B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A
           
  Virginia Galilei
1600 - 1634
     
   



L e t t e r e   a l   p a d r e

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L'anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L'uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

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      22.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 4 marzo 1627 [1628]


      Amatissimo Signor Padre.
      Credo veramente che l'amore paterno inverso dei figli possa in parte diminuirsi, mediante i mali costumi e portamenti loro; e questa mia credenza vien confermata da qualche indizio che me ne dà V. S. parendomi che più presto vadia in qualche parte scemando quel cordiale affetto che per l'addietro ha inverso di noi dimostrato; poiché sta tre mesi per volta senza venire a visitarne, che a noi paion tre anni, ed anco da un pezzo in qua, mentre però si ritrova con sanità, non mi scrive mai mai un verso.
      Ho fatta buona esamina per conoscer se dalla banda mia ci fossi caduto qualche errore che meritassi questo castigo, ed uno ne ritrovo (ancorché involontario) e questo è una trascuraggine o spensieritaggine ch'io dimostro verso di lei, mentre non ho quella sollecitudine che richiederebbe l'obbligo mio di visitarla e salutarla più spesso con qualche mia lettera; onde questo mio mancamento, accompagnato da molti demeriti che per altro ci sono, è bastante a somministrarmi il timore sopra accennatoli. Sebbene, appresso di me, non a difetto può attribuirsi, ma piuttosto a debolezza di forze, mentre che la mia continua indisposizione m'impedisce il poter esercitarmi in cosa alcuna; e già più d'un mese ho travagliato con dolori di testa tanto eccessivi che né giorno né notte trovavo riposo. Adesso che, per grazia del Signore, sono mitigati, ho subito presa la penna per scriverle questa lunga lamentazione, che, per essere di carnevale può piuttosto dirsi una burla. Basta insomma che V. S. si ricordi che desideriamo di rivederla, quando il tempo lo permetterà; intanto gli mando alcune poche confezioni che mi sono state donate. Saranno alquanto indurite, avendole io serbate parecchi giorni con speranza di dargliele alla presenza. I berlingozzi sono per l'Anna Maria e i suoi fratellini. Gli mando una lettera per Vincenzio, acciò questa gli riduca in memoria che siamo al mondo, perché dubito ch'egli non se lo sia scordato, poiché non ci scrive mai un verso. Salutiamo per fine V. S. e la zia di tutto cuore, e da nostro Signore gli prego vero contento.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      23.

      A Firenze

      San Matteo, 18 marzo 1627 [1628]


      Amatissimo Signor Padre.
      Perché non saprei indovinare che cosa potessi mandargli che gli gustassi, ho pensato che forse gli sarà più grato qualche cosa per presentare alla signora Barbera e altre che la governano, alle quali ancor io (per amor di V. S.) mi confesso molto obbligata. Per questo adunque gli mando queste poche paste, acciò le godine per amor nostro in questi giorni di digiuno; e se V. S. ne mandasse a chieder qualche cosa che gli fossi di gusto, non potrebbe farne maggior grazia di questa, che pur desideriamo d'esser buone in qualche minima cosa per lei.
      Ieri mi cavai un dente che mi dava grandissimo travaglio, sì che adesso per grazia del Signore resto libera dai dolori che per due mesi m'hanno tormentata, ancorché resto ancora con la testa non troppo sana. Spero però, con progresso di qualche poco tempo, di dover restarne libera, se piacerà a Dio, il quale io prego che a V. S. conceda perfetta sanità; e per fine a lei, a Vincenzio, e alla zia e a tutti di casa mi raccomando insieme con Suor Arcangela.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      24.

      A S. Spirito

      San Matteo, 22 marzo 1627 [1628]


      Amatissimo Signor Padre.
      Gli mando l'acqua di cannella, che, per esser fatta di fresco, non so se gli piacerà. Se non ha più stillato, potrà render la guastada al nostro fattore che glie ne manderò dell'altro; e se la pera cotta gli è gustata, lo dica, che ne accomoderò un'altra; ma dubito che, mediante la stagione, non siano adesso poco buone. Saluto la zia e tutti di casa; non dico Vincenzio perché non so se sia partito; avrò ben caro d'intenderlo. V. S. stia allegramente, acciò possa guarir presto affatto, e venire da noi, siccome lo desideriamo ed Ella ci ha promesso, e, se gli occorre qualcosa avvisi. Nostro Signore gli doni la sua santa grazia.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      25.

