BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Il Novellino

ca. 1290

 

Il Novellino

 

91 – 100

Indecorosità, goffaggine, stoltezza

 

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XCI

Come uno si confessò

da un frate.

 

Uno si confessò da un frate e disse che, essendo egli una volta alla ruba d'una casa con assai gente, «il mio intendimento si era di trovare in una cassa cento fiorini d'oro, et io la trovai vota: ond'io non ne credo avere peccato».

Il frate rispose:

«Certo sì hai, tale come se tu li avessi avuti».

Questi si mostrò molto crucciato e disse:

«Per Dio, consigliatemi».

E 'l frate rispuose:

«Io non ti posso prosciogliere se tue no·lli rendi».

E que' disse:

«Io il voglio fare volontieri, ma non so a cui».

E 'l frate rispuose:

«Recali a me, et io li darò per Dio».

Questi li promise e partissi; e prese tanta contezza che vi tornò l'altra mattina e, ragionando co·llui, disse che 'l ghera mandato un bello storione, e che glile volea mandare a disinare. Lo frate li ne rendé molte grazie.

Partisi questi, e non lile mandò, e l'altro dì tornò al frate con allegra cera. Il frate li disse:

«Perché mi facesti tanto aspettare?»

E que' rispuose:

«O credevatelo voi avere?».

«Certo sì».

«E non l'aveste?»

«No».

«Dico ch'è altrettale, come se voi lo aveste avuto».

 

 

XCII

Qui conta d'una buona femina ch'avea

fatta una fine crostata.

 

Fue una buona femina, ch'avea fatta una fine crostata d'anguille, et aveala messa nella madia. Poco stante, vidde entrare uno topo per la finestrella, che traeva all'odore. Quella allettò la gatta e misela nella madia perché vi pigliasse entro, e turò la finestrella.

Il topo si nascose tra la farina e la gatta si mangiò la crostata e, quand'ella aperse, il topo ne saltò fuori e la gatta, perch'era satolla, non lo prese.

 

 

XCIII

Qui conta d'uno villano che

s'andò a confessare.

 

Un villano si andò un giorno a confessare, e pigliò dell'acqua benedetta, e vide il prete che lavorava nel colto.

Chiamollo e disse:

«O sere, io mi vorrei confessare».

Rispuose il prete:

«Confessastiti tu anno?»

E que' rispose:

«Sì».

«Or metti un danaio nel colombaio, et aquella medesima ragione ti fo uguanno, c'anno».

 

 

XCIV

Qui conta della volpe

e del mulo.

 

La volpe andando per un bosco sì trovò un mulo: e mai non n'avea più veduti. Ebbe grande paura e fuggì; e, così fuggendo, trovoe il lupo e disse come avea trovata una novissima bestia e non sapea suo nome. Il lupo disse:

«Andianvi».

Furono giunti a lui. Al lupo parve vie più nuova. La volpe il domandò di suo nome. Il mulo rispuose:

«Certo io non l'ho bene a mente; ma, se tu sai leggere, io l'ho iscritto nel piè diritto di dietro».

La volpe rispose:

«Lassa, ch'io non so leggere! Ché molto lo saprei volentieri».

Rispuose il lupo:

«Lascia fare a me, che molto lo so ben fare».

Il mulo sì li mostrò il piede dritto, sì che li chiovi pareano lettere. Disse il lupo:

«Io non le veggio bene».

Rispose il mulo:

«Fatti più presso, però che sono minute».

Il lupo si fece sotto e guardava fiso. Il mulo trasse e dielli un calcio tale, che l'uccise. Allora la volpe se n'andò e disse:

«Ogne uomo che sa lettera non è savio».

 

 

XCV

Qui conta d'uno martore di villa

c'andava a cittade.

 

Uno martore di villa venia a Firenze per comperare uno farsetto. Domandò a una bottega ov'era il maestro. Non v'era. Uno discepolo disse:

«Io sono il maestro. Che vuoli?»

«Voglio uno farsetto».

Questi ne trovò uno. Provogliele. Furono a mercato. Questi non avea il quarto danari. Il discepolo, mostrandosi d'acconciarlile da piede, sì gli apuntò la camiscia col farsetto e poi disse:

«Tra'l·ti».

Quelli lo si trasse. Rimase ignudo. Li altri discepoli furo intenti con le coregge: lo scoparo per tutta la contrada.

 

 

XCVI

Qui conta di Bito e di ser Frulli

di Firenze da San Giorgio.

