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B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A

 

 

 

 
Michelangelo Buonarroti
Rime
 


 






 




R i m e  1 0 0  -  1 9 9

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100

Ben fu, temprando il ciel tuo vivo raggio,
solo a du' occhi, a me di pietà vòto,
allor che con veloce etterno moto
a noi dette la luce, a te 'l vïaggio.

5
Felice uccello, che con tal vantaggio
da noi, t'è Febo e 'l suo bel volto noto,
e più c'al gran veder t'è ancora arroto
volare al poggio, ond'io rovino e caggio.


101

Perché Febo non torce e non distende
d'intorn' a questo globo freddo e molle
le braccia sua lucenti, el vulgo volle
notte chiamar quel sol che non comprende.

5
E tant'è debol, che s'alcun accende
un picciol torchio, in quella parte tolle
la vita dalla notte, e tant'è folle
che l'esca col fucil la squarcia e fende.

E s'egli è pur che qualche cosa sia
10
cert'è figlia del sol e della terra;
ché l'un tien l'ombra, e l'altro sol la cria.

Ma sia che vuol, che pur chi la loda erra,
vedova, scura, in tanta gelosia,
c'una lucciola sol gli può far guerra.


102

O notte, o dolce tempo, benché nero,
con pace ogn' opra sempr' al fin assalta;
ben vede e ben intende chi t'esalta,
e chi t'onor' ha l'intelletto intero.

5
Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero;
ché l'umid' ombra ogni quiet' appalta,
e dall'infima parte alla più alta
in sogno spesso porti, ov'ire spero.

O ombra del morir, per cui si ferma
10
ogni miseria a l'alma, al cor nemica,
ultimo delli afflitti e buon rimedio;

tu rendi sana nostra carn' inferma,
rasciughi i pianti e posi ogni fatica,
e furi a chi ben vive ogn'ira e tedio.


103

Ogni van chiuso, ogni coperto loco,
quantunche ogni materia circumscrive,
serba la notte, quando il giorno vive,
contro al solar suo luminoso gioco.

5
E s'ella è vinta pur da fiamma o foco,
da lei dal sol son discacciate e prive
con più vil cosa ancor sue specie dive,
tal c'ogni verme assai ne rompe o poco.

Quel che resta scoperto al sol, che ferve
10
per mille vari semi e mille piante,
il fier bifolco con l'aratro assale;
ma l'ombra sol a piantar l'uomo serve.

Dunche, le notti più ch'e' dì son sante,
quanto l'uom più d'ogni altro frutto vale.


104

Colui che fece, e non di cosa alcuna,
il tempo, che non era anzi a nessuno,
ne fe' d'un due e diè 'l sol alto all'uno,
all'altro assai più presso diè la luna.

5
Onde 'l caso, la sorte e la fortuna
in un momento nacquer di ciascuno;
e a me consegnaro il tempo bruno,
come a simil nel parto e nella cuna.

E come quel che contrafà se stesso,
10
quando è ben notte, più buio esser suole,
ond'io di far ben mal m'affliggo e lagno.

Pur mi consola assai l'esser concesso
far giorno chiar mia oscura notte al sole
che a voi fu dato al nascer per compagno.


105

Non vider gli occhi miei cosa mortale
allor che ne' bei vostri intera pace
trovai, ma dentro, ov'ogni mal dispiace,
chi d'amor l'alma a sé simil m'assale;

5
e se creata a Dio non fusse equale,
altro che 'l bel di fuor, c'agli occhi piace,
più non vorria; ma perch'è sì fallace,
trascende nella forma universale.

Io dico c'a chi vive quel che muore
10
quetar non può disir; né par s'aspetti
l'eterno al tempo, ove altri cangia il pelo.

Voglia sfrenata el senso è, non amore,
che l'alma uccide; e 'l nostro fa perfetti
gli amici qui, ma più per morte in cielo.


106

Per ritornar là donde venne fora,
l'immortal forma al tuo carcer terreno
venne com'angel di pietà sì pieno,
che sana ogn'intelletto e 'l mondo onora.

5
Questo sol m'arde e questo m'innamora,
non pur di fuora il tuo volto sereno:
c'amor non già di cosa che vien meno
tien ferma speme, in cui virtù dimora.

Né altro avvien di cose altere e nuove
10
in cui si preme la natura, e 'l cielo
è c' a' lor parti largo s'apparecchia;

né Dio, suo grazia, mi si mostra altrove
più che 'n alcun leggiadro e mortal velo;
e quel sol amo perch'in lui si specchia.


107

Gli occhi mie vaghi delle cose belle
e l'alma insieme della suo salute
non hanno altra virtute
c'ascenda al ciel, che mirar tutte quelle.

5
Dalle più alte stelle
discende uno splendore
che 'l desir tira a quelle,
e qui si chiama amore.

Né altro ha il gentil core
10
che l'innamori e arda, e che 'l consigli,
c'un volto che negli occhi lor somigli.


108

Indarno spera, come 'l vulgo dice,
chi fa quel che non de' grazia o mercede.

Non fu', com'io credetti, in vo' felice,
privandomi di me per troppa fede,
5
né spero com'al sol nuova fenice
ritornar più; ché 'l tempo nol concede.

Pur godo il mie gran danno sol perch'io
son più mie vostro, che s'i' fussi mio.


109

Non sempre a tutti è sì pregiato e caro
quel che 'l senso contenta,
c'un sol non sia che 'l senta,
se ben par dolce, pessimo e amaro.

5
Il buon gusto è sì raro
c'al vulgo errante cede
in vista, allor che dentro di sé gode.

Così, perdendo, imparo
quel che di fuor non vede
10
chi l'alma ha trista, e ' suo sospir non ode.

El mondo è cieco e di suo gradi o lode
più giova a chi più scarso esser ne vuole,
come sferza che 'nsegna e parte duole.


110

Io dico a voi c'al mondo avete dato
l'anima e 'l corpo e lo spirto 'nsïeme:
in questa cassa oscura è 'l vostro lato.