      A Firenze

      24 marzo 1627 [1628]


      Amatissimo Signor Padre.
      Non potendo io assisterla con la persona, siccome sarebbe il mio desiderio (che non per altro mi par alquanto difficile la clausura) non tralascio già d'accompagnarla continuamente con il pensiero e desiderio di sentirne nuove ogni giorno; e perché ieri l'altro il fattore non potette vederla, lo rimando oggi, con scusa di mandargli due morselletti di cedro. Intanto V. S. potrà dirgli se vuol qualcosa da noi, e se la pera cotogna gli è niente piaciuta, acciò possa accomodarne un'altra. Finisco, per non noiarla di soverchio, senza finir mai di raccomandarmele, e di pregar nostro Signore per la sua intiera sanità, e il simile fa Suor Arcangela e l'altre amiche.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      26.

      A Firenze

      San Matteo, 25 marzo 1628


      Amatissimo Signor Padre.
      L'allegrezza che sentiamo del suo progresso in salute è inestimabile, e con tutto il cuore ne ringraziamo il Signor Iddio dator d'ogni bene. Per non trasgredir al suo comandamento, tanto amorevole, gli dico che io, per comandamento del medico, non fo quaresima, e che, per essere sdentata avanti tempo, avrò caro s'ella mi manderà un poco di carne di castrato che sia grassa, che pur di questa ne mangio qualche poca. Suor Arcangela si contenta di qualche cosetta per far colazione la sera; e particolarmente un poco di vino bianco ci sarà molto grato. Tanto gli dico per obedirla, e certo che resto confusa ch'Ella, mentre si ritrova indisposta, pigli di noi tanto pensiero; ma non si può dir altro se non ch'ella è padre, e padre amorevolissimo, nel quale, dopo Dio benedetto, è riposta ogni nostra speranza. Piaccia pur allo stesso Signore di conservarcelo ancora, se così è per sua salute. E qui per fine me li raccomando di cuore.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      27.

      A Bellosguardo

      [marzo/aprile 1628]


      Amatissimo Signor Padre.
      Il tempo d'oggi tanto quieto mi dava mezza speranza di riveder V. S. Poiché non è venuta, ci è stata molto cara la venuta del grazioso Albertino, avendoci egli dato nuova che V. S. sta bene, e che presto verrà a vederci, insieme con la zia; ma, questo ma guasta ogni cosa; quel sentire ch'Ella sia ritornata così presto al solito esercizio dell'orto, mi dispiace non poco; perché, essendo ancora l'aria assai cruda e V. S. debole del male, dubito che non gli faccia danno. Di grazia V. S. non si scordi così presto in che termini ella sia stata, e abbia un poco di amore più a sé stessa che all'orto; ancor ch'io creda che, non per amore ch'abbia all'orto, ma per il gusto che ne piglia, si metta a questo risico. Ma in tempo di quaresima, par che si convenga far qualche mortificazione: V. S. facci questa, privisi per qualche poco di questo gusto.
      Scrissi l'altro giorno a V. S. che se per sorta aveva qualche altro cedro, mi sarebbe stato grato; e ora di nuovo la prego che, se avessi comodità di provvedermene uno o due mi farebbe grandissimo piacere; quando non fossino nostrali non importerebbe, perché dovendo il Cavalier Marzi, ch'è tornato nostro Governatore, venir a darne l'acquasanta questa settimana santa, siamo in obbligo Suor Luisa ed io di regalarlo di qualche galanteria nella nostra bottega; e vorremmo fargli 4 di quei morselletti che tanto gli piacciono, quelli di V. S. non sono ancora asciutti; perché il tempo non mi ha servito se non oggi. Gli mando parecchie uve accomodate, e 6 pine che saranno pei ragazzi. La ringrazio della carne, e perché sto adesso tanto bene, penso di ripigliar la quaresima venerdì prossimo, perciò V. S. non piglierà pensiero di mandarmene più: per fine la saluto insieme con la zia; Dio benedetto la feliciti.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      28.