 

Bito fue fiorentino e fue bello uomo di corte, e dimorava a San Giorgio Oltrarno. Avea un vecchio c'avea nome ser Frulli, et avea un suo podere di sopra a San Giorgio, molto bello, sì che quasi tutto l'anno vi dimorava con la sua famiglia; e le più mattine mandava la fante sua a vendere frutta e camangiare alla piazza del Ponte Vecchio; et era sì iscarsissimo e sfidato, che faceva i mazzi del camangiare colle sue mani e anoveravali alla fante e faceva la ragione che pigliava. Il maggiore amonimento che le dava si era che non si posasse in San Giorgio, però che v'avea femine ladre.

Una mattina passava la detta fante con uno paniere di cavoli. Bito, che prima l'avea pensato, s'avea messa la più ricca roba di vaio ch'avea et, essendo in sulla panca di fuori, chiamò la fante, et ella venne a·llui incontanente: e molte femine l'aveano chiamata prima, non vi volle ire.

«Buona femina, come dai cotesti cavoli?».

«Messere, due mazzi a danaio».

«Certo, questa è buona derrata; ma dicoti che non ci sono se non io e la fante mia, ché tutta la famiglia mia è in villa: sicché troppo mi sarebbe una derrata, et io li amo più volentieri freschi».

Usavansi allora le medaglie, in Firenze, che le due valevano uno danaio piccolo. Però disse Bito:

«Dammene ora una medaglia: dammi un danaio e te' una medaglia; et un'altra volta torrò l'altro mazzo».

A·llei parve che dicesse bene, e così fece; e poi andoe a vendere li altri a quella ragione che 'l signore li avea data; e tornò a casa e diede a ser Frulli la moneta.

Quelli, annoverando più volte, pur trovava meno un danaio, e disselo alla fante. Ella rispuose:

«Non può essere».

Quelli, riscaldandosi co·llei, domandolla se s'era posata a San Giorgio. Quella volle negare; ma tanto la scalzò, ch'ella disse:

«Sì posai a un bel cavaliere; e pagommi finemente. E dicovi ch'io li debbo dare ancora un mazzo di cavoli».

Rispuose ser Frulli:

«Dunque, ci avrebbe ora meno un danaio in uno danaio e. mezzo».

Pensòvi suso, avidesi dello 'nganno, disse alla fante molta villania e domandolla dove quelli stava. Ella lile disse a punto. Avidesi ch'era Bito, che molte beffe li avea già fatte. Riscaldato d'ira, la mattina per tempo si levò e misesi sotto le pelli una spada rugginosa e venne in capo del ponte; e là trovò Bito, che sedea con molta buona gente. Alza questa spada: e fedito l'avrebbe, se non fosse uno che 'l tenne per lo braccio. Le genti vi trassero smemorate, credendo che fosse altro, e Bito ebbe gran paura; ma poi, ricordandosi come era, incominciò a sorridere.

Le genti ch'erano intorno a ser Frulli domandarlo com'era. Quelli il disse con tanta ambascia, ch'a pena poteva. Bito fece cessare le genti e disse:

«Ser Frulli, io mi voglio conciare con voi. Non ci abbia più parole: rendete il danaio mio e tenete la medaglia vostra, et abbiatevi il mazzo de' cavoli con la maladizione di Dio».

Ser Frulli rispuose:

«Ben mi piace. E se così avessi detto in prima, tutto questo non ci sarebbe stato».

E, non accorgendosi della beffa, si·lli diè un danaio e tolse una medaglia, et andonne consolato. Le risa vi furo grandissime.

 

 

XCVII

Qui conta come uno mercatante portò vino oltre mare

in botti a due palcora,e come l'intervenne.

 

Un mercante portò vino oltre mare, in botti a due palcora: di sotto e di sopra avea vino e nel mezzo acqua, tanto che la metà era vino e la metà acqua. Di sotto e di sopra avea squilletto, e nel mezzo no. Vendero l'acqua per vino, e radoppiaro i danari sopra tutto lo guadagno; e tosto che furo pagati, sì montaro in su un legno e misersi in mare con questa moneta. E per sentenzia di Dio apparve nella nave un grande scimion e prese il taschetto di questa moneta e andonne in cima dell'albero. Quelli, per paura ch'elli no 'l gittasse in mare, andaro con esso per via di lusinghe.

Il bertuccio si puose a sedere e sciolse il taschetto con bocca e toglieva i danari dell'oro ad uno ad uno: l'uno gittava in mare, e l'altro lasciava cadere nella nave; e tanto fece, che l'una metà si trovò nella nave, col guadagno che far se ne dovea.

 

 

XCVIII

Qui conta d'uno mercatante

che comperò berrette.

 

Uno mercatante che recava berrette, sì li si bagnaro; e, avendole tese, sì v'apariro molte scimie, e catuna se ne mise una in capo, e fuggivano su per li alberi.

A costui ne parve male: tornò indietro e comperò calzari e presele: e fecene buon guadagno.