111

S'egli è, donna, che puoi
come cosa mortal, benché sia diva
di beltà, c'ancor viva
e mangi e dorma e parli qui fra noi,
5
a non seguirti poi,
cessato il dubbio, tuo grazia e mercede,
qual pena a tal peccato degna fora?

Ché alcun ne' pensier suoi,
co' l'occhio che non vede,
10
per virtù propia tardi s'innamora.

Disegna in me di fuora,
com'io fo in pietra od in candido foglio,
che nulla ha dentro, e èvvi ciò ch'io voglio.


112

Il mio refugio e 'l mio ultimo scampo
qual più sicuro è, che non sia men forte
che 'l pianger e 'l pregar? e non m'aita.

Amore e crudeltà m'han posto il campo:
5
l'un s'arma di pietà, l'altro di morte;
questa n'ancide, e l'altra tien in vita.

Così l'alma impedita
del mio morir, che sol poria giovarne,
più volte per andarne
10
s'è mossa là dov'esser sempre spera,
dov'è beltà sol fuor di donna altiera;
ma l'imagine vera,
della qual vivo, allor risorge al core,
perché da morte non sia vinto amore.


113

Esser non può già ma' che gli occhi santi
prendin de' mie, com'io di lor, diletto,
rendendo al divo aspetto,
per dolci risi, amari e tristi pianti.

5
O fallace speranza degli amanti!

Com'esser può dissimile e dispari
l'infinita beltà, 'l superchio lume
da ogni mie costume,
che meco ardendo, non ardin del pari?

10
Fra duo volti diversi e sì contrari
s'adira e parte da l'un zoppo Amore;
né può far forza che di me gl'incresca,
quand'in un gentil core
entra di foco, e d'acqua par che n'esca.


114

Ben vinci ogni durezza
cogli occhi tuo, com'ogni luce ancora;
ché, s'alcun d'allegrezza avvien che mora,
allor sarebbe l'ora
5
che gran pietà comanda a gran bellezza.

E se nel foco avvezza
non fusse l'alma, già morto sarei
alle promesse de' tuo primi sguardi,
ove non fur ma' tardi
10
gl'ingordi mie nimici, anz'occhi mei;
né doler mi potrei
di questo non poter, che non è teco.

Bellezza e grazia equalmente infinita,
dove più porgi aita,
15
men puoi non tor la vita,
né puoi non far chiunche tu miri cieco.


115

Lezi, vezzi, carezze, or, feste e perle,
chi potria ma' vederle
cogli atti suo divin l'uman lavoro,
ove l'argento e l'oro
5
da le' riceve o duplica suo luce?

Ogni gemma più luce
dagli occhi suo che da propia virtute.


116

Non mi posso tener né voglio, Amore,
crescendo al tuo furore,
ch'i' nol te dica e giuri:
quante più inaspri e 'nduri,
5
a più virtù l'alma consigli e sproni;
e se talor perdoni
a la mie morte, agli angosciosi pianti,
com'a colui che muore,
dentro mi sento il core
10
mancar, mancando i mie tormenti tanti.

Occhi lucenti e santi,
mie poca grazia m'è ben dolce e cara,
c'assai acquista chi perdendo impara.


117

S'egli è che 'l buon desio
porti dal mondo a Dio
alcuna cosa bella,
sol la mie donna è quella,
5
a chi ha gli occhi fatti com'ho io.

Ogni altra cosa oblio
e sol di tant'ho cura.

Non è gran maraviglia,
s'io l'amo e bramo e chiamo a tutte l'ore;
10
né propio valor mio,
se l'alma per natura
s'appoggia a chi somiglia
ne gli occhi gli occhi, ond'ella scende fore.

Se sente il primo amore
15
come suo fin, per quel qua questa onora:
c'amar diè 'l servo chi 'l signore adora.


118

Ancor che 'l cor già molte volte sia
d'amore acceso e da troppi anni spento,
l'ultimo mie tormento
sarie mortal senza la morte mia.

5
Onde l'alma desia
de' giorni mie, mentre c'amor m'avvampa,
l'ultimo, primo in più tranquilla corte.

Altro refugio o via
mie vita non iscampa
10
dal suo morir, c'un'aspra e crudel morte;
né contr'a morte è forte
altro che morte, sì c'ogn'altra aita
è doppia morte a chi per morte ha vita.


119

Dal primo pianto all'ultimo sospiro,
al qual son già vicino,
chi contrasse già mai sì fier destino
com'io da sì lucente e fera stella?

5
Non dico iniqua o fella,
che 'l me' saria di fore,
s'aver disdegno ne troncasse amore;
ma più, se più la miro,
promette al mio martiro
10
dolce pietà, con dispietato core.

O desiato ardore!

ogni uom vil sol potria vincer con teco,
ond'io, s'io non fui cieco,
ne ringrazio le prime e l'ultime ore
15
ch'io la vidi; e l'errore
vincami; e d'ogni tempo sia con meco,
se sol forza e virtù perde con seco.


120

Ben tempo saria omai
ritrarsi dal martire,
ché l'età col desir non ben s'accorda;
ma l'alma, cieca e sorda,
5
Amor, come tu sai,
del tempo e del morire
che, contro a morte ancor, me la ricorda;
e se l'arco e la corda
avvien che tronchi o spezzi
10
in mille e mille pezzi,
prega te sol non manchi un de' suoi guai:
ché mai non muor chi non guarisce mai.


121

Come non puoi non esser cosa bella,
esser non puoi che pietosa non sia;
sendo po' tutta mia,
non puo' poter non mi distrugga e stempre.

5
Così durando sempre
mie pietà pari a tua beltà qui molto,
la fin del tuo bel volto
in un tempo con ella
fie del mie ardente core.

10
Ma poi che 'l spirto sciolto
ritorna alla suo stella,
a fruir quel signore
ch'e' corpi a chiunche muore
eterni rende o per quiete o per lutto;
15
priego 'l mie, benché brutto,
com'è qui teco, il voglia in paradiso:
c'un cor pietoso val quant'un bel viso.


