B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A
           
  Virginia Galilei
1600 - 1634
     
   



L e t t e r e   a l   p a d r e

1 6 3 0

L'anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L'uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

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      41.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 4 gennaio 1629 [1630]


      Amatissimo Signor Padre.
      Il timore che ho, che la venuta qui di V. S. l'altro giorno non gli abbia cagionato l'accidente solito di maggior indisposizione, m'induce a mandarla a visitare di presente, con speranza però che non sia seguìto quello che temo, ma sì bene quel che desidero: cioè ch'Ella stia bene, il che non segue già qua fra di noi, poiché la maestra di Suor Luisa, cioè quella che V. S. non poteva creder l'altro giorno ch'avessi 80 anni, per esser così fiera, l'istessa sera fu soprapresa da male così repente di febbre, catarro e dolori, di tal maniera che si dà per spedita: e Suor Luisa perciò si ritrova in molto travaglio, perché l'amava grandemente. Oltre a ciò Suor Violante, per ordine del medico, se ne sta in letto con un poca di febbre; e, per quanto ne dice l'istesso medico, si può sperarne poco bene: ieri mattina prese medicina e si va trattenendo. Se V. S. facessi carità di mandarmi per lei un fiasco di vino rosso ben maturo, l'avrei molto caro, perché il nostro è assai crudo, e io voglio cercare, di quel poco che potrò, di aiutarla fino all'ultimo.
      Tengo memoria del debito ch'ho colla Porzia, e perciò gli mando queste pezzuole che da per noi abbiamo lavorate, e questa cordellina, acciò veda se gli piace di donargliene da mia parte, e intanto procurar d'avere qualche altro ritaglio di drappo bello; basta: faccia V. S. in quella maniera che più gli piace. Si goderà sta sera queste uova fresche per amor mio, e per fine a Lei di tutto cuore mi raccomando insieme con tutte di camera. Il Signore la conservi in sua grazia.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      42.

      A Bellosguardo

      21 gennaio 1629 [1630]


      Amatissimo Signor Padre.
      In risposta della sua gratissima gli dico che Suor Arcangiola sta bene, ed io poco manco che bene, già che per consiglio del medico Ronconi fo di presente un poco di purga piacevole, per ovviare, se sarà possibile, ad un'oppilazione duratami (fuor d'ogni mio solito) da sei mesi in qua, e credo che domattina piglierò una presa di pillole. Non mi sento veramente indisposizione particolare; ma, stando in questa maniera, dubito che mi verrebbe senz'altro. Suor Violante sta alquanto meglio, e va ancora purgandosi. Suor Giulia ci dà che fare assai, non agiutandosi niente da per sé, e, ogni volta che si leva dal letto, siamo 3 o 4 a portarla. Non credo senz'altro che sia per scamparla, essendo la febbre continua con andata di corpo. Io gli assisto continuamente, parendomi adesso il tempo di dimostrare a Suor Luisa l'affezione che gli porto, con levarle quelle fatiche ch'io posso.
      Vincenzio tenne parecchi giorni l'oriuolo, ma da poi in qua suona manco che mai. Quanto a me, giudicherei che il difetto venissi dalla corda, che, per esser vecchia, non scorra. Pure, perché non me ne risolvo, glielo mando, acciò veda qual sia il suo mancamento, e lo raccomodi. Potrebb'anco esser che il difetto fossi mio per non saperlo guidare, che perciò ho lasciati i contrappesi attaccati, dubitando che forse non siano al luogo loro: ma ben la prego a rimandarlo più presto che potrà, perché queste monache non mi lascerebbono vivere.
      Suor Brigida le ricorda il servizio, che gli ha impromesso, cioè la dote di quella povera fanciulla, e io avrei caro di saper se ha avuto per me dalla Porzia il servizio che li domandai. Non lo nomino acciò V. S. non mi dica fastidiosa, ma solo glielo ricordo.
      Avrò caro anco di sapere se la lettera ch'io scrissi per Suor Maria Grazia fu conforme al desiderio di V. S., ché, quando ciò non fossi, procurerei d'emendar l'errore con scriverne un'altra, avendo scritta quella con molta penuria di tempo, il quale mi manca sempre per compire le mie faccende, e per disgrazia non posso tor alcun'ora al sonno, perché conosco che m'apporterebbe grandissimo nocumento alla sanità.
      La ringrazio del servizio fattomi della muletta, la quale feci istanza che m'accomodassi, acciò che Suor Chiara, che la ricercava, non dubitassi ch'io non volessi che fossi servita. Gli rimando il fiasco voto, essendo a Suor Violante molto gustato il buon vino che v'era dentro, e la ringrazia.
      Suor Arcangelo, quando l'altro giorno vedde l'involto di caviale che V. S. mandò, restò ingannata, credendosi che fossi certo cacio d'Olanda ch'è solita di mandarne, sì che se V. S. vuol ch'ella resti satisfatta, di grazia ne mandi un poco avanti che passi Carnevale.
      Adesso ch'ho buona vena di cicalare non finirei così per fretta, se non dubitassi di venirle a fastidio o più presto causarle stracchezza; che perciò finisco con raccomandarmeli per mille volte, insieme con Suor Luisa e tutte di camera. Il Signore la feliciti sempre.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      43.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 19 febbraio 1629 [1630]


