BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Josephus Octavianus Nobilis de Sabellis

1742 - 1807

 

Vita

 

Textus:

in: Archivio storico Italiano, Tomo undecimo

Gio. Pietro Vieusseux, Direttore-Editore

Al suo Gabinetto Scientifico-Letterario, Firenze 1846

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Vita di

Giuseppe Ottaviano Nobili Savelli,

autore dei versi recati,

scritta da Giuseppe Ottavio Savelli,

suo nipote.

 

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Nacque il gennaio 1742 in Santantonino, famosa castello nelle storie nostre , posto nel centro della provincia di Balagna. Passò l'infanzia sotto la vigilante custodia del padre, uomo d'indole mite, di costumi austeri, e di prudenza rara; dal quale apprese, coi primi rudimenti delle lettere, la concordia della nobile schiettezza con l'incontaminata prudenza. Fu messo a studiare lingua latina sotto la disciplina del sacerdote Simon Pietro Antonini , lodato maestro, e buon facitore di versi. Studiò poi filosofia in un convento dei Minori di S. Francesco, i soli maestri a que' tempi tra noi. Apertasi poi dalla gran mente del Paoli l'Università, e stabilito un collegio nella provincia di Balagna, fu egli dal padre mandato prima in questo per studiare di nuovo, sotto buoni maestri, rettorica e umanità; poi all'università, dove ricominciò il corso della filosofia; s'applicò pure all'algebra e alla geometria; da ultimo si diede alla legge.

Compiti i suoi studj, fu dal Paoli scelto presidente del magistrato di Balagna, quantunque non toccasse ancora l'età di venticinque anni. Quando saltò in capo alla Francia di conquistare la Corsica, armatosi il popolo per difendere la libertà della Patria, dovette anche il mio avo, dotato di gran coraggio, deposta la toga, impugnar le armi, e si trovò più d' una volta in pericolosi conflitti.

Invasa e sommessa nel 1769 tutta l'isola alle armi francesi, s'imbarcò egli su nave inglese nel porto dell' Isola Rossa, e passò in Oneglia, terra dominata dal re di Sardegna, fautore delle cose di Corsica, da cui furono ben ricevuti i profughi nostri. Richiamato indi a non molto dal padre, tornò. Per quel poco tempo che si trattenne in Patria , la incontrava bene col nuovo governo, da cui gli vennero offerti uffici onorevoli e lucrosi; ma egli, acerbamente sofferendo di vedere, come allora sentivasi, la Patria serva, preferì agl' impieghi offertigli dai nuovi padroni e ai comodi della casa paterna, un volontario esilio; e ottenuta la permissione dal padre, e il passaporto dal generale de Vaux, si ritrasse in Toscana, ch' egli fin d' allora ebbe in luogo di Patria.

Passò i primi anni in Pisa, frequentando quella allora famosa Università, e la conversazione degli uomini dotti di que' tempi, il Lampredi, il Pignotti, e Monsignore Stratico; e anche il celebre Alfieri, col quale ebbe mio avo, sì in Pisa che a Firenze, adito e comodo di conversare all' amichevole.

Nella primavera del 1782 andato a Vienna, conobbe il Metastasio; e fermatovisi l'estate, cominciò così per passatempo a tradurre qualche ode d' Orazio. Fattele vedere al Metastasio, questi lo stimolò a seguitare il lavoro. Ritornato in Toscana, mise alla luce un saggio colle stampe di Livorno nel 1784: lodatone per tutta Italia. Molte delle odi da mio avo tradotte, il napoletano Saverio de' Rogati, traduttore d'Anacreonte e di Saffo, fece mettere in musica, e cantare ad illustri cantanti in iscelte conversazioni.

Scoppiò la rivoluzione di Francia: e avendo quell'Assemblea, con veramente onorevole decreto, richiamati in seno alle loro famiglie gli esuli córsi, ritornò mio avo in Patria nel marzo del 1790. Sbarcato in Bastia col sig. Clemente De Paoli e con altri, in mezzo alle sincere acclamazioni dei popoli, fu nominato membro della Commissione suprema che regolava allora le cose di Corsica, e presidente.

Finchè le cose nel Regno ebbero un andamento ragionevole, si mostrò sempre, mio avo, fedele al Governo; ma dopo il gennaio del 1793 non potè più sentire senza ribrezzo i nomi di libertà e di repubblica. Separatasi la Corsica dalla Francia, in assemblea libera e generale implorò la protezione del re d'Inghilterra, e quindi furono scelti dal Paoli quattro deputati presso quel re, per supplicarlo ad accettar la corona. Il mio avo, come uno di questi, parti per Londra nel luglio del 1794; e dopo aver soddisfatto all' onorevole missione, per tutto quell' anno restò in Inghilterra. Ritornato in Patria , si trovò nominato consigliere del re, il quale uffizio tenne per poco, spontaneamente rinunziando all'onore ed al lucro per vivere in seno alla sua famiglia, e per attendere con maggior libertà a' cari studi, e soprattutto al prediletto suo Orazio, del quale egli finì quasi tutta la versione in quel breve intervallo di riposo, che disgraziatamente assai poco durò. Poichè, abbandonata dagl'Inglesi quasi che all'improvviso la Corsica, si cadde di bel nuovo sotto la Repubblica francese, la quale concesse una specie di amnistia. Mio avo dichiarò di voler profittarne, vivendo raccolto nel silenzio domestico. Ma sotto pretesto ch' egli aveva portato a Londra, come dicevasi, la corona di Corsica, fu dalla detta amnistia escluso; e per un decreto speciale del Direttorio, intimatagli la deportazione, e poco dopo ascritto al numero de' migrati.

Forzato per la seconda volta a spatriare, ritornò nella bella e diletta Toscana nell' aprile del 1797; e rivisti con vicendevol piacere gli amici, passò per lo più i suoi giorni nell' amena villa di Montegufoni vicina a Firenze, dolce rifugio offertogli dalla cortese contessa Acciajoli, dove proseguendo il suo solito tenor di vita, diede l'ultima mano all' Orazio.

Dopo un viaggio a Roma di due mesi nel 1800, tornando a Firenze, passò da Fuligno: quivi per godere la dolce compagnia di alcuni suoi amici, stette l'inverno , e quivi in tre tomi stampò l'intera traduzione d'Orazio. Non mai appieno contento del lavoro, e sempre applicato al dilucidamento del testo e al ripurgamento della versione, aveva messo in ordine una edizione nuova , cui non potè dar mano, sorpreso dalla morte in età di anni sessantacinque, dopo lunga e dolorosa malattia sofferta con cristiano coraggio. Mori la notte del 29 maggio del 1807 in Firenze; e il di lui corpo fu il giorno appresso decentemente trasportato nella villa di Montegufoni, siccome aveva egli stesso ordinato nel suo testamento, e seppellito nella prioria di quel luogo, dove gli fu innalzata marmorea lapide con iscrizione composta dall' Ab. Zipoli, segretario intimo di Ferdinando III, e precettore del principe erede.