122

Se 'l foco al tutto nuoce,
e me arde e non cuoce,
non è mia molta né sua men virtute,
ch'io sol trovi salute
5
qual salamandra, là dove altri muore.

Né so chi in pace a tal martir m'ha volto:
da te medesma il volto,
da me medesmo il core
fatto non fu, né sciolto
10
da noi fia mai il mio amore;
più alto è quel signore
che ne' tu' occhi la mia vita ha posta.

S'io t'amo, e non ti costa,
perdona a me, come io a tanta noia,
15
che fuor di chi m'uccide vuol ch'i' muoia.


123

Quante più par che 'l mie mal maggior senta,
se col viso vel mostro,
più par s'aggiunga al vostro
bellezza, tal che 'l duol dolce diventa.

5
Ben fa chi mi tormenta,
se parte vi fa bella
della mie pena ria:
se 'l mie mal vi contenta,
mie cruda e fera stella,
10
che farie dunche con la morte mia?

Ma s'è pur ver che sia
vostra beltà dall'aspro mie martire,
e quel manchi al morire,
morend'io, morrà vostra leggiadria.

15
Però fate ch'i' stia
col mie duol vivo, per men vostro danno;
e se più bella al mie mal maggior siete,
l'alma n'ha ben più quiete:
c'un gran piacer sopporta un grande affanno.


124

Questa mie donna è sì pronta e ardita,
c'allor che la m'ancide ogni mie bene
cogli occhi mi promette, e parte tiene
il crudel ferro dentro a la ferita.

5
E così morte e vita,
contrarie, insieme in un picciol momento
dentro a l'anima sento;
ma la grazia il tormento
da me discaccia per più lunga pruova:
10
c'assai più nuoce il mal che 'l ben non giova.


125

Tanto di sé promette
donna pietosa e bella,
c'ancor mirando quella
sarie qual fu' per tempo, or vecchio e tardi.

5
Ma perc'ognor si mette
morte invidiosa e fella
fra ' mie dolenti e ' suo pietosi sguardi,
solo convien ch'i' ardi
quel picciol tempo che 'l suo volto oblio.

10
Ma poi che 'l pensier rio
pur la ritorna al consueto loco,
dal suo fier ghiaccio è spento il dolce foco.


126

Se l'alma è ver, dal suo corpo disciolta,
che 'n alcun altro torni
a' corti e brevi giorni,
per vivere e morire un'altra volta,
5
la donna mie, di molta
bellezza agli occhi miei,
fie allor com'or nel suo tornar sì cruda?

Se mie ragion s'ascolta,
attender la dovrei
10
di grazia piena e di durezza nuda.

Credo, s'avvien che chiuda
gli occhi suo begli, arà, come rinnuova,
pietà del mie morir, se morte pruova.


127

Non pur la morte, ma 'l timor di quella
da donna iniqua e bella,
c'ognor m'ancide, mi difende e scampa;
e se talor m'avvampa
5
più che l'usato il foco in ch'io son corso,
non trovo altro soccorso
che l'immagin sua ferma in mezzo il core:
ché dove è morte non s'appressa Amore.


128

Se 'l timor della morte
chi 'l fugge e scaccia sempre
lasciar là lo potessi onde ei si muove,
Amor crudele e forte
5
con più tenaci tempre
d'un cor gentil faria spietate pruove.

Ma perché l'alma altrove
per morte e grazia al fin gioire spera,
chi non può non morir gli è 'l timor caro
10
al qual ogni altro cede.

Né contro all'alte e nuove
bellezze in donna altera
ha forza altro riparo
che schivi suo disdegno o suo mercede.

15
Io giuro a chi nol crede,
che da costei, che del mio pianger ride,
sol mi difende e scampa chi m'uccide.


129

Da maggior luce e da più chiara stella
la notte il ciel le sue da lunge accende:
te sol presso a te rende
ognor più bella ogni cosa men bella.

5
Qual cor più questa o quella
a pietà muove o sprona,
c'ognor chi arde almen non s'agghiacc'egli?

Chi, senza aver, ti dona
vaga e gentil persona
10
e 'l volto e gli occhi e ' biondi e be' capegli.

Dunche, contr'a te quegli
ben fuggi e me con essi,
se 'l bello infra ' non begli
beltà cresce a se stessi.

15
Donna, ma s' tu rendessi
quel che t'ha dato il ciel, c'a noi l'ha tolto,
sarie più 'l nostro, e men bello il tuo volto.


130

Non è senza periglio
il tuo volto divino
dell'alma a chi è vicino
com'io a morte, che la sento ognora;
5
ond'io m'armo e consiglio
per far da quel difesa anzi ch'i' mora.

Ma tuo mercede, ancora
che 'l mie fin sie da presso,
non mi rende a me stesso;
10
né danno alcun da tal pietà mi scioglie:
ché l'uso di molt'anni un dì non toglie.


131

Sotto duo belle ciglia
le forze Amor ripiglia
nella stagion che sprezza l'arco e l'ale.

Gli occhi mie, ghiotti d'ogni maraviglia
5
c'a questa s'assomiglia,
di lor fan pruova a più d'un fero strale.

E parte pur m'assale,
appresso al dolce, un pensier aspro e forte
di vergogna e di morte;
10
né perde Amor per maggior tema o danni:
c'un'or non vince l'uso di molt'anni.


132

Mentre che 'l mie passato m'è presente,
sì come ognor mi viene,
o mondo falso, allor conosco bene
l'errore e 'l danno dell'umana gente:
5
quel cor, c'alfin consente
a' tuo lusinghi e a' tuo van diletti,
procaccia all'alma dolorosi guai.

Ben lo sa chi lo sente,
come spesso prometti
10
altrui la pace e 'l ben che tu non hai
né debbi aver già mai.

Dunche ha men grazia chi più qua soggiorna:
ché chi men vive più lieve al ciel torna.


133

Condotto da molt'anni all'ultim'ore,
tardi conosco, o mondo, i tuo diletti:
la pace che non hai altrui prometti
e quel riposo c'anzi al nascer muore.