      Amatissimo Signor Padre.
      So che V. S. è stata consapevole di tutti i miei disgusti, ché così mi fu dalla nostra Nora riferto; ed io non ho voluto dargliene parte per non essere sempre annunziatrice di cattive nuove; ma ben adesso gli dico che Suor Luisa, per la Dio grazia, sta assai bene, e Suor Arcangela e io stiamo benissimo: Suor Chiara ragionevolmente e le due vecchie all'ordinario: piaccia al Signore che anco V. S. stia con quella sanità ch'io desidero, ma non spero, mediante la crudezza del tempo; avrò caro d'averne la certezza, e intanto gli mando queste poche paste per far colazione la sera di queste vigilie.
      Vincenzio c'inviò ieri sera un buon alberello di caviale, del quale Suor Arcangela ringrazia V. S., per esser questa sua e non mia porzione, perché non fa per me: io in quel cambio avrei più caro da far zuppa, e parecchi fichi secchi che fanno per il mio stomaco; la consuetudine degli altri anni mi fa forse troppo ardita; ma il sapere che a V. S. non è discara simil domanda, mi dà sicurtà.
      L'oriolo che tante volte mandai in su e in giù, va adesso benissimo, essendo stato mio il difetto, che l'accomodavo un poco torto; lo mandai a V. S. in una zanetta coperta con uno sciugatoio, e non ho ricevuto né l'una né l'altro; se V. S. li ritrova per sorte in casa, avrò caro che gli rimandi. Non dirò altro di presente, se non che la saluto per parte di tutte le sopra nominate; e prego Dio benedetto che la conservi lungamente felice.

      figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      44.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 14 marzo 1629 [1630]


      Amatissimo Signor Padre.
      S'io fui sollecita a domandare a V. S., non vorrei anco esser troppo tarda a ringraziarla delle amorevolezze mandateci, le quali lunedì passato ci furono dalla cognata inviate, cioè un cartoccio di zibaldoni e tredici cantucci molto belli e buoni. Ce li andiamo godendo con riconoscimento dell'amorevolezza e prontezza di V. S. in satisfar sempre ad ogni nostro gusto. Ebbi anco alcuni pochi ritagli di drappi che m'imagino che venghino dalla Porzia.
      Perché so che V. S. gusta di sentire ch'io non stia in ozio, gli dico che dalla madre Badessa (oltre alle mie solite faccende) sono assai esercitata, atteso che tutte le volte che gli occorre scrivere a persone di qualità, come Governatore, Operai e simili personaggi, impone a me tal carico, che veramente non è piccolo, mediante l'altre mie occupazioni, che non mi concedono quella quiete che perciò mi bisognerebbe; onde, per mia minor fatica e miglior indirizzo, avrei caro che V. S. mi provvedessi qualche libro di lettere familiari, sì come una volta mi promesse, e so che m'avrebbe osservato, se la dimenticanza non l'avesse impedito.
      Vincenzio fu ier mattina da noi (forse per spazio d'un'ora) insieme con la cognata e sua madre, e da lei intesi che V. S. voleva andar a Roma, il che mi dette alquanto disturbo. Però m'acqueto, supponendo ch'Ella non si metterebbe in viaggio, se non si sentisse in stato di poterlo fare. Credo che avanti che ciò segua ci rivedremo, e perciò non replico altro. Se non che la saluto con tutto l'affetto insieme con tutte di camera, e prego il Signore che li conceda la sua santa grazia.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.

