sol m'è rimasto ancor

4
quel dolce suo parlar . . .

5
pel fisso immaginar quel . . .

6
nel mio pensi[e]r quel s[u]o pa[rlar] . . .

7
moso tanta letizia che . . .



IV
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[S'] a te servir par mi stegeniase, Amore,
per li efetti dimostri da me in parte,
tu sai el perché, senza vergante in carte
ch'io dimostrai el contrario del mio core.

5
[I]o grido e dico or che tu sei el mio signiore
dal centro al ciel, più sù che Iove o Marte,
e che schermo non val, né ingenio o arte,
a schifar le tue forze e 'l tuo furore.

Or questo qui fia noto: el foco ascoso
10
io portai nel mio peto; ebbi tal grazia,
che inteso alfin fu suo spiar dubioso:

e quell'alma gentil non mi dislazia,
ond'io ringrazio Amor, che a me piatoso
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Varianti:

1
che 'l dol ristrisse del ferite core
s'esso se vede al marzial furore.

2
né Saturno né Jove, Mercurio o Marte

3
e s'alcun temp[o] portai ascoso el foco

4
e che quella che 'l sol vince di luce
or per . . .



V
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[Fe]llo pensier, che in ricercar t'afanni
[d]e dare in preda el cor per più tua pace,
[n]on vedi tu gli efetti aspri e tenace
[de] cului che n'usurpa i più belli anni?

5
[Dur] e fatiche, e voi, famosi afanni,
[r]isvegliate el pensier che in ozio giace,
most[r]ateli quel sole alto che face
[s]alir da' bassi ai più sublimi scanni.

[Div]ine alme celeste, acuti ing[e]ni,
10
che . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
disprezando le pompe e scetri e regni,

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Varianti:

1
. . . ce ho pensier cole che onclinar volti

2
. . . voler seguita la nostra stella

3
non vedi tu da l'uno a l'altro polo.
[D]a l'ocaso al leva[nte] . . .

4
. . . pensier, fa che . . .

5
[d]ivene alme, o voi, celesti ingenie,

6
Sol per most[r]arci . . .



VI
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Come la veggo e chiara sta nel core
tua gran bellezza, il mio pennello franco
non è in pingere egual e viene manco,
perché debol riman per forte amore.

5
Sì mi tormenta lo infinito ardore.
Il volto roseo, il seno colmo e bianco,
con lo rotondo delicato fianco,
ha di vaghezza che abbaglia di splendore.

L'insieme allo pensier tutto commosse,
10
che atto non fe' il saper; perciò nemica
fece la man che al ben ritrar non mosse.

Ognor fisso studiar in dolce amica
quella beltà che ciel credea sol fosse,
fia che il desiar compirà la mia fatica.
 
 
 
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