5
La vergogna e 'l timore
degli anni, c'or prescrive
il ciel, non mi rinnuova
che 'l vecchio e dolce errore,
nel qual chi troppo vive
10
l'anima 'ncide e nulla al corpo giova.

Il dico e so per pruova
di me, che 'n ciel quel sol ha miglior sorte
ch'ebbe al suo parto più presso la morte.


134

- Beati voi che su nel ciel godete
le lacrime che 'l mondo non ristora,
favvi amor forza ancora,
o pur per morte liberi ne siete?
5
- La nostra etterna quiete,
fuor d'ogni tempo, è priva
d'invidia, amando, e d'angosciosi pianti.

- Dunche a mal pro' ch'i' viva
convien, come vedete,
10
per amare e servire in dolor tanti.

Se 'l cielo è degli amanti
amico, e 'l mondo ingrato,
amando, a che son nato?

A viver molto? E questo mi spaventa:
15
ché 'l poco è troppo a chi ben serve e stenta.


135

Mentre c'al tempo la mie vita fugge,
amor più mi distrugge,
né mi perdona un'ora,
com'i' credetti già dopo molt'anni.

5
L'alma, che trema e rugge,
com'uom c'a torto mora,
di me si duol, de' sua etterni danni.

Fra 'l timore e gl'inganni
d'amore e morte, allor tal dubbio sento,
10
ch'i' cerco in un momento
del me' di loro e di poi il peggio piglio;
sì dal mal uso è vinto il buon consiglio.


136

L'alma, che sparge e versa
di fuor l'acque di drento,
il fa sol perché spento
non sie da loro il foco in ch'è conversa.

5
Ogni altra aita persa
saria, se 'l pianger sempre
mi resurge al tuo foco, vecchio e tardi.

Mie dura sorte e mie fortuna avversa
non ha sì dure tempre,
10
che non m'affligghin men, dove più m'ardi;
tal ch'e' tuo accesi sguardi,
di fuor piangendo, dentro circumscrivo,
e di quel c'altri muor sol godo e vivo.


137

Se per gioir pur brami affanni e pianti,
più crudo, Amor, m'è più caro ogni strale,
che fra la morte e 'l male
non dona tempo alcun, né brieve spazio:
5
tal c'a 'ncider gli amanti
i pianti perdi, e 'l nostro è meno strazio.

Ond'io sol ti ringrazio
della mie morte e non delle mie doglie,
c'ogni mal sana chi la vita toglie.


138

Porgo umilmente all'aspro giogo il collo
il volto lieto a la fortuna ria,
e alla donna mia
nemica il cor di fede e foco pieno;
5
né dal martir mi crollo,
anz'ogni or temo non venga meno.

Ché se 'l volto sereno
cibo e vita mi fa d'un gran martire,
qual crudel doglia mi può far morire?


139

In più leggiadra e men pietosa spoglia
altr'anima non tiene
che la tuo, donna, il moto e 'l dolce anelo;
tal c'alla ingrata voglia
5
al don di tuo beltà perpetue pene
più si convien c'al mie soffrire 'l cielo.

I' nol dico e nol celo
s'i' bramo o no come 'l tuo 'l mie peccato,
ché, se non vivo, morto ove te sia,
10
o, te pietosa, che dove beato
mi fa 'l martir, si' etterna pace mia.

Se dolce mi saria
l'inferno teco, in ciel dunche che fora?

Beato a doppio allora
15
sare' a godere i' sol nel divin coro
quel Dio che 'n cielo e quel che 'n terra adoro.


140

Se l'alma al fin ritorna
nella suo dolce e desïata spoglia,
o danni o salvi il ciel, come si crede,
ne l'inferno men doglia,
5
se tuo beltà l'adorna,
fie, parte c'altri ti contempla e vede.

S'al cielo ascende e riede,
com'io seco desio
e con tal cura e con sì caldo affetto,
10
fie men fruire Dio,
s'ogni altro piacer cede
come di qua, al tuo divo e dolce aspetto.

Che me' d'amarti aspetto,
se più giova men doglia a chi è dannato,
15
che 'n ciel non nuoce l'esser men beato.


141

Perc'all'alta mie speme è breve e corta,
donna, tuo fé, se con san occhio il veggio,
goderò per non peggio
quante di fuor con gli occhi ne prometti;
5
ché dove è pietà morta,
non è che gran bellezza non diletti.

E se contrari effetti
agli occhi di mercé dentro a te sento,
la certezza non tento,
10
ma prego, ove 'l gioire è men che 'ntero
sie dolce il dubbio a chi nuocer può 'l vero.


142

Credo, perc'ancor forse
non sia la fiamma spenta
nel freddo tempo dell'età men verde,
l'arco subito torse
5
Amor, che si rammenta
che 'n gentil cor ma' suo colpo non perde;
e la stagion rinverde
per un bel volto; e peggio è al sezzo strale
mie ricaduta che 'l mio primo male.


143

Quant'ognor fugge il giorno che mi resta
del viver corto e poco
tanto più serra il foco
in picciol tempo a mie più danno e strazio:
5
c'aita il ciel non presta
contr'al vecchio uso in così breve spazio.

Pur poi che non se' sazio
del foco circumscritto,
in cui pietra non serva suo natura
10
non c'un cor, ti ringrazio,
Amor, se 'l manco invitto
in chiuso foco alcun tempo non dura.

Mie peggio è mie ventura,
perché la vita all'arme che tu porti
15
cara non m'è, s'almen perdoni a' morti.


144

Passo inanzi a me stesso
con alto e buon concetto,
e 'l tempo gli prometto
c'aver non deggio. O pensier vano e stolto!

5
Ché con la morte appresso
perdo 'l presente, e l'avvenir m'è tolto;
e d'un leggiadro volto
ardo e spero sanar, che morto viva
negli anni ove la vita non arriva.


145

Se costei gode e tu solo, Amor, vivi
de' nostri pianti, e s'io, come te, soglio
di lacrime e cordoglio
e d'un ghiaccio nutrir la vita mia;
5
dunche, di vita privi
saremo da mercé di donna pia.