      Se ha collari da imbiancare potrà mandarmeli, e si goda quest'uova fresche per nostro amore.


      45.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 6 aprile 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Speravo di potere in voce satisfare al debito che tengo con V. S. di darle le buone feste, e perciò ho differito fino a questo giorno, nel quale vedendo riuscir vane le mie speranze, vengo con questa a salutarla caramente, e rallegrarmi che siano passate felicemente le Sante feste di Pasqua, giovandomi di credere ch'Ella stia bene non solo corporalmente, ma anco spiritualmente, e ne ringrazio Dio benedetto. Solo mi da qualche disturbo il sentire che V. S. stia con tanta assiduità intorno ai suoi studii, perché temo che ciò non sia con pregiudizio della sua sanità. E non vorrei che, cercando d'immortalar la sua fama, accorciassi la sua vita; vita tanto riverita e tenuta tanto cara da noi suoi figli, e da me in particolare. Perché, sì come negli anni precedo gli altri, così anco ardisco di dire che li precedo e supero nell'amore inverso di V. S. Pregola pertanto che non s'affatichi di soverchio, acciò non causi danno a sé e afflizione e tormento a noi. Non dirò altro per non tediarla, se non che di cuore la saluto insieme con Suor Arcangela e con tutte le amiche, e prego il Signore che la conservi in sua grazia.

      figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      46.

      A Bellosguardo

      14 aprile 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Non ho dubbio alcuno che V. S. non sia pronta a mandarmi molto volentieri quanto ier l'altro gli domandai; ma se per disgrazia la memoria non gli servissi, ho stimato necessario il tenergli ricordato il fiasco di vino, due ricotte e quell'altra cosa per dopo l'arrosto; non limone, o ramerino, come V. S. disse, ma cosa di fondamento secondo il mio gusto per domattina all'ora del desinare delle Monache. La staremo aspettando insieme con la cognata e Vincenzio, siccome ne promesse. E fra tanto pregandole da nostro Signore ogni desiderato contento, La salutiamo di cuore.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      47.