 

 

XCIX

Qui conta una bella

novella d'amore.

 

Un giovane di Firenze sì amava d'amore una gentile pulzella, la quale non amava neente lui, ma amava a dismisura un altro giovane, lo quale amava anche lei, ma non tanto ad assai quanto costui. E ciò si parea: ché costui n'avea lasciato ogni altra cosa, e consumavasi come smemorato, e spezialmente il giorno ch'elli non la vedea.

A un suo compagno ne 'ncrebbe: fece tanto, che lo menò a un suo bellissimo luogo, e là tranquillaro quindeci dì.

In quel mezzo, la fanciulla si crucciò con la madre: mandò la fante e fece parlare a colui cui amava, che ne voleva andar con lui. Quelli fu molto lieto. La fante disse:

«Ella vuole che voi vegniate a cavallo già quando fia notte ferma. Ella farà vista di scendere nella cella; aparecchiato sarete all'uscio, e gitteravisi in groppa: ell'è leggiera e sa ben cavalcare».

Elli rispuose:

«Ben mi piace».

Quand'ebbero così ordinato, fece grandemente apparecchiare a un suo luogo: et ebbevi suoi compagni a cavallo e feceli stare alla porta perché non fosse serrata, e mossesi con un fine ronzone e passò dalla casa. Ella non era ancora potuta venire, perché la madre la guardava troppo. Questi andò oltre per tornare a' compagni.

Ma quelli che consumato era in villa, non trovava luogo: era salito a cavallo, e 'l compagno suo no 'l seppe tanto pregare, che 'l potesse ritenere; e non volle la sua compagnia. Giunse quella sera alle mura. Le porte erano tutte serrate, ma tanto acerchiò, che s'abatté a quella porta dov'erano coloro. Entrò dentro. Andonne inverso la magione di colei, non per intendimento di trovarla né di vederla, ma solo per vedere la contrada. Essendo ristato di rimpetto alla casa (di poco era passato l'altro), la fanciulla diserrò l'uscio e chiamollo sottoboce e disse che acostasse il cavallo. Questi non fu lento: accostossi, et ella li si gittò vistamente in groppa, et andarono via. Quando furo alla porta, li compagni dell'altro non li diedero briga, ché no 'l conobbero: però che se fosse stato colui cui elli aspettavano sarebbe ristato co·lloro.

Questi cavalcaro ben diece miglia, tanto che furono in un bello prato intorniato di grandissimi abeti. Smontaro e legaro il cavallo a un albero: e' prese a basciarla; quella il conobbe: accorsesi della disaventura. Cominciò a piangere duramente. Ma questi la prese a confortare lagrimando et a renderle tanto onore, ch'ella lasciò il piagnere e preseli a volere bene, veggendo che·lla ventura era pur di costui; et abbracciollo.

Quell'altro cavalcò poi più volte, tanto che udì il padre e la madre fare romore nell'agio, e intese dalla fante com'ella n'era andata in cotal modo. Questi sbigottì: tornò a' compagni e disselo loro. E que' rispuosero:

«Ben lo vedemmo passar co·llei, ma no 'l conoscemmo: et è tanto, che puote essere bene alungato; et andarne per cotale strada».

Misersi incontanente a tenere loro dietro: cavalcaro tanto, che·lli trovaro dormire così abbracciati: e miravagli per lo lume della luna ch'era apparito. Allora ne 'ncrebbe loro disturbarli e dissero:

«Aspettiamo tanto ch'elli si sveglieranno, e poi faremo quello ch'avemo a fare».

E così stettero tanto che 'l sonno giunse e furo tutti adormentati.

Coloro si svegliaro in questo mezzo, e trovaro ciò ch'era.

Maravigliarsi; e disse il giovane:

«Costoro ci hanno fatta tanta cortesia, che non piaccia a Dio che noi li ofendiamo»:

ma salìo questi a cavallo, et ella si gittò in su un altro de' migliori che v'erano, e poscia tutti i freni degli altri cavalli tagliaro et andarsi via.

Quelli si destaro e fecero gran corrotto, perché più non li potevano ire cercando.

 

 

C

Come lo 'mperadore Federigo andò

alla montagna del Veglio.

 

Lo 'mperadore Federigo andò una volta infino alla montagna del Veglio, e fulli fatto grande onore. Il Veglio, per mostrarli com'era temuto, guardò in alti e vide in su la torre due assessini. Presesi la gran barba: quelli se ne gittaro in terra e moriro.

Lo 'mperadore medesimo sì volle provare la moglie, però che li era detto che un suo barone giaceva con lei. Levossi una notte et andò a·llei nella camera, e quella disse:

«Messere, voi ci foste pur ora un'altra volta».