Meglio il peggio saria:
contrari cibi han sì contrari effetti
c'a lei il godere, a noi torrien la vita;
10
tal che 'nsieme prometti
più morte, là dove più porgi aita.

A l'alma sbigottita
viver molto più val con dura sorte
che grazia c'abbi a sé presso la morte.


146

Gli sguardi che tu strazi
a me tutti gli togli;
né furto è già quel che del tuo non doni;
ma se 'l vulgo ne sazi
5
e ' bruti, e me ne spogli,
omicidio è, c'a morte ognor mi sproni.

Amor, perché perdoni
tuo somma cortesia
sie di beltà qui tolta
10
a chi gusta e desia,
e data a gente stolta?

Deh, falla un'altra volta
pietosa dentro e sì brutta di fuori,
c'a me dispiaccia, e di me s'innamori.


147

- Deh dimmi, Amor, se l'alma di costei
fusse pietosa com'ha bell' il volto,
s'alcun saria sì stolto
ch'a sé non si togliessi e dessi a lei?

5
E io, che più potrei
servirla, amarla, se mi fuss'amica,
che, sendomi nemica,
l'amo più c'allor far non doverrei?

- Io dico che fra voi, potenti dei,
10
convien c'ogni riverso si sopporti.

Poi che sarete morti,
di mille 'ngiurie e torti,
amando te com'or di lei tu ardi,
far ne potrai giustamente vendetta.

15
Ahimè, lasso chi pur tropp'aspetta
ch'i' gionga a' suoi conforti tanto tardi!

Ancor, se ben riguardi,
un generoso, alter e nobil core
perdon' e porta a chi l'offend' amore.


148

Con più certa salute
men grazia, donna, mi terrie ancor vivo;
dall'uno e l'altro rivo
degli occhi il petto sarie manco molle.

5
Doppia mercé mie picciola virtute
di tanto vince che l'adombra e tolle;
né saggio alcun ma' volle,
se non sé innalza e sprona,
di quel gioir ch'esser non può capace.

10
Il troppo è vano e folle;
ché modesta persona
d'umil fortuna ha più tranquilla pace.

Quel c'a vo' lice, a me, donna, dispiace:
chi si dà altrui, c'altrui non si prometta,
15
d'un superchio piacer morte n'aspetta.


149

Non posso non mancar d'ingegno e d'arte
a chi mi to' la vita
con tal superchia aita,
che d'assai men mercé più se ne prende.

5
D'allor l'alma mie parte
com'occhio offeso da chi troppo splende,
e sopra me trascende
a l'impossibil mie; per farmi pari
al minor don di donna alta e serena,
10
seco non m'alza; e qui convien ch'impari
che quel ch'i' posso ingrato a lei mi mena.

Questa, di grazie piena,
n'abonda e 'nfiamma altrui d'un certo foco,
che 'l troppo con men caldo arde che 'l poco.



150

Non men gran grazia, donna, che gran doglia
ancide alcun, che 'l furto a morte mena,
privo di speme e ghiacciato ogni vena,
se vien subito scampo che 'l discioglia.

5
Simil se tuo mercé, più che ma' soglia,
nella miseria mie d'affanni piena,
con superchia pietà mi rasserena,
par, più che 'l pianger, la vita mi toglia.

Così n'avvien di novell'aspra o dolce:
10
ne' lor contrari è morte in un momento,
onde s'allarga o troppo stringe 'l core.

Tal tuo beltà, c'Amore e 'l ciel qui folce,
se mi vuol vivo affreni il gran contento,
c'al don superchio debil virtù muore.


151

Non ha l'ottimo artista alcun concetto
c'un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all'intelletto.

5
Il mal ch'io fuggo, e 'l ben ch'io mi prometto,
in te, donna leggiadra, altera e diva,
tal si nasconde; e perch'io più non viva,
contraria ho l'arte al disïato effetto.

Amor dunque non ha, né tua beltate
10
o durezza o fortuna o gran disdegno,
del mio mal colpa, o mio destino o sorte;

se dentro del tuo cor morte e pietate
porti in un tempo, e che 'l mio basso ingegno
non sappia, ardendo, trarne altro che morte.


152

Sì come per levar, donna, si pone
in pietra alpestra e dura
una viva figura,
che là più cresce u' più la pietra scema;
5
tal alcun'opre buone,
per l'alma che pur trema,
cela il superchio della propria carne
co' l'inculta sua cruda e dura scorza.

Tu pur dalle mie streme
10
parti puo' sol levarne,
ch'in me non è di me voler né forza.


153

Non pur d'argento o d'oro
vinto dal foco esser po' piena aspetta,
vota d'opra prefetta,
la forma, che sol fratta il tragge fora;
5
tal io, col foco ancora
d'amor dentro ristoro
il desir voto di beltà infinita,
di coste' ch'i' adoro,
anima e cor della mie fragil vita.

10
Alta donna e gradita
in me discende per sì brevi spazi,
c'a trarla fuor convien mi rompa e strazi.


154

Tanto sopra me stesso
mi fai, donna, salire,
che non ch'i' 'l possa dire,
nol so pensar, perch'io non son più desso.

5
Dunche, perché più spesso,
se l'alie tuo mi presti,
non m'alzo e volo al tuo leggiadro viso,
e che con teco resti,
se dal ciel n'è concesso
10
ascender col mortale in paradiso?

Se non ch'i' sia diviso
dall'alma per tuo grazia, e che quest'una
fugga teco suo morte, è mie fortuna.


155

Le grazie tua e la fortuna mia
hanno, donna, sì vari
gli effetti, perch'i' 'mpari
in fra 'l dolce e l'amar qual mezzo sia.

5
Mentre benigna e pia
dentro, e di fuor ti mostri
quante se' bella al mie 'rdente desire,
la fortun' aspra e ria,
nemica a' piacer nostri,
10
con mille oltraggi offende 'l mie gioire;
se per avverso po' di tal martire,
si piega alle mie voglie,
tuo pietà mi si toglie.

Fra 'l riso e 'l pianto, en sì contrari stremi,
15
mezzo non è c'una gran doglia scemi.


156

A l'alta tuo lucente dïadema
per la strada erta e lunga,
non è, donna, chi giunga,
s'umiltà non v'aggiungi e cortesia:
5
il montar cresce, e 'l mie valore scema,
e la lena mi manca a mezza via.

Che tuo beltà pur sia
superna, al cor par che diletto renda,
che d'ogni rara altezza è ghiotto e vago:
10
po' per gioir della tuo leggiadria
bramo pur che discenda
là dov'aggiungo. E 'n tal pensier m'appago,
se 'l tuo sdegno presago,
per basso amare e alto odiar tuo stato,
15
a te stessa perdona il mie peccato.


157

Pietosa e dolce aita
tuo, donna, teco insieme,
per le mie parte streme
spargon dal cor gli spirti della vita,
5
onde l'alma, impedita
del suo natural corso
pel subito gioir, da me diparti.

Po' l'aspra tuo partita,
per mie mortal soccorso,
10
tornan superchi al cor gli spirti sparti.

S'a me veggio tornarti,
dal cor di nuovo dipartir gli sento;
onde d'equal tormento
e l'aita e l'offesa mortal veggio:
15
el mezzo, a chi troppo ama, è sempre il peggio.


158

Amor, la morte a forza
del pensier par mi scacci,
e con tal grazia impacci
l'alma che, senza, sarie più contenta.

5
Caduto è 'l frutto e secca è già la scorza,
e quel, già dolce, amaro or par ch'i' senta;
anzi, sol mi tormenta,
nell'ultim'ore e corte,
infinito piacere in breve spazio.

10
Sì, tal mercé, spaventa
tuo pietà tardi e forte,
c'al corpo è morte, e al diletto strazio;
ond'io pur ti ringrazio
in questa età: ché s'i' muoio in tal sorte,
15
tu 'l fai più con mercé che con la morte.


159

Per esser manco, alta signora, indegno
del don di vostra immensa cortesia,
prima, all'incontro a quella, usar la mia
con tutto il cor volse 'l mie basso ingegno.

5
Ma visto poi, c'ascendere a quel segno
propio valor non è c'apra la via,
perdon domanda la mie audacia ria,
e del fallir più saggio ognor divegno.

E veggio ben com'erra s'alcun crede
10
la grazia, che da voi divina piove,
pareggi l'opra mia caduca e frale.

L'ingegno, l'arte, la memoria cede:
c'un don celeste non con mille pruove
pagar del suo può già chi è mortale.


160

S'alcun legato è pur dal piacer molto,
come da morte altrui tornare in vita,
qual cosa è che po' paghi tanta aita,
che renda il debitor libero e sciolto?

5
E se pur fusse, ne sarebbe tolto
il soprastar d'una mercé infinita
al ben servito, onde sarie 'mpedita
da l'incontro servire, a quella volto.

Dunche, per tener alta vostra grazia,
10
donna, sopra 'l mie stato, in me sol bramo
ingratitudin più che cortesia:

ché dove l'un dell'altro al par si sazia,
non mi sare' signor quel che tant'amo:
ché 'n parità non cape signoria.


161

Per qual mordace lima
discresce e manca ognor tuo stanca spoglia,
anima inferma? or quando fie ti scioglia
da quella il tempo, e torni ov'eri, in cielo,
5
candida e lieta prima,
deposto il periglioso e mortal velo?

C'ancor ch'i' cangi 'l pelo
per gli ultim'anni e corti,
cangiar non posso il vecchio mie antico uso,
10
che con più giorni più mi sforza e preme.

Amore, a te nol celo,
ch'i' porto invidia a' morti,
sbigottito e confuso,
sì di sé meco l'alma trema e teme.

15
Signor, nell'ore streme,
stendi ver' me le tuo pietose braccia,
tomm'a me stesso e famm'un che ti piaccia.


162

Ora in sul destro, ora in sul manco piede
variando, cerco della mie salute.

Fra 'l vizio e la virtute
il cor confuso mi travaglia e stanca,
5
come chi 'l ciel non vede,
che per ogni sentier si perde e manca.

Porgo la carta bianca
a' vostri sacri inchiostri,
c'amor mi sganni e pietà 'l ver ne scriva:
10
che l'alma, da sé franca,
non pieghi agli error nostri
mie breve resto, e che men cieco viva.

Chieggio a voi, alta e diva
donna, saper se 'n ciel men grado tiene
15
l'umil peccato che 'l superchio bene.


163

Quante più fuggo e odio ognor me stesso,
tanto a te, donna, con verace speme
ricorro; e manco teme
l'alma di me, quant'a te son più presso.

5
A quel che 'l ciel promesso
m'ha nel tuo volto aspiro
e ne' begli occhi, pien d'ogni salute:
e ben m'accorgo spesso,
in quel c'ogni altri miro,
10
che gli occhi senza 'l cor non han virtute.

Luci già mai vedute!

né da vederle è men che 'l gran desio;
ché 'l veder raro è prossimo a l'oblio.


164

Per fido esemplo alla mia vocazione
nel parto mi fu data la bellezza,
che d'ambo l'arti m'è lucerna e specchio.

S'altro si pensa, è falsa opinione.

5
Questo sol l'occhio porta a quella altezza
c'a pingere e scolpir qui m'apparecchio.

S'e' giudizi temerari e sciocchi
al senso tiran la beltà, che muove
e porta al cielo ogni intelletto sano,
10
dal mortale al divin non vanno gli occhi
infermi, e fermi sempre pur là d'ove
ascender senza grazia è pensier vano.


165

Se 'l commodo degli occhi alcun costringe
con l'uso, parte insieme
la ragion perde, e teme;
ché più s'inganna quel c'a sé più crede:
5
onde nel cor dipinge
per bello quel c'a picciol beltà cede.

Ben vi fo, donna, fede
che 'l commodo né l'uso non m'ha preso,
sì di raro e' mie veggion gli occhi vostri
10
circonscritti ov'a pena il desir vola.

Un punto sol m'ha acceso,
né più vi vidi c'una volta sola.


166

Ben posson gli occhi mie presso e lontano
veder dov'apparisce il tuo bel volto;
ma dove loro, ai pie', donna, è ben tolto
portar le braccia e l'una e l'altra mano.

5
L'anima, l'intelletto intero e sano
per gli occhi ascende più libero e sciolto
a l'alta tuo beltà; ma l'ardor molto
non dà tal previlegio al corp'umano

grave e mortal, sì che mal segue poi,
10
senz'ali ancor, d'un'angioletta il volo,
e 'l veder sol pur se ne gloria e loda.

Deh, se tu puo' nel ciel quante tra noi,
fa' del mie corpo tutto un occhio solo;
né fie poi parte in me che non ti goda.


167

La morte, Amor, del mie medesmo loco,
del qual, già nudo, trïonfar solevi
non che con l'arco e co' pungenti strali,
ti scaccia e sprezza, e col fier ghiaccio il foco
5
tuo dolce ammorza, c'ha dì corti e brevi.

In ogni cor veril men di le' vali;
e se ben porti l'ali,
con esse mi giugnesti, or fuggi e temi,
c'ogni età verde è schifa a' giorni stremi.


168

Perché 'l mezzo di me che dal ciel viene
a quel con gran desir ritorna e vola,
restando in una sola
di beltà donna, e ghiaccio ardendo in lei,
5
in duo parte mi tiene
contrarie sì, che l'una all'altra invola
il ben che non diviso aver devrei.

Ma se già ma' costei
cangia 'l suo stile, e c'a l'un mezzo manchi
10
il ciel, quel mentre c'a le' grato sia,
e' mie sì sparsi e stanchi
pensier fien tutti in quella donna mia;
e se 'lor che m'è pia,
l'alma il ciel caccia, almen quel tempo spero
15
non più mezz'esser, ma suo tutto intero.


169

Nel mie 'rdente desio,
coste' pur mi trastulla,
di fuor pietosa e nel cor aspra e fera.

Amor, non tel diss'io,
5
ch'e' no' ne sare' nulla
e che 'l suo perde chi 'n quel d'altri spera?

Or s'ella vuol ch'i' pèra,
mie colpa, e danno s'ha prestarle fede,
com'a chi poco manca a chi più crede.


170

Spargendo gran bellezza ardente foco
per mille cori accesi,
come cosa è che pesi,
c'un solo ancide, a molti è lieve e poco.

5
Ma, chiuso in picciol loco,
s'il sasso dur calcina,
che l'acque poi il dissolvon 'n un momento,
come per pruova il sa chi 'l ver dicerne:
così d'una divina
10
de mille il foco ho drento
c'arso m'ha 'l cor nelle mie parte interne;
ma le lacrime etterne
se quel dissolvon già sì duro e forte,
fie me' null'esser c'arder senza morte.


171

Nella memoria delle cose belle
morte bisogna, per tor di costui
il volto a lei, com'a vo' tolto ha lui;
se 'l foco in ghiaccio e 'l riso volge in pianto,
5
con tale odio di quelle,
che del cor voto più non si dien vanto.

Ma se rimbotta alquanto
i suo begli occhi nell'usato loco,
fien legne secche in un ardente foco.


172

Costei pur si delibra,
indomit' e selvaggia,
ch'i' arda, mora e caggia
a quel c'a peso non sie pure un'oncia;
5
e 'l sangue a libra a libra
mi svena, e sfibra e 'l corpo all'alma sconcia.

La si gode e racconcia
nel suo fidato specchio,
ove sé vede equale al paradiso;
10
po', volta a me, mi concia
sì, c'oltr'all'esser vecchio,
in quel col mie fo più bello il suo viso,
ond'io vie più deriso
son d'esser brutto; e pur m'è gran ventura,
15
s'i' vinco, a farla bella, la natura.


173

Se dal cor lieto divien bello il volto,
dal tristo il brutto; e se donna aspra e bella
il fa, chi fie ma' quella
che non arda di me com'io di lei?

5
Po' c'a destinguer molto
dalla mie chiara stella
da bello a bel fur fatti gli occhi mei,
contr'a sé fa costei
non men crudel che spesso
10
dichi: - Dal cor mie smorto il volto viene. -
Che s'altri fa se stesso,
pingendo donna, in quella
che farà poi, se sconsolato il tiene?

Dunc'ambo n'arien bene
15
ritrarla col cor lieto e 'l viso asciutto:
sé farie bella e me non farie brutto.


174

Per quel che di vo', donna, di fuor veggio,
quantunche dentro al ver l'occhio non passi,
spero a' mie stanchi e lassi
pensier riposo a qualche tempo ancora;
5
e 'l più saperne il peggio,
del vostro interno, forse al mie mal fora.

Se crudeltà dimora
'n un cor che pietà vera
co' begli occhi prometta a' pianti nostri,
10
ben sarebb'ora l'ora,
c'altro già non si spera
d'onesto amor, che quel ch'è di fuor mostri.

Donna, s'agli occhi vostri
contraria è l'alma, e io, pur contro a quella,
15
godo gl'inganni d'una donna bella.


175

No' salda, Amor, de' tuo dorati strali
fra le mie vecchie ancor la minor piaga,
che la mente, presaga
del mal passato, a peggio mi traporti.

5
Se ne' vecchi men vali,
campar dovria, se non fa' guerra a' morti.

S'a l'arco l'alie porti
contra me zoppo e nudo,
con gli occhi per insegna,
10
c'ancidon più ch'e' tuo più feri dardi,
chi fia che mi conforti?

Elmo non già né scudo,
ma sol quel che mi segna
d'onor, perdendo, e biasmo a te, se m'ardi.

15
Debile vecchio, è tardi
la fuga e lenta, ov'è posto 'l mie scampo;
e chi vince a fuggir, non resti in campo.


176

Mestier non era all'alma tuo beltate
legar me vinto con alcuna corda;
ché, se ben mi ricorda,
sol d'uno sguardo fui prigione e preda:
5
c'alle gran doglie usate
forz'è c'un debil cor subito ceda.

Ma chi fie ma' che 'l creda,
preso da' tuo begli occhi in brevi giorni,
un legno secco e arso verde torni?


177

In noi vive e qui giace la divina
beltà da morte anz'il suo tempo offesa.

Se con la dritta man face' difesa,
campava. Onde nol fe'? Ch'era mancina.


178

La nuova alta beltà che 'n ciel terrei
unica, non c'al mondo iniquo e fello
(suo nome dal sinistro braccio tiello
il vulgo, cieco a non adorar lei),

5
per voi sol nacque; e far non la saprei
con ferri in pietra, in carte col pennello;
ma 'l vivo suo bel viso esser può quello
nel qual vostro sperar fermar dovrei.

E se, come dal sole ogni altra stella
10
è vinta, vince l'intelletto nostro,
per voi non di men pregio esser dovea.

Dunche, a quetarvi, è suo beltà novella
da Dio formata all'alto desir vostro;
e quel solo, e non io, far lo potea.


179

Se qui son chiusi i begli occhi e sepolti
anzi tempo, sol questo ne conforta:
che pietà di lor vivi era qua morta;
or che son morti, di lor vive in molti.


180

Deh serbi, s'è di me pietate alcuna
che qui son chiuso e dal mondo disciolto,
le lacrime a bagnarsi il petto e 'l volto
per chi resta suggetto alla fortuna.


181

- Perché ne' volti offesi non entrasti
dagli anni, Morte, e c'anzi tempo i' mora?

- Perché nel ciel non sale e non dimora
cosa che 'nvecchi e parte il mondo guasti.


182

Non volse Morte non ancider senza
l'arme degli anni e de' superchi giorni
la beltà che qui giace, acciò c'or torni
al ciel con la non persa sua presenza.


183

La beltà che qui giace al mondo vinse
di tanto ogni più bella creatura,
che morte, ch'era in odio alla natura,
per farsi amica a lei, l'ancise e stinse.


184

Qui son de' Bracci, deboli a l'impresa
contr'a la morte mia per non morire;
meglio era esser de' piedi per fuggire
che de' Bracci e non far da lei difesa.


185

Qui son sepulto, e poco innanzi nato
ero: e son quello al qual fu presta e cruda
la morte sì, che l'alma di me nuda
s'accorge a pena aver cangiato stato.


186

Non può per morte già chi qui mi serra
la beltà, c'al mortal mie largir volse,
renderla agli altri tutti a chi la tolse,
s'alfin com'ero de' rifarmi in terra.


187

L'alma di dentro di fuor non vedea,
come noi, il volto, chiuso in questo avello:
che se nel ciel non è albergo sì bello,
trarnela morte già ma' non potea.


188

Se dalla morte è vinta la natura
qui nel bel volto, ancor vendetta in cielo
ne fie pel mondo, a trar divo il suo velo
più che mai bel di questa sepoltura.


189

Qui son chiusi i begli occhi, che aperti
facén men chiari i più lucenti e santi;
or perché, morti, rendon luce a tanti,
qual sie più 'l danno o l'util non siàn certi.


190

Qui son morto creduto; e per conforto
del mondo vissi, e con mille alme in seno
di veri amanti; adunche a venir meno,
per tormen' una sola non son morto.


191

Se l'alma vive del suo corpo fora,
la mie, che par che qui di sé mi privi,
il mostra col timor ch'i' rendo a' vivi:
che nol po far chi tutto avvien che mora.


192

S'è ver, com'è, che dopo il corpo viva,
da quel disciolta, c'a mal grado regge
sol per divina legge,
l'alma e non prima, allor sol è beata;
5
po' che per morte diva
è fatta sì, com'a morte era nata.

Dunche, sine peccata,
in riso ogni suo doglia
preschiver debbe alcun del suo defunto,
10
se da fragile spoglia
fuor di miseria in vera pace è giunto
de l'ultim'ora o punto.

Tant'esser de' dell'amico 'l desio,
quante men val fruir terra che Dio.


193

A pena prima aperti gli vidd'io
i suo begli occhi in questa fragil vita,
che, chiusi el dì dell'ultima partita,
gli aperse in cielo a contemplare Dio.

5
Conosco e piango, e non fu l'error mio,
col cor sì tardi a lor beltà gradita,
ma di morte anzi tempo, ond'è sparita
a voi non già, m'al mie 'rdente desio.

Dunche, Luigi, a far l'unica forma
10
di Cecchin, di ch'i' parlo, in pietra viva
etterna, or ch'è già terra qui tra noi,

se l'un nell'altro amante si trasforma,
po' che sanz'essa l'arte non v'arriva,
convien che per far lui ritragga voi.


194

Qui vuol mie sorte c'anzi tempo i' dorma,
né son già morto; e ben c'albergo cangi,
resto in te vivo, c'or mi vedi e piangi,
se l'un nell'altro amante si trasforma.


195

- Se qui cent'anni t'han tolto due ore,
un lustro è forza che l'etterno inganni.

- No: che 'n un giorno è vissuto cent'anni
colui che 'n quello il tutto impara e muore.


196

Gran ventura qui morto esser mi veggio:
tal dota ebbi dal cielo, anzi che veglio;
ché, non possendo al mondo darmi meglio,
ogni altro che la morte era 'l mie peggio.


197

La carne terra, e qui l'ossa mie, prive
de' lor begli occhi e del leggiadro aspetto,
fan fede a quel ch'i' fu' grazia e diletto
in che carcer quaggiù l'anima vive.


198

Se fussin, perch'i' viva un'altra volta,
gli altru' pianti a quest'ossa carne e sangue,
sarie spietato per pietà chi langue
per rilegar lor l'alma in ciel disciolta.


199

Chi qui morto mi piange indarno spera,
bagnando l'ossa e 'l mie sepulcro, tutto
ritornarmi com'arbor secco al frutto;
c'uom morto non risurge a primavera.
 
 
 
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