      A Bellosguardo

      8 aprile 1628


      Amatissimo Signor Padre.
      La ringraziamo infinitamente (Suor Luisa e io) de' cedri a noi gratissimi, sì perché vengono da lei, sì anco perché non avevamo miglior mezzo per averli. I cibi da quaresima ci sono stati gratissimi, e particolarmente a Suor Arcangela. Io vivo tanto regolatamente, per desiderio ch'ho di star sana, che V. S. non deve dubitare ch'io disordini, e dell'uova non mangerò per obidirla. Le immagini mi sono state molto care, e avrò caro che, quando V. S. risponde alla Mechilde, la ringrazi per nostra parte e gli renda duplicati saluti.
      Rimando i collari dei ragazzi, e nel fondo della paniera vi sono 8 morselletti, e due ne abbiamo presi per noi, già ch'ella per sua amorevolezza ce li concede. Ho fatto anco (del zuccaro, che mandò) un poca di conserva d'agro di cedro e di quella di fiori di ramerino, ma non sono ancora in ordine per poterli mandare.
      Mi rallegro del suo progresso in sanità, e prego nostro Signore che gliela renda perfettamente, se è per il meglio. E per finire me li raccomando insieme con Suor Arcangela e Suor Luisa.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      La zia ci s'intende.


      29.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 10 aprile 1628


       Amatissimo Signor Padre.
      La liberalità e amorevolezza di V. S. in alcuna maniera non compatisce d'esser paragonata con l'avarizia del Papazzoni; ma piuttosto (quando ci fossino forze corrispondenti all'animo) a quella d'Alessandro Magno. O per dir meglio, io, quanto a me, assomiglierei V. S. al pellicano, che siccom'egli, per sostentare i suoi figli, sviscera sé stesso, così lei per sovvenire alle necessità di noi sue care figlie, non avrebbe riguardo di privar sé stessa di cosa a Lei necessaria. Or quanto meno dovrò io dubitare che gli dia molestia il pensiero di dovermi mandare tre o quattro libbre di zucchero, acciò ch'io possa condir per lei i credri mandatimi? Certo ch'io non temo punto che questo pensiero e affanno abbia avuto forza di causargli una minima palpitazion di cuore, e con questa sicurtà ho tardato a dargli risposta. Oltre che sopragiungendo il medico (appunto quando m'ero messa a scrivere) chiamato da me per causa della mia maestra che si ritrova ammalata, già son parecchi giorni, e convenendomi assistere a lei e dopo a tre altre ammalate, mi fu impossibile il poter allora satisfare all'obligo mio, già che in quell'azione non mi era lecito mandar altre in mio scambio. Scusimi perciò V. S. della tardanza, e la prego che per carità mi mandi (per detta mia maestra) questo fiaschette pieno di vino di casa sua: che basta che non sia agro, già ch'il medico glielo vieta, e il nostro del convento è assai crudo.
      Ancora desidero di sapere se V. S. potessi farmi aver da Pisa, quando vi sarà fiera, parecchie braccia di calisse per due monache poverette che mi si raccomandano. Caso che ella possa farmi il servizio, manderò la mostra e otto scudi ch'hanno voluto già consegnarmi per questo effetto. Perché ho molta fretta non dico altro, se non che prego nostro Signore che gli doni la sua santa grazia, e a Lei, alla zia, e a tutti i rabacchini mi raccomando.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      30.

      A Bellosguardo

      19 aprile [1628]


      Amatissimo Signor Padre.
      I cedrati sono bellissimi, e della vista loro mi compiaccio assai, siccome anco della diligenza e manifattura che si ricerca in accomodarli, sì perché questo esercizio mi gusta, e molto più perché ho occasione d'impiegarmi in servizio di V. S. cosa a me più grata più ch'altra del mondo.
      Gli mando l'altro barattolo di conserva di fiori di ramerino, che appunto avevo fatto del zuccaro avanzatomi dei morselletti, li quali non sono ancora in stagione ch'io glieli possa mandare, sì come anco l'agro, il quale non è però riuscito male affatto.
      Quanto alla quantità del zuccaro, che ricercano i vasetti simili a questo che gli mando, non vuol essere manco di sei once per ciascuno, anzi che l'altro che gli mandai ne prese sette, e credami che non dico la bugia, sebbene ho detto in caffo, come si suol dire in proverbio: ma V. S. vuol la burla meco, perché sa bene che non gli direi bugie, in questo genere in particolare.
      Intanto se V. S. ha votati tre vasi di vetro ch'ha di mio, potrà mandarmeli quando manderà i fiori, acciò li possa riempire. E vorrei anco che facessi una buona rifrusta per casa, adesso che si da l'acquasanta, e se vi fosse qualche vasetto o ampolle vote che siano per la spezieria, si levassi questo impaccio, che a noi servirebbono di grazia, o qualche scatola: basta, V. S. m'intende.       Quanto ai cantucci, faremo il conto che ne avvisa V. S., già che la quaresima è finita. Gli mando un poca di pasta reale per sé, e quattro pasterelle per i ragazzi. La ringrazio del vino, il quale parteciperò con la Nonna e amiche, ché veramente non è per me. La saluto con tutto l'affetto insieme con la zia; e prego il Signore che la conservi.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      31.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 28 aprile 1628


       Amatissimo Signor Padre.
      L'aver visto qualche giorno addietro il tempo assai quieto, e che V. S. non sia venuto da noi, mi fa sospettare o ch'Ella non si senta troppo bene o vero che sia andata a Pisa. Per certificarmene mando questa donna costì, e con questa occasione gli mando tutti i morsellini ch'ho fatti; quelli cinque separati dagli altri sono dei due cedrati che mandò ultimamente, e credo che saranno di maggior bontà degli altri, sì per essere stati migliori i cedri e più freschi, come anco perché è il zucchero più raffinato, che perciò sono anco più bianchi, e me l'ha donato Suor Luisa, già che del suo non n'avevo più. Dubito che V. S. non si sia scordata di mandarmi gli altri fiori di ramerino i quali aspetto ogni giorno, sì come mi disse V. S. nell'ultima sua. Glieli ricordo, perché penso che siano per durar poco. Se V. S. va a Pisa avanti che venga a vederci, si ricordi del mio servigio, cioè del calisse, del quale già gli ho trattato.
      Vorrei anco che V. S. vedessi se per sorte avessi in casa da mandarmi un pochette di lucchesino tanto che mi facessi un panno da stomaco, perché adesso, che si cavano gli altri panni da verno, patisco assai, per aver lo stomaco freddo e debole. Perché mi ritrovo molto occupata non dico altro, se non che me li raccomando di tutto cuore, e prego il Signore che gli conceda vera felicità.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      32.

      A Bellosguardo

      San Matteo, giorno di san Martino del 1628 [11 novembre]


      Amatissimo Signor Padre.
      Essendo io stata tanto senza scriverle, V. S. potrebbe facilmente giudicare ch'io avessi dimenticato, sì come potrei io sospettare ch'Ella avesse smarrita la strada per venir a visitarci, poiché è tanto tempo che non ha per essa camminato: ma sì come poi sono certa che non tralascio di scriverle per la causa suddetta, ma sì bene per penuria e carestia di tempo, del quale non ho mai un'ora che sia veramente mia, cosi mi giova di credere ch'Ella, non per dimenticanza, ma sì bene per altri impedimenti lasci di venir da noi; e tanto più adesso che Vincenzio nostro viene in suo scambio, e con questo ci acquietiamo, avendo da esso nuove sicure di V. S. le quali tutte mi sono di gusto, eccetto quella per la quale intendo ch'Ella va la mattina nell'orto; questa veramente mi dispiace fuori di modo, parendomi che V. S. si procacci qualche mala stravagante e fastidioso si come l'altra invernata gli intervenne. Di grazia privisi di questo gusto che torna in tanto suo danno; e se non vuol farlo per amor suo, faccilo almeno per amor di noi suoi figliuoli che desideriamo di vederla giugnere alla decrepità; il che non succederà s'Ella così si disordina. Dico questo per pratica, perché ogni poco ch'io stia ferma all'aria scoperta mi nuoce alla testa grandemente: or quanto più farà danno a Lei!
      Quando Vincenzio fu ultimamente da noi, Suor Chiara gli domandò otto o dieci melarance; adesso essa torna a domandarle a V. S. se sono mediocremente mature, avendo a servirsene lunedì mattina.
      Gli rimando il suo piatto, dentrovi una pera cotta, che credo non le spiacerà, e questa poca pasta reale.
      Se hanno collari da imbiancare potranno mandarli insieme con un'altra paniera e coperta che hanno di nostro. Saluto V. S. e Vincenzio molto affettuosamente, e il simile fanno Suor Arcangela e le altre di camera. Il Signore gli conceda la sua santa grazia.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      33.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 10 dicembre 1628