      A Roma

      San Matteo, 25 maggio 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Ho preso infinito contento, insieme con Suor Arcangela, di sentire che V. S. sta bene, il che più mi preme che altra cosa del mondo. Io sto ragionevolmente, ma non interamente bene, poiché ancora sono in purga mediante la mia oppilazione; e per questo e per le molte faccende che abbiamo in bottega in questo tempo non ho prima scritto a V. S. e alla signora Ambasciatrice. Mi perdoni la negligenza, e veda se l'inclusa sia a proposito; se no, ne aspetto la correzione. Suor Arcangela e tutte le altre stanno bene, eccetto Suor Violante che se ne sta con il suo solito flusso di corpo.
      La madre Badessa saluta V. S. e le tien ricordato quanto in voce le disse: cioè che, se per sorte se li porgesse qualche occasione di procurar qualche elemosina per il nostro Monastero, faccia questa carità, d'affaticarsi per amor di Dio e nostro sollevamento; e io di più aggiungo che veramente par cosa stravagante il domandare persone così lontane, le quali, quando abbiano a far benefizio ad alcuno, lo vorranno fare ai loro vicini e compatrioti. Nondimeno io so cne V. S. sa, aggiustando il tempo, trovar delle occasioni da poter ottener l'intento suo; e perciò gli raccomando caldamente questo negozio, perché veramente siamo in estrema necessità, e se non fossi l'aiuto che aviamo di qualche elemosina, andremmo a risico di morirci di fame; ma sia pur sempre lodato il Signore, che con tutta la nostra povertà, non permette che patiamo d'altro che d'afflizione d'animo, per veder la nostra madre Badessa continuamente afflitta per questa causa; e io particolarmente molto gli compatisco, e vorrei poterla aiutare, portandoli affezione più che ordinaria. Le ricordo ancora le reliquie che gli domandai, e per non tediarla finisco salutandola, insieme con tutte affettuosamente. E prego nostro Signore che la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      48.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 21 luglio 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Quando appunto andavo pensando di scrivere a V. S. una carta di lamentazioni per la sua lunga dimora, o tardanza in visitarmi, mi è comparsa la sua amorevolissima, la quale mi serra la bocca di maniera che non ho replica. Solamente me gli accuso per troppo timorosa o sospettosa, poi dubitavo che l'amore, che V. S. porta a quelli che gli sono presenti, fosse causa che si intiepidissi e diminuissi quello che porta a noi che gli siamo assenti. Conosco veramente che in questo mi dimostro d'animo vile e codardo, poiché con generosità dovrei persuadermi che, siccome io non cederei ad alcuno in questo particolare, cioè nell'amar lei, così all'incontro lei ami più di ciascun altro noi sue figliuole; ma credo che questo timore proceda da scarsezza di meriti; e questo basti per ora.
      Ci dispiace il sentire la sua indisposizione, e veramente, per aver V. S. fatto viaggio nella stagione che siamo, non poteva esser altrimenti: anzi che mi stupivo, sentendo che V. S. andava ogni giorno in Firenze. La prego pertanto a starsene qualche giorno in riposo, né pigli fretta di venire da noi, perché ci è più cara la sua sanità che la sua vista.
      Intanto veda se per sorte gli è restata una corona per portarmi, la quale vorrei mandare alla mia signora Ortensia, essendo un gran pezzo che non gli ho scritto, siccome anco ho mancato, non scrivendo prima a V. S., mediante l'esser anco stata sopraffatta da una estrema lassezza, e tale che non mi dava il cuore di mover la penna, per così dire. Ma da poi in qua ch'è alquanto cessato il caldo, sto benissimo, per grazia del Signor Iddio, il quale non lascio di continuamente pregare per la saluta e sanità di V. S., premendomi non meno la sua che la mia propria.
      La ringraziamo del vino e frutte così a noi oltremodo gratissime, e perché serbavamo questi pochi marzapanetti (numero 12) per quando veniva da noi, adesso glieli mandiamo, acciò non indurischino: i biscottini saranno per la Virginia. Per fine la salutiamo insieme con la madre Badessa e tutte affettuosamente.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      49.

      A Bellosguardo

      4 settembre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Per mia buona sorte mi è accaduto il poter in qualche parte supplire alla minore delle molte disgrazie che V. S. mi disse esserle accadute cioè d'esserseli guasto due barili d'aceto invece de' quali io ne ho provvisti questi due fiaschi che gli mando, il quale in questi tempi ho avuto per grazia e mi par ragionevole; accetti V. S. la mia buona volontà desiderosa di poter, se fosse possibile, supplire e concorrere con gli affetti ad ogni suo bisogno. Suor Violante, e noi insieme, la ringrazia dei ranocchi e zatta, gustando non solamente del dono in sé, ma molto più della diligenza e sollecitudine di V. S.
      Madonna ier mattina m'impose, ch'io dovessi domandare a V. S. se credeva che della elemosina avuta dal serenissimo Gran Duca si dovessi far ringraziamento, poiché, per avercela portata qui un lavoratore che sta al Barbadoro, non se ne fece ricevuta; io me lo scordai, e ora prego V. S. a darmene indizio con suo comodo, e intanto spero di sentire anco buon esito della supplica che si fece ier mattina. La saluto in nome di tutte, e prego nostro Signore che la conservi.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      50.

