<<< indice  <<< indietro



B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A

 

 

 

 
Michelangelo Buonarroti
Rime
 


 






 




R i m e  2 0 0  -  3 0 2

_____________________




manoscritto della rima 248



200

S'i' fu' già vivo, tu sol, pietra, il sai,
che qui mi serri, e s'alcun mi ricorda,
gli par sognar: sì morte è presta e 'ngorda,
che quel ch'è stato non par fusse mai.


201

I' temo più, fuor degli anni e dell'ore
che m'han qui chiuso, il ritornare in vita,
s'esser può qua, ch'i' non fe' la partita;
po' c'allor nacqui ove la morte muore.


202

I' fu de' Bracci, e se ritratto e privo
restai dell'alma, or m'è cara la morte,
po' che tal opra ha sì benigna sorte
d'entrar dipinto ov'io non pote' vivo.


203

De' Bracci nacqui, e dopo 'l primo pianto,
picciol tempo il sol vider gli occhi mei.

Qui son per sempre; né per men vorrei,
s'i' resto vivo in quel che m'amò tanto.


204

Più che vivo non ero, morto sono
vivo e caro a chi morte oggi m'ha tolto;
se più c'averne copia or m'ama molto,
chi cresce per mancar, gli è 'l morir buono.


205

Se morte ha di virtù qui 'l primo fiore
del mondo e di beltà, non bene aperto,
anzi tempo sepulto, i' son ben certo
che più non si dorrà chi vecchio muore.


206

Dal ciel fu la beltà mie diva e 'ntera,
e 'l corpo sol mortal dal padre mio.

Se morto è meco quel che ebbi d'Iddio
che dunche il mortal sol da morte spera?


207

Per sempre a morte, e prima a voi fu' dato
sol per un'ora; e con diletto tanto
porta' bellezza, e po' lasciai tal pianto
che 'l me' sarebbe non esser ma' nato.


208

Qui chiuso è 'l sol di c'ancor piangi e ardi:
l'alma suo luce fu corta ventura.

Men grazia e men ricchezza assai più dura;
c'a' miseri la morte è pigra e tardi.


209

Qui sol per tempo convien posi e dorma
per render bello el mie terrestre velo;
ché più grazia o beltà non have 'l cielo,
c'alla natura fussi esempro e norma.


210

Se gli occhi aperti mie fur vita e pace
d'alcun, qui chiusi, or chi gli è pace e vita?

Beltà non già, che del mond'è sparita,
ma morte sol, s'ogni suo ben qui giace.


211

Se, vivo al mondo, d'alcun vita fui
che gli è qui terra or la bellezza mia,
mort'è non sol, ma crudel gelosia
c'alcun per me non mora innanzi a lui.


212

Perc'all'altru' ferir non ave' pari
col suo bel volto il Braccio che qui serro,
morte vel tolse e fecel, s'io non erro,
perc'a lei ancider toccava i men chiari.


213

Sepulto è qui quel Braccio, che Dio volse
corregger col suo volto la natura;
ma perché perso è 'l ben, c'altri non cura,
lo mostrò al mondo e presto sel ritolse.


214

Era la vita vostra il suo splendore:
di Cecchin Bracci, che qui morto giace.

Chi nol vide nol perde e vive in pace:
la vita perde chi 'l vide e non muore.


215

A la terra la terra e l'alma al cielo
qui reso ha morte; a chi morto ancor m'ama
ha dato in guardia mie bellezza e fama,
ch'etterni in pietra il mie terrestre velo.


216

Qui serro il Braccio e suo beltà divina,
e come l'alma al corpo è forma e vita,
è quello a me dell'opra alta e gradita;
c'un bel coltello insegna tal vagina.


217

S'avvien come fenice mai rinnuovi
qui 'l bel volto de' Bracci di più stima,
fie ben che 'l ben chi nol conosce prima
per alcun tempo il perda e po' 'l ritruovi.


218

Col sol de' Bracci il sol della natura,
per sempre estinto, qui lo chiudo e serro:
morte l'ancise senza spada o ferro,
c'un fior di verno picciol vento il fura.


219

I' fui de' Bracci, e qui mie vita è morte.

Sendo oggi 'l ciel dalla terra diviso,
toccando i' sol del mondo al paradiso,
anzi per sempre serri le suo porte.


220

Deposto ha qui Cecchin sì nobil salma
per morte, che 'l sol ma' simil non vide.

Roma ne piange, e 'l ciel si gloria e ride,
che scarca del mortal si gode l'alma.


221

Qui giace il Braccio, e men non si desìa
sepulcro al corpo, a l'alma il sacro ufizio.

Se più che vivo, morto ha degno ospizio
in terra e 'n ciel, morte gli è dolce e pia.


222

Qui stese il Braccio e colse acerbo il frutto
morte, anz'il fior, c'a quindici anni cede.

Sol questo sasso il gode che 'l possiede,
e 'l resto po' del mondo il piange tutto.


223

I' fu' Cecchin mortale e or son divo:
poco ebbi 'l mondo e per sempre il ciel godo.

Di sì bel cambio e di morte mi lodo,
che molti morti, e me partorì vivo.


224

Chiusi ha qui gli occhi e 'l corpo, e l'alma sciolta
di Cecchin Bracci morte, e la partita
fu 'nanz' al tempo per cangiar suo vita
a quella c'a molt'anni spesso è tolta.


225

I' fu' de' Bracci, e qui dell'alma privo
per esser da beltà fatt'ossa e terra:
prego il sasso non s'apra, che mi serra,
per restar bello in chi m'amò già vivo.


226

Che l'alma viva, i' che qui morto sono
or ne son certo e che, vivo, ero morto.

I' fu' de' Bracci, e se 'l tempo ebbi corto,
chi manco vive più speri perdono.


227

Ripreso ha 'l divin Braccio il suo bel velo:
non è più qui, c'anz'al gran dì l'ha tolto
pietà di terra; che s'allor sepolto
fussi, lu' sol sarie degno del cielo.


228

Se 'l mondo il corpo, e l'alma il ciel ne presta
per lungo tempo, il morto qui de' Bracci
qual salute fie mai che 'l soddisfacci?

Di tanti anni e beltà creditor resta.


229

Occhi mie, siate certi
che 'l tempo passa e l'ora s'avvicina,
c'a le lacrime triste il passo serra.

Pietà vi tenga aperti,
5
mentre la mie divina
donna si degna d'abitare in terra.

Se grazia il ciel disserra,
com'a' beati suole,
questo mie vivo sole
10
se lassù torna e partesi da noi,
che cosa arete qui da veder poi?


230

Perché tuo gran bellezze al mondo sièno
in donna più cortese e manco dura,
prego se ne ripigli la natura
tutte quelle c'ognor ti vengon meno,

5
e serbi a riformar del tuo sereno
e divin volto una gentil figura
del ciel, e sia d'amor perpetua cura
rifarne un cor di grazia e pietà pieno.

E serbi poi i mie sospiri ancora,
10
e le lacrime sparte insieme accoglia
e doni a chi quella ami un'altra volta.

Forse a pietà chi nascerà in quell'ora
la moverà co' la mie propia doglia,
né fie persa la grazia c'or m'è tolta.


231

Non è più tempo, Amor, che 'l cor m'infiammi,
né che beltà mortal più goda o tema:
giunta è già l'ora strema
che 'l tempo perso, a chi men n'ha, più duole.

5
Quante 'l tuo braccio dammi,
morte i gran colpi scema,
e ' sua accresce più che far non suole.

Gl'ingegni e le parole,
da te di foco a mio mal pro passati,
10
in acqua son conversi;
e Die 'l voglia c'or versi
con essa insieme tutti e' mie peccati.


232

Non altrimenti contro a sé cammina
ch'i' mi facci alla morte,
chi è da giusta corte
tirato là dove l'alma il cor lassa;
5
tal m'è morte vicina,
salvo più lento el mie resto trapassa.

Né per questo mi lassa
Amor viver un'ora
fra duo perigli, ond'io mi dormo e veglio:
10
la speme umile e bassa
nell'un forte m'accora,
e l'altro parte m'arde, stanco e veglio.

Né so il men danno o 'l meglio:
ma pur più temo, Amor, che co' tuo sguardi
15
più presto ancide quante vien più tardi.


233

Se da' prim'anni aperto un lento e poco
ardor distrugge in breve un verde core,
che farà, chiuso po' da l'ultim'ore,
d'un più volte arso un insaziabil foco?

5
Se 'l corso di più tempo dà men loco
a la vita, a le forze e al valore,
che farà a quel che per natura muore
l'incendio arroto d'amoroso gioco?

Farà quel che di me s'aspetta farsi:
10
cenere al vento sì pietoso e fero,
c'a' fastidiosi vermi il corpo furi.

Se, verde, in picciol foco i' piansi e arsi,
che, più secco ora in un sì grande, spero
che l'alma al corpo lungo tempo duri?


234

Tanto non è, quante da te non viene,
agli occhi specchio, a che 'l cor lasso cede;
che s'altra beltà vede,
gli è morte, donna, se te non somiglia,
5
qual vetro che non bene
senz'altra scorza ogni su' obbietto piglia.

Esempro e maraviglia
ben fie a chi si dispera
della tuo grazia al suo 'nfelice stato,
10
s'e' begli occhi e le ciglia
con la tuo pietà vera
volgi a far me sì tardi ancor beato:
a la miseria nato,
s'al fier destin preval grazia e ventura,
15
da te fie vinto il cielo e la natura.


235

Un uomo in una donna, anzi uno dio
per la sua bocca parla,
ond'io per ascoltarla
son fatto tal, che ma' più sarò mio.

5
I' credo ben, po' ch'io
a me da lei fu' tolto,
fuor di me stesso aver di me pietate;
sì sopra 'l van desio
mi sprona il suo bel volto,
10
ch'i' veggio morte in ogni altra beltate.

O donna che passate
per acqua e foco l'alme a' lieti giorni,
deh, fate c'a me stesso più non torni.


236

Se ben concetto ha la divina parte
il volto e gli atti d'alcun, po' di quello
doppio valor con breve e vil modello
dà vita a' sassi, e non è forza d'arte.

5
Né altrimenti in più rustiche carte,
anz'una pronta man prenda 'l pennello,
fra ' dotti ingegni il più accorto e bello
pruova e rivede, e suo storie comparte.

Simil di me model di poca istima
10
mie parto fu, per cosa alta e perfetta
da voi rinascer po', donna alta e degna.

Se 'l poco accresce, e 'l mie superchio lima
vostra mercé, qual penitenzia aspetta
mie fiero ardor, se mi gastiga e 'nsegna?


237

Molto diletta al gusto intero e sano
l'opra della prim'arte, che n'assembra
i volti e gli atti, e con più vive membra,
di cera o terra o pietra un corp' umano.

5
Se po' 'l tempo ingiurioso, aspro e villano
la rompe o storce o del tutto dismembra,
la beltà che prim'era si rimembra,
e serba a miglior loco il piacer vano.


238

Non è non degna l'alma che n'attende
etterna vita, in cui si posa e quieta,
per arricchir dell'unica moneta
che 'l ciel ne stampa, e qui natura spende.


239

Com'esser, donna, può quel c'alcun vede
per lunga sperïenza, che più dura
l'immagin viva in pietra alpestra e dura
che 'l suo fattor, che gli anni in cener riede?

5
La causa a l'effetto inclina e cede,
onde dall'arte è vinta la natura.

I' 'l so, che 'l pruovo in la bella scultura,
c'all'opra il tempo e morte non tien fede.

Dunche, posso ambo noi dar lunga vita
10
in qual sie modo, o di colore o sasso,
di noi sembrando l'uno e l'altro volto;

sì che mill'anni dopo la partita,
quante voi bella fusti e quant'io lasso
si veggia, e com'amarvi i' non fu' stolto.


240

Sol d'una pietra viva
l'arte vuol che qui viva
al par degli anni il volto di costei.

Che dovria il ciel di lei,
5
sendo mie questa, e quella suo fattura,
non già mortal, ma diva,
non solo agli occhi mei?

E pur si parte e picciol tempo dura.

Dal lato destro è zoppa suo ventura,
10
s'un sasso resta e pur lei morte affretta.

Chi ne farà vendetta?

Natura sol, se de' suo nati sola
l'opra qui dura, e la suo 'l tempo invola.



241

Negli anni molti e nelle molte pruove,
cercando, il saggio al buon concetto arriva
d'un'immagine viva,
vicino a morte, in pietra alpestra e dura;
5
c'all'alte cose nuove
tardi si viene, e poco poi si dura.

Similmente natura,
di tempo in tempo, d'uno in altro volto,
s'al sommo, errando, di bellezza è giunta
10
nel tuo divino, è vecchia, e de' perire:
onde la tema, molto
con la beltà congiunta,
di stranio cibo pasce il gran desire;
né so pensar né dire
15
qual nuoca o giovi più, visto 'l tuo 'spetto,
o 'l fin dell'universo o 'l gran diletto.


242

S'egli è che 'n dura pietra alcun somigli
talor l'immagin d'ogni altri a se stesso,
squalido e smorto spesso
il fo, com'i' son fatto da costei.

5
E par ch'esempro pigli
ognor da me, ch'i' penso di far lei.

Ben la pietra potrei,
per l'aspra suo durezza,
in ch'io l'esempro, dir c'a lei s'assembra;
10
del resto non saprei,
mentre mi strugge e sprezza,
altro sculpir che le mie afflitte membra.

Ma se l'arte rimembra
agli anni la beltà per durare ella,
15
farà me lieto, ond'io le' farò bella.


243

Ognor che l'idol mio si rappresenta
agli occhi del mie cor debile e forte,
fra l'uno e l'altro obbietto entra la morte,
e più 'l discaccia, se più mi spaventa.

5
L'alma di tale oltraggio esser contenta
più spera che gioir d'ogni altra sorte;
l'invitto Amor, con suo più chiare scorte,
a suo difesa s'arma e s'argomenta:

Morir, dice, si può sol una volta,
10
né più si nasce; e chi col mie 'mor muore,
che fie po', s'anzi morte in quel soggiorna?

L'acceso amor, donde vien l'alma sciolta,
s'è calamita al suo simile ardore,
com'or purgata in foco, a Dio si torna.


244

Se 'l duol fa pur, com'alcun dice, bello,
privo piangendo d'un bel volto umano,
l'essere infermo è sano,
fa vita e grazia la disgrazia mia:
5
ché 'l dolce amaro è quello
che, contr'a l'alma, il van pensier desia.

Né può fortuna ria
contr'a chi basso vola,
girando, trïonfar d'alta ruina;
10
ché mie benigna e pia
povertà nuda e sola,
m'è nuova ferza e dolce disciplina:
c'a l'alma pellegrina
è più salute, o per guerra o per gioco,
15
saper perdere assai che vincer poco.


245

- Se 'l volto di ch'i' parlo, di costei,
no' m'avessi negati gli occhi suoi,
Amor, di me qual poi
pruova faresti di più ardente foco,
5
s'a non veder me' lei
co' suo begli occhi tu m'ardi e non poco?

- La men parte del gioco
ha chi nulla ne perde,
se nel gioir vaneggia ogni desire:
10
nel sazio non ha loco
la speme e non rinverde
nel dolce che preschive ogni martire -.

Anzi di lei vo' dire:
s'a quel c'aspiro suo gran copia cede,
15
l'alto desir non quieta tuo mercede.


246

Te sola del mie mal contenta veggio,
né d'altro ti richieggio amarti tanto;
non è la pace tua senza il mio pianto,
e la mia morte a te non è 'l mie peggio.

5
Che s'io colmo e pareggio
il cor di doglia alla tua voglia altera,
per fuggir questa vita,
qual dispietata aita
10
m'ancide e strazia e non vuol poi ch'io pera?

Perché 'l morir è corto
al lungo andar di tua crudeltà fera.

Ma chi patisce a torto
non men pietà che gran iustizia spera.

15
Così l'alma sincera
serve e sopporta e, quando che sia poi,
spera non quel che puoi:
ché 'l premio del martir non è tra noi.


247

Caro m'è 'l sonno, e più l'esser di sasso,
mentre che 'l danno e la vergogna dura;
non veder, non sentir m'è gran ventura;
però non mi destar, deh, parla basso.
 

248

Dal ciel discese, e col mortal suo, poi
che visto ebbe l'inferno giusto e 'l pio
ritornò vivo a contemplare Dio,
per dar di tutto il vero lume a noi.

5
Lucente stella, che co' raggi suoi
fe' chiaro a torto el nido ove nacq'io,
né sare' 'l premio tutto 'l mondo rio;
tu sol, che la creasti, esser quel puoi.

Di Dante dico, che mal conosciute
10
fur l'opre suo da quel popolo ingrato
che solo a' iusti manca di salute.

Fuss'io pur lui! c'a tal fortuna nato,
per l'aspro esilio suo, co' la virtute,
dare' del mondo il più felice stato.


249

- Per molti, donna, anzi per mille amanti
creata fusti, e d'angelica forma;
or par che 'n ciel si dorma,
s'un sol s'appropia quel ch'è dato a tanti.

5
Ritorna a' nostri pianti
il sol degli occhi tuo, che par che schivi
chi del suo dono in tal miseria è nato.

- Deh, non turbate i vostri desir santi,
ché chi di me par che vi spogli e privi,
10
col gran timor non gode il gran peccato;
ché degli amanti è men felice stato
quello, ove 'l gran desir gran copia affrena,
c'una miseria di speranza piena.


250

Quante dirne si de' non si può dire,
ché troppo agli orbi il suo splendor s'accese;
biasmar si può più 'l popol che l'offese,
c'al suo men pregio ogni maggior salire.

5
Questo discese a' merti del fallire
per l'util nostro, e poi a Dio ascese;
e le porte, che 'l ciel non gli contese,
la patria chiuse al suo giusto desire.

Ingrata, dico, e della suo fortuna
10
a suo danno nutrice; ond'è ben segno
c'a' più perfetti abonda di più guai.

Fra mille altre ragion sol ha quest'una:
se par non ebbe il suo exilio indegno,
simil uom né maggior non nacque mai.


251

Nel dolce d'una immensa cortesia,
dell'onor, della vita alcuna offesa
s'asconde e cela spesso, e tanto pesa
che fa men cara la salute mia.

5
Chi gli omer' altru' 'mpenna e po' tra via
a lungo andar la rete occulta ha tesa,
l'ardente carità d'amore accesa
là più l'ammorza ov'arder più desia.

Però, Luigi mio, tenete chiara
10
la prima grazia, ond'io la vita porto,
che non si turbi per tempesta o vento.

L'isdegno ogni mercé vincere impara,
e s'i' son ben del vero amico accorto,
mille piacer non vaglion un tormento.


252

Perch'è troppo molesta,
ancor che dolce sia,
quella mercé che l'alma legar suole,
mie libertà di questa
5
vostr'alta cortesia
più che d'un furto si lamenta e duole.

E com'occhio nel sole
disgrega suo virtù ch'esser dovrebbe
di maggior luce, s'a veder ne sprona,
10
così 'l desir non vuole
zoppa la grazia in me, che da vo' crebbe.

Ché 'l poco al troppo spesso s'abbandona,
né questo a quel perdona:
c'amor vuol sol gli amici, onde son rari
15
di fortuna e virtù simili e pari.


253

S'i' fussi stato ne' prim'anni accorto
del fuoco, allor di fuor, che m'arde or drento,
per men mal, non che spento,
ma privo are' dell'alma il debil core
5
e del colpo, or ch'è morto;
ma sol n'ha colpa il nostro prim'errore.

Alma infelice, se nelle prim'ore
alcun s'è mal difeso,
nell'ultim' arde e muore
10
del primo foco acceso:
ché chi non può non esser arso e preso
nell'età verde, c'or c'è lume e specchio,
men foco assai 'l distrugge stanco e vecchio.


254

Donn', a me vecchio e grave,
ov'io torno e rientro
e come a peso il centro,
che fuor di quel riposo alcun non have,
5
il ciel porge le chiave.

Amor le volge e gira
e apre a' iusti il petto di costei;
le voglie inique e prave
mi vieta, e là mi tira,
10
già stanco e vil, fra ' rari e semidei.

Grazie vengon da lei
strane e dolce e d'un certo valore,
che per sé vive chiunche per le' muore.


255

Mentre i begli occhi giri,
donna, ver' me da presso,
tanto veggio me stesso
in lor, quante ne' mie te stessa miri.

5
Dagli anni e da' martiri
qual io son, quegli a me rendono in tutto,
e ' mie lor te più che lucente stella.

Ben par che 'l ciel s'adiri
che 'n sì begli occhi i' mi veggia sì brutto,
10
e ne' mie brutti ti veggia sì bella;
né men crudele e fella
dentro è ragion, c'al core
per lor mi passi, e quella
de' tuo mi serri fore.

15
Perché 'l tuo gran valore
d'ogni men grado accresce suo durezza,
c'amor vuol pari stato e giovanezza.


256

S'alcuna parte in donna è che sie bella,
benché l'altre sien brutte,
debb'io amarle tutte
pel gran piacer ch'i' prendo sol di quella?

5
La parte che s'appella,
mentre il gioir n'attrista,
a la ragion, pur vuole
che l'innocente error si scusi e ami.

Amor, che mi favella
10
della noiosa vista,
com'irato dir suole
che nel suo regno non s'attenda o chiami.

E 'l ciel pur vuol ch'i' brami,
a quel che spiace non sie pietà vana:
15
ché l'uso agli occhi ogni malfatto sana.


257

Perché sì tardi e perché non più spesso
con ferma fede quell'interno ardore
che mi lieva di terra e porta 'l core
dove per suo virtù non gli è concesso?

5
Forse c'ogn' intervallo n'è promesso
da l'uno a l'altro tuo messo d'amore,
perc'ogni raro ha più forz'e valore
quant'è più desïato e meno appresso.

La notte è l'intervallo, e 'l dì la luce:
10
l'una m'agghiaccia 'l cor, l'altro l'infiamma
d'amor, di fede e d'un celeste foco.


258

Quantunche sie che la beltà divina
qui manifesti il tuo bel volto umano,
donna, il piacer lontano
m'è corto sì, che del tuo non mi parto,
5
c'a l'alma pellegrina
gli è duro ogni altro sentiero erto o arto.

Ond' il tempo comparto:
per gli occhi il giorno e per la notte il core,
senza intervallo alcun c'al cielo aspiri.

10
Sì 'l destinato parto
mi ferm'al tuo splendore,
c'alzar non lassa i mie ardenti desiri,
s'altro non è che tiri
la mente al ciel per grazia o per mercede:
15
tardi ama il cor quel che l'occhio non vede.


259

Ben può talor col mie 'rdente desio
salir la speme e non esser fallace,
ché s'ogni nostro affetto al ciel dispiace,
a che fin fatto arebbe il mondo Iddio?

5
Qual più giusta cagion dell'amart'io
è, che dar gloria a quella eterna pace
onde pende il divin che di te piace,
e c'ogni cor gentil fa casto e pio?

Fallace speme ha sol l'amor che muore
10
con la beltà, c'ogni momento scema,
ond'è suggetta al variar d'un bel viso.

Dolce è ben quella in un pudico core,
che per cangiar di scorza o d'ora strema
non manca, e qui caparra il paradiso.


260

Non è sempre di colpa aspra e mortale
d'una immensa bellezza un fero ardore,
se poi sì lascia liquefatto il core,
che 'n breve il penetri un divino strale.

5
Amore isveglia e desta e 'mpenna l'ale,
né l'alto vol preschive al van furore;
qual primo grado c'al suo creatore,
di quel non sazia, l'alma ascende e sale.

L'amor di quel ch'i' parlo in alto aspira;
10
donna è dissimil troppo; e mal conviensi
arder di quella al cor saggio e verile.

L'un tira al cielo, e l'altro in terra tira;
nell'alma l'un, l'altr'abita ne' sensi,
e l'arco tira a cose basse e vile.


261

Se 'l troppo indugio ha più grazia e ventura
che per tempo al desir pietà non suole,
la mie, negli anni assai, m'affligge e duole,
ché 'l gioir vecchio picciol tempo dura.

5
Contrario ha 'l ciel, se di no' sente o cura,
arder nel tempo che ghiacciar si vuole,
com'io per donna; onde mie triste e sole
lacrime peso con l'età matura.

Ma forse, ancor c'al fin del giorno sia,
10
col sol già quasi oltr'a l'occaso spento,
fra le tenebre folte e 'l freddo rezzo,

s'amor c'infiamma solo a mezza via,
né altrimenti è, s'io vecchio ardo drento,
donna è che del mie fin farà 'l mie mezzo.


262

Amor, se tu se' dio,
non puo' ciò che tu vuoi?

Deh fa' per me, se puoi,
quel ch'i' fare' per te, s'Amor fuss'io.

5
Sconviensi al gran desio
d'alta beltà la speme,
vie più l'effetto a chi è press'al morire.

Pon nel tuo grado il mio:
dolce gli fie chi 'l preme?

10
Ché grazia per poc'or doppia 'l martire.

Ben ti voglio ancor dire:
che sarie morte, s'a' miseri è dura,
a chi muor giunto a l'alta suo ventura?


263

La nuova beltà d'una
mi sprona, sfrena e sferza;
né sol passato è terza,
ma nona e vespro, e prossim'è la sera.

5
Mie parto e mie fortuna,
l'un co' la morte scherza,
né l'altra dar mi può qui pace intera.

I' c'accordato m'era
col capo bianco e co' molt'anni insieme,
10
già l'arra in man tene' dell'altra vita,
qual ne promette un ben contrito core.

Più perde chi men teme
nell'ultima partita,
fidando sé nel suo propio valore
15
contr'a l'usato ardore:
s'a la memoria sol resta l'orecchio,
non giova, senza grazia, l'esser vecchio.


264

Come portato ho già più tempo in seno
l'immagin, donna, del tuo volto impressa,
or che morte s'appressa,
con previlegio Amor ne stampi l'alma,
5
che del carcer terreno
felice sie 'l dipor suo grieve salma.

Per procella o per calma
con tal segno sicura,
sie come croce contro a' suo avversari;
10
e donde in ciel ti rubò la natura
ritorni, norma agli angeli alti e chiari,
c'a rinnovar s'impari
là sù pel mondo un spirto in carne involto,
che dopo te gli resti il tuo bel volto.


265

Per non s'avere a ripigliar da tanti
quell'insieme beltà che più non era,
in donna alta e sincera
prestata fu sott'un candido velo,
5
c'a riscuoter da quanti
al mondo son, mal si rimborsa il cielo.

Ora in un breve anelo,
anzi in un punto, Iddio
dal mondo poco accorto
10
se l'ha ripresa, e tolta agli occhi nostri.

Né metter può in oblio,
benché 'l corpo sie morto,
i suo dolci, leggiadri e sacri inchiostri.

Crudel pietà, qui mostri,
15
se quanto a questa il ciel prestava a' brutti,
s'or per morte il rivuol, morremo or tutti.


266

Qual meraviglia è, se prossim'al foco
mi strussi e arsi, se or ch'egli è spento
di fuor, m'affligge e mi consuma drento,
e 'n cener mi riduce a poco a poco?

5
Vedea ardendo sì lucente il loco
onde pendea il mio greve tormento,
che sol la vista mi facea contento,
e morte e strazi m'eran festa e gioco.

Ma po' che del gran foco lo splendore
10
che m'ardeva e nutriva, il ciel m'invola,
un carbon resto acceso e ricoperto.

E s'altre legne non mi porge amore
che lievin fiamma, una favilla sola
non fie di me, sì 'n cener mi converto.


267

I' sto rinchiuso come la midolla
da la sua scorza, qua pover e solo,
come spirto legato in un'ampolla:
e la mia scura tomba è picciol volo,
5
dov'è Aragn' e mill'opre e lavoranti,
e fan di lor filando fusaiuolo.

D'intorn'a l'uscio ho mete di giganti,
ché chi mangi'uva o ha presa medicina
non vanno altrove a cacar tutti quanti.

10
I' ho 'mparato a conoscer l'orina
e la cannella ond'esce, per quei fessi
che 'nanzi dì mi chiamon la mattina.

Gatti, carogne, canterelli o cessi,
chi n'ha per masserizi' o men vïaggio
15
non vien a vicitarmi mai senz'essi.

L'anima mia dal corpo ha tal vantaggio,
che se stasat' allentasse l'odore,
seco non la terre' 'l pan e 'l formaggio.

La toss' e 'l freddo il tien sol che non more;
20
se la non esce per l'uscio di sotto,
per bocca il fiato a pen' uscir può fore.

Dilombato, crepato, infranto e rotto
son già per le fatiche, e l'osteria
è morte, dov'io viv' e mangio a scotto.

25
La mia allegrezz' è la maninconia,
e 'l mio riposo son questi disagi:
che chi cerca il malanno, Dio gliel dia.

Chi mi vedess' a la festa de' Magi
sarebbe buono; e più, se la mia casa
30
vedessi qua fra sì ricchi palagi.

Fiamma d'amor nel cor non m'è rimasa;
se 'l maggior caccia sempre il minor duolo,
di penne l'alma ho ben tarpata e rasa.

Io tengo un calabron in un orciuolo,
35
in un sacco di cuoio ossa e capresti,
tre pilole di pece in un bocciuolo.

Gli occhi di biffa macinati e pesti,
i denti come tasti di stormento
c'al moto lor la voce suoni e resti.

40
La faccia mia ha forma di spavento;
i panni da cacciar, senz'altro telo,
dal seme senza pioggia i corbi al vento.

Mi cova in un orecchio un ragnatelo,
ne l'altro canta un grillo tutta notte;
45
né dormo e russ' al catarroso anelo.

Amor, le muse e le fiorite grotte,
mie scombiccheri, a' cemboli, a' cartocci,
agli osti, a' cessi, a' chiassi son condotte.

Che giova voler far tanti bambocci,
50
se m'han condotto al fin, come colui
che passò 'l mar e poi affogò ne' mocci?

L'arte pregiata, ov'alcun tempo fui
di tant'opinïon, mi rec'a questo,
povero, vecchio e servo in forz'altrui,

55
ch'i' son disfatto, s'i' non muoio presto.


268

Perché l'età ne 'nvola
il desir cieco e sordo,
con la morte m'accordo,
stanco e vicino all'ultima parola.

5
L'alma che teme e cola
quel che l'occhio non vede,
come da cosa perigliosa e vaga,
dal tuo bel volto, donna, m'allontana.

Amor, c'al ver non cede,
10
di nuovo il cor m'appaga
di foco e speme; e non già cosa umana
mi par, mi dice, amar...


269

Or d'un fier ghiaccio, or d'un ardente foco,
or d'anni o guai, or di vergogna armato,
l'avvenir nel passato
specchio con trista e dolorosa speme;
5
e 'l ben, per durar poco,
sento non men che 'l mal m'affligge e preme.

Alla buona, alla rie fortuna insieme,
di me già stanche, ognor chieggio perdono:
e veggio ben che della vita sono
10
ventura e grazia l'ore brieve e corte,
se la miseria medica la morte.


270

Tu mi da' di quel c'ognor t'avanza
e vuo' da me le cose che non sono.


271

Di te con teco, Amor, molt'anni sono
nutrito ho l'alma e, se non tutto, in parte
il corpo ancora; e con mirabil arte
con la speme il desir m'ha fatto buono.

5
Or, lasso, alzo il pensier con l'alie e sprono
me stesso in più sicura e nobil parte.

Le tuo promesse indarno delle carte
e del tuo onor, di che piango e ragiono,
. . . . . . . .


272

Tornami al tempo, allor che lenta e sciolta
al cieco ardor m'era la briglia e 'l freno;
rendimi il volto angelico e sereno
onde fu seco ogni virtù sepolta,

5
e' passi spessi e con fatica molta,
che son sì lenti a chi è d'anni pieno;
tornami l'acqua e 'l foco in mezzo 'l seno,
se vuo' di me saziarti un'altra volta.

E s'egli è pur, Amor, che tu sol viva
10
de' dolci amari pianti de' mortali,
d'un vecchio stanco oma' puo' goder poco;

ché l'alma, quasi giunta a l'altra riva,
fa scudo a' tuo di più pietosi strali:
e d'un legn'arso fa vil pruova il foco.


273

Se sempre è solo e un quel che sol muove
il tutto per altezza e per traverso,
non sempre a no' si mostra per un verso,
ma più e men quante suo grazia piove.

5
A me d'un modo e d'altri in ogni altrove:
più e men chiaro o più lucente e terso,
secondo l'egritudin, che disperso
ha l'intelletto a le divine pruove.

Nel cor ch'è più capace più s'appiglia,
10
se dir si può, 'l suo volto e 'l suo valore;
e di quel fassi sol guida e lucerna.
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
truova conforme a la suo parte interna.


274

Deh fammiti vedere in ogni loco!

Se da mortal bellezza arder mi sento,
appresso al tuo mi sarà foco ispento,
e io nel tuo sarò, com'ero, in foco.

5
Signor mie caro, i' te sol chiamo e 'nvoco
contr'a l'inutil mie cieco tormento:
tu sol puo' rinnovarmi fuora e drento
le voglie e 'l senno e 'l valor lento e poco.

Tu desti al tempo, Amor, quest'alma diva
10
e 'n questa spoglia ancor fragil e stanca
l'incarcerasti, e con fiero destino.

Che poss'io altro che così non viva?

Ogni ben senza te, Signor, mi manca;
15
il cangiar sorte è sol poter divino.


275

Dagli alti monti e d'una gran ruina,
ascoso e circunscritto d'un gran sasso,
discesi a discoprirmi in questo basso,
contr'a mie voglia, in tal lapedicina.

5
Quand'el sol nacqui, e da chi il ciel destina,
. . . . . . . . . . . .


276

Passa per gli occhi al core in un momento
qualunche obbietto di beltà lor sia,
e per sì larga e sì capace via
c'a mille non si chiude, non c'a cento,

5
d'ogni età, d'ogni sesso; ond'io pavento,
carco d'affanni, e più di gelosia;
né fra sì vari volti so qual sia
c'anzi morte mi die 'ntero contento.

S'un ardente desir mortal bellezza
10
ferma del tutto, non discese insieme
dal ciel con l'alma; è dunche umana voglia.

Ma se pass'oltre, Amor, tuo nome sprezza,
c'altro die cerca; e di quel più non teme
c'a lato vien contr'a sì bassa spoglia.


277

Se con lo stile o coi colori avete
alla natura pareggiato l'arte,
anzi a quella scemato il pregio in parte,
che 'l bel di lei più bello a noi rendete,

5
poi che con dotta man posto vi sete
a più degno lavoro, a vergar carte,
quel che vi manca, a lei di pregio in parte,
nel dar vita ad altrui, tutta togliete.

Che se secolo alcuno omai contese
10
in far bell'opre, almen cedale, poi
che convien c'al prescritto fine arrive.

Or le memorie altrui, già spente, accese
tornando, fate or che fien quelle e voi
malgrado d'esse, etternalmente vive.


278

Chi non vuol delle foglie
non ci venga di maggio.


279

La forza d'un bel viso a che mi sprona?

C'altro non è c'al mondo mi diletti:
ascender vivo fra gli spirti eletti
per grazia tal, c'ogni altra par men buona.

5
Se ben col fattor l'opra suo consuona,
che colpa vuol giustizia ch'io n'aspetti,
s'i' amo, anz'ardo, e per divin concetti
onoro e stimo ogni gentil persona?


280

L'alma inquieta e confusa in sé non truova
altra cagion c'alcun grave peccato
mal conosciuto, onde non è celato
all'immensa pietà c'a' miser giova.

5
I' parlo a te, Signor, c'ogni mie pruova
fuor del tuo sangue non fa l'uom beato:
miserere di me, da ch'io son nato
a la tuo legge; e non fie cosa nuova.


281

Arder sole' nel freddo ghiaccio il foco;
or m'è l'ardente foco un freddo ghiaccio,
disciolto, Amor, quello insolubil laccio,
e morte or m'è, che m'era festa e gioco.

5
Quel primo amor che ne diè tempo e loco,
nella strema miseria è greve impaccio
a l'alma stanca...


282

Con tanta servitù, con tanto tedio
e con falsi concetti e gran periglio
dell'alma, a sculpir qui cose divine.


283

Non può, Signor mie car, la fresca e verde
età sentir, quant'a l'ultimo passo
si cangia gusto, amor, voglie e pensieri.

Più l'alma acquista ove più 'l mondo perde;
5
l'arte e la morte non va bene insieme:
che convien più che di me dunche speri?


284

S'a tuo nome ho concetto alcuno immago,
non è senza del par seco la morte,
onde l'arte e l'ingegno si dilegua.

Ma se, quel c'alcun crede, i' pur m'appago
5
che si ritorni a viver, a tal sorte
ti servirò, s'avvien che l'arte segua.


285

Giunto è già 'l corso della vita mia,
con tempestoso mar, per fragil barca,
al comun porto, ov'a render si varca
conto e ragion d'ogni opra trista e pia.

5
Onde l'affettüosa fantasia
che l'arte mi fece idol e monarca
conosco or ben com'era d'error carca
e quel c'a mal suo grado ogn'uom desia.

Gli amorosi pensier, già vani e lieti,
10
che fien or, s'a duo morte m'avvicino?

D'una so 'l certo, e l'altra mi minaccia.

Né pinger né scolpir fie più che quieti
l'anima, volta a quell'amor divino
c'aperse, a prender noi, 'n croce le braccia.


286

Gl'infiniti pensier mie d'error pieni,
negli ultim'anni della vita mia,
ristringer si dovrien 'n un sol che sia
guida agli etterni suo giorni sereni.

5
Ma che poss'io, Signor, s'a me non vieni
coll'usata ineffabil cortesia?


287

Di giorno in giorno insin da' mie prim'anni,
Signor, soccorso tu mi fusti e guida,
onde l'anima mia ancor si fida
di doppia aita ne' mie doppi affanni.


288

Le favole del mondo m'hanno tolto
il tempo dato a contemplare Iddio,
né sol le grazie suo poste in oblio,
ma con lor, più che senza, a peccar volto.

5
Quel c'altri saggio, me fa cieco e stolto
e tardi a riconoscer l'error mio;
manca la speme, e pur cresce il desio
che da te sia dal propio amor disciolto.

Ammezzami la strada c'al ciel sale,
10
Signor mie caro, e a quel mezzo solo
salir m'è di bisogno la tuo 'ita.

Mettimi in odio quante 'l mondo vale
e quante suo bellezze onoro e colo,
c'anzi morte caparri eterna vita.


289

Non è più bassa o vil cosa terrena
che quel che, senza te, mi sento e sono,
onde a l'alto desir chiede perdono
la debile mie propia e stanca lena.

5
Deh, porgi, Signor mio, quella catena
che seco annoda ogni celeste dono:
la fede, dico, a che mi stringo e sprono;
né, mie colpa, n'ho grazia intiera e piena.

Tanto mi fie maggior, quante più raro
10
il don de' doni, e maggior fia se, senza,
pace e contento il mondo in sé non have.

Po' che non fusti del tuo sangue avaro,
che sarà di tal don la tuo clemenza,
se 'l ciel non s'apre a noi con altra chiave?


290

Scarco d'un'importuna e greve salma,
Signor mie caro, e dal mondo disciolto,
qual fragil legno a te stanco rivolto
da l'orribil procella in dolce calma.

5
Le spine e ' chiodi e l'una e l'altra palma
col tuo benigno umil pietoso volto
prometton grazia di pentirsi molto,
e speme di salute a la trist'alma.

Non mirin co' iustizia i tuo sant'occhi
10
il mie passato, e 'l gastigato orecchio;
non tenda a quello il tuo braccio severo.

Tuo sangue sol mie colpe lavi e tocchi,
e più abondi, quant'i' son più vecchio,
di pronta aita e di perdono intero.


291

Penso e ben so c'alcuna colpa preme,
occulta a me, lo spirto in gran martire;
privo dal senso e dal suo propio ardire
il cor di pace, e 'l desir d'ogni speme.

5
Ma chi è teco, Amor, che cosa teme
che grazia allenti inanzi al suo partire?


292

Ben sarien dolce le preghiere mie,
se virtù mi prestassi da pregarte:
nel mio fragil terren non è già parte
da frutto buon, che da sé nato sie.

5
Tu sol se' seme d'opre caste e pie,
che là germuglian, dove ne fa' parte;
nessun propio valor può seguitarte,
se non gli mostri le tuo sante vie.


293

Carico d'anni e di peccati pieno
e col trist'uso radicato e forte,
vicin mi veggio a l'una e l'altra morte,
e parte 'l cor nutrisco di veleno.

5
Né propie forze ho, c'al bisogno sièno
per cangiar vita, amor, costume o sorte,
senza le tuo divine e chiare scorte,
d'ogni fallace corso guida e freno.

Signor mie car, non basta che m'invogli
10
c'aspiri al ciel sol perché l'alma sia,
non come prima, di nulla, creata.

Anzi che del mortal la privi e spogli,
prego m'ammezzi l'alta e erta via,
e fie più chiara e certa la tornata.


294

Mentre m'attrista e duol, parte m'è caro
ciascun pensier c'a memoria mi riede
il tempo andato, e che ragion mi chiede
de' giorni persi, onde non è riparo.

5
Caro m'è sol, perc'anzi morte imparo
quant'ogni uman diletto ha corta fede;
tristo m'è, c'a trovar grazi' e mercede
negli ultim'anni a molte colpe è raro.

Ché ben c'alle promesse tua s'attenda,
10
sperar forse, Signore, è troppo ardire
c'ogni superchio indugio amor perdoni.

Ma pur par nel tuo sangue si comprenda,
se per noi par non ebbe il tuo martire,
senza misura sien tuo cari doni.


295

Di morte certo, ma non già dell'ora,
la vita è breve e poco me n'avanza;
diletta al senso, è non però la stanza
a l'alma, che mi prega pur ch'i' mora.

5
Il mondo è cieco e 'l tristo esempro ancora
vince e sommerge ogni prefetta usanza;
spent'è la luce e seco ogni baldanza,
trionfa il falso e 'l ver non surge fora.

Deh, quando fie, Signor, quel che s'aspetta
10
per chi ti crede? c'ogni troppo indugio
tronca la speme e l'alma fa mortale.

Che val che tanto lume altrui prometta,
s'anzi vien morte, e senza alcun refugio
ferma per sempre in che stato altri assale?


296

S'avvien che spesso il gran desir prometta
a' mie tant'anni di molt'anni ancora,
non fa che morte non s'appressi ognora,
e là dove men duol manco s'affretta.

5
A che più vita per gioir s'aspetta,
se sol nella miseria Iddio s'adora?

Lieta fortuna, e con lunga dimora,
tanto più nuoce quante più diletta.

E se talor, tuo grazia, il cor m'assale,
10
Signor mie caro, quell'ardente zelo
che l'anima conforta e rassicura,

da che 'l propio valor nulla mi vale,
subito allor sarie da girne al cielo:
ché con più tempo il buon voler men dura.


297

Se lungo spazio del trist'uso e folle
più temp'il suo contrario a purgar chiede,
la morte già vicina nol concede,
né freno il mal voler da quel ch'e' volle.


298

Non fur men lieti che turbati e tristi
che tu patissi, e non già lor, la morte,
gli spirti eletti, onde le chiuse porte
del ciel, di terra a l'uom col sangue apristi.

5
Lieti, poiché, creato, il redemisti
dal primo error di suo misera sorte;
tristi, a sentir c'a la pena aspra e forte,
servo de' servi in croce divenisti.

Onde e chi fusti, il ciel ne diè tal segno
10
che scurò gli occhi suoi, la terra aperse,
tremorno i monti e torbide fur l'acque.

Tolse i gran Padri al tenebroso regno,
gli angeli brutti in più doglia sommerse;
godé sol l'uom, c'al battesmo rinacque.


299

Al zucchero, a la mula, a le candele,
aggiuntovi un fiascon di malvagia,
resta sì vinta ogni fortuna mia,
ch'i' rendo le bilance a san Michele.

5
Troppa bonaccia sgonfia sì le vele,
che senza vento in mar perde la via
la debil mie barca, e par che sia
una festuca in mar rozz'e crudele.

A rispetto a la grazia e al gran dono,
10
al cib', al poto e a l'andar sovente
c'a ogni mi' bisogno è caro e buono,

Signor mie car, ben vi sare' nïente
per merto a darvi tutto quel ch'i' sono:
ché 'l debito pagar non è presente.


300

Per croce e grazia e per diverse pene
son certo, monsignor, trovarci in cielo;
ma prima c'a l'estremo ultimo anelo,
goderci in terra mi parria pur bene.

5
Se l'aspra via coi monti e co 'l mar tiene
l'un da l'altro lontan, lo spirto e 'l zelo
non cura intoppi o di neve o di gelo,
né l'alia del pensier lacci o catene.

Ond'io con esso son sempre con voi,
10
e piango e parlo del mio morto Urbino,
che vivo or forse saria costà meco,

com'ebbi già in pensier. Sua morte poi
m'affretta e tira per altro cammino,
dove m'aspetta ad albergar con seco.


301

Di più cose s'attristan gli occhi mei,
e 'l cor di tante quant'al mondo sono;
se 'l tuo di te cortese e caro dono
non fussi, della vita che farei?

5
Del mie tristo uso e dagli esempli rei,
fra le tenebre folte, dov'i' sono,
spero aita trovar non che perdono,
c'a chi ti mostri, tal prometter dei.


302

Non più per altro da me stesso togli
l'amor, gli affetti perigliosi e vani,
che per fortuna avversa o casi strani,
ond'e' tuo amici dal mondo disciogli,

5
Signor mie car, tu sol che vesti e spogli,
e col tuo sangue l'alme purghi e sani
da l'infinite colpe e moti umani,
. . . . . . . . . . . .
 
 
 
<<< indice  <<< indietro