      Amatissimo Signor Padre.
      Dovrei continuamente ringraziare Iddio benedetto, il quale compiacendosi di visitarmi con qualche travaglio insieme mi dà molte consolazioni, una delle quali, anzi la maggiore in questo mondo, è il mantener in vita V. S., e mantenerla, dico, con pronta volontà di sovvenirmi in ogni mio bisogno, ché veramente, s'io non conoscessi in lei questa prontezza, mal volentieri m'arrischierei ad infastidirla così spesso; ma per finirla ormai gli dico che Suor Arcangela da otto giorni in qua si ritrova ammalata, e se bene nel principio ne feci poca stima parendomi che fossi il male d'infreddatura, finalmente vedo adesso ch'ella ha necessità di purgarsi; poiché, oltre al cader nella solita maninconia, è anco soprapresa da un catarro in tutta la vita, ma in particolare nelle gambe, che gli causa certi enfiati piccoli e rossi sì che non può muoversi senza estrema fatica. Conosco che il suo bisogno è di cavarsi sangue (già che non ha mai il benefizio necessario) e per questa causa aspetto questa mattina il medico: ma perché non ho assegnamento nessuno di danaro per questo bisogno, la prego, per amor di Dio, che mi cavi da questo pensiero con mandarmene qualcuno, essendo in molta necessità per molte cause, le quali sarei troppo tediosa se volessi raccontarle. Se il tempo lo concedessi, avrei caro che ci venissi Vincenzio, con il quale potrei dir liberamente i miei affanni, che non sono però superflui, venendo da Dio. Gli mando una pera cotta, di quelle così belle che mi mandò ultimamente. Ho imparato questa nuova foggia di cuocerle che forse più le piacerà, e avrò caro che mi rimandi la coperta, ché non è mia. La saluto per fine affettuosamente, e prego il Signore che la conservi.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      34.

      A Bellosguardo

      [dicembre 1628 ?]


      Amatissimo Signor Padre.
      La improvvisa nuova datami da Vincenzio nostro della conclusione del suo parentado, e parentado così onorato, ha causato in me tale allegrezza che non saprei come meglio esprimerla, salvo che con dirle, che tanto quanto è grande l'amore che porto a V. S., tanto è il gusto che sento d'ogni suo contento, il quale suppongo che in questa occasione sia grandissimo; e perciò vengo di presente a rallegrarmi seco, e prego nostro Signore che la conservi per lungo tempo, acciò possa godere quelle satisfazioni che mi pare gli promettino le buone qualità di suo figliuolo e mio fratello, al quale io accresco ogni giorno l'affezione, parendomi giovane molto quieto e prudente.
      Avrei fatto con V. S. più volentieri quest'offizio in voce, ma poich'Ella così si compiace, la prego che almanco mi dica per lettera il suo gusto circa il mandar a visitar la sposa: cioè se sia meglio il mandar a Prato quando vi andrà Vincenzio, o pure aspettar ch'ella sia in Firenze, già che questa è cerimonia solita di noi altre, e tanto più che per essere lei stata in monastero, saprà queste usanze. Aspetto adunque la sua risoluzione. E frattanto la saluto di cuore.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.