      A Firenze

      San Matteo, 10 settembre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Non detti riposta all'ultima sua, per non trattener troppo il suo servitore; adesso con più comodità, ringraziandola delle sue tante amorevolezze, gli dico, che in presentando le bellissime susine a Suor Violante ebbi gusto grandissimo, per veder l'allegrezza e gratitudine ch'ella mi dimostrò, si come anco Suor Luisa delle due pesche quali gli donai, perché queste più di tutti l'altri frutti gli gustano.
      Ricevo per mortificazione il non esser sortito il negozio di Madonna, perché forse avevo troppo desiserio che, col mezzo e favore di V. S., ella ricevessi qualche benefizio: pazienza, staremo aspettando l'esito dell'altro di Roma.
      Ier sera la Serenissima ci mandò a presentar una bella cervia, e qua si fece tanta allegrezza e tanto romore quando fu portata, che non credo tanto ne facessero i cacciatori quando la presero.
      Adesso che comincia a rinfrescare, Suor Arcangela ed io, insieme con le nostre più care, facciamo disegno di star a lavorare nella mia cella che è molto capace; ma perché la finestra è assai alta, ha bisogno d'essere impannata acciò si possa veder un poco più lume. Io vorrei mandarla a V. S., cioè li sportelli, acciò me li accomodassi con panno incerato, che, quando sia vecchio, non credo che darà fastidio, ma prima avrò caro di sapere s'Ella si contenti di farmi questo servizio. Non dubito della sua amorevolezza; ma perché l'opera è piuttosto da legnaiuoli che da filosofi, ho qualche temenza. Dicami adunque liberamente l'animo suo, che io intanto con la madre Badessa e tutte le amiche la saluto di cuore, e prego Dio benedetto che la conservi nella sua grazia.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      51.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 18 ottobre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Sto con l'animo assai travagliato e sospeso, imaginandomi che V. S. si ritrovi molto disturbata mediante la repentina morte del suo povero lavoratore. Suppongo ch'Ella procurerà con ogni diligenza possibile di guardarsi dal pericolo, del che la prego caldamente; e anco credo che non gli manchino i rimedi e difensivi proporzionati alla presente necessità, onde non replicherò altro intorno a questo. Ma ben con ogni debita riverenza e confidenza filiale l'esorterò a procurar l'ottimo rimedio, qual è la grazia di Dio benedetto, col mezzo d'una vera contrizione e penitenza. Questa, senza dubbio, è la più efficace medicina, non solo per l'anima, ma per il corpo ancora: poiché, s'è tanto necessario per ovviare al male contagioso lo stare allegramente, qual maggiore allegrezza può provarsi in questa vita di quella che ci apporta una buona e serena coscienza?
      Certo che quando possederemo questo tesoro non temeremo né pericoli né morte; e poiché il Signore giustamente ne gastiga con questi flagelli, cerchiamo noi, con l'aiuto suo, di star preparati per ricevere il colpo da quella potente mano, la quale avendoci cortesemente donato la presente vita, è padrona di privarcene come e quando gli piace.
      Accetti V. S. queste poche parole proferite con uno svisceratissimo affetto, e anco resti consapevole della disposizione nella quale, per grazia del Signore, io mi ritrovo, cioè desiderosa di passarmene all'altra vita, poiché ogni giorno veggo più chiaro la vanità e miseria della presente: oltre che finirei d'offendere Iddio benedetto, e spererei di poter con più efficacia pregare per V. S. Non so se questo mio desiderio sia troppo interessato. Il Signore che vede il tutto, supplisca per sua misericordia ov'io manco per ignoranza, e a V. S. doni vera consolazione.
      Noi qua siamo tutte sane del corpo, eccetto Suor Violante, la quale va a poco a poco consumandosi: ma ben siamo travagliate dalla penuria e povertà, non in maniera però che ne patiamo detrimento del corpo, con l'aiuto del Signore.
      Avrei caro d'intendere se V. S. ha mai avuta risposta alcuna di Roma, circa la elemosina per noi domandata.
      Il signor Corso mandò il peso di seta di libbre 15, del quale Suor Arcangela ed io aviamo avuta la nostra parte.
      Scrivo a ore 7: imperò V. S. mi scuserà se farò degli errori, perché il giorno non ho un'ora di tempo che sia mia, poiché alle altre mie occupazioni s'aggiunge l'insegnare il canto fermo a quattro giovinette, e per ordine di Madonna ordinare l'offìzio del coro giorno per giorno: il che non m'è di poca fatica, per non aver cognizione alcuna della lingua latina. È ben vero che questi esercizi mi sono di molto gusto, se io non avessi anco necessità di lavorare; ma di tutto questo ne cavo un bene non piccolo, cioè il non stare in ozio un quarto d'ora mai mai. Eccetto che mi è necessario il dormire assai per causa della testa. Se V. S. m'insegnasse il segreto ch'usa per sé, che dorme così poco, l'avrei molto caro, perché finalmente sette ore di sonno ch'io mando a male, mi par pur troppo.
      Non dico altro per non tediarla, se non che la saluto affettuosamente insieme con le solite amiche.
      P.S. Il panierino che io gli mandai ultimamente con alcune paste non è mio, e perciò desidero che me lo rimandi.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

Il paniero, che io gli mandai ultimamente con alcune paste, non è mio, e perciò desidero che me lo rimandi.


      52.

      A Bellosguardo

      28 ottobre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Non avevo alcun dubbio che V. S. non dovessi farmi la grazia domandatali circa la copia della lettera per il nuovo Arcivescovo, e con tutto che Ella dica di non aver fatto cosa buona, sarà nondimeno molto meglio di quello ch'io avessi mai potuto far da per me. La ringrazio infinitamente, e con questa occasione gli mando 6 pere cotogne quali ho provvisto, per aver inteso da lei che gli gustano e che non ne trovava, che veramente di simili frutti ne è gran carestia, per quanto intendo: con tutto ciò, se mi sarà osservata la promessa che mi è stata fatta, credo che gliene manderò qualcun'altra. Avrò caro d'intendere se Vincenzio sia poi andato a Prato: io avevo pensiero di scrivergli l'animo mio intorno a questo, esortandolo a non partirsi, o almeno a non lasciare la casa impedita; ché questa mi par veramente cosa strana, per gli accidenti che potrebbero occorrere; ma, dubitando di far poco frutto e molto scompiglio, ho lasciato di farlo: e tanto più che tengo speranza indubitabile che Dio benedetto sia per supplire con la sua provvidenza ove mancano gli uomini, non voglio dire per poca affezione, ma per poca intelligenza e considerazione. Saluto V. S. con tutto l'affetto insieme con le amiche, e l'accompagno sempre con le mie povere orazioni.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      53.

      A Bellosguardo

      San Matteo, giorno dei morti 1630 [2 novembre]


      Amatissimo Signor Padre.
      So che V. S. sa meglio di me che le tribolazioni sono la pietra del paragone ove si fa prova della finezza dell'amor di Dio. Sì che, tanto quanto le piglieremo pazientemente dalla sua mano, tanto potremo prometterci di posseder questo tesoro ove consiste ogni nostro bene.
      La prego a non pigliar il coltello di questi disturbi e contrarietà per il taglio, acciò da quello non resti offesa; ma piuttosto prendendolo a dritto, se ne serva per tagliare con quello tutte le imperfezioni che per avventura conoscerà in sé stessa, acciò levati gl'impedimenti, siccome con vista di Linceo ha penetrati i cieli; così, penetrando anco le cose più basse arrivi a conoscere la vanità e fallacia di tutte queste cose terrene: vedendo e toccando con mano che né amor di figlio, né piaceri, onori o ricchezze ci possono dar vera contentezza, essendo cose per sé stesse troppo istabili; ma che solo in Dio benedetto, come in ultimo nostro fine, possiamo trovar vera quiete. Oh che gaudio sarà il nostro, quando, squarciato questo fragil velo che ne impedisce, a faccia a faccia godremo questo gran Dio? Affatichiamoci pure questi pochi giorni di vita che ci restano, per guadagnare un bene così grande e perpetuo. Ove parmi, carissimo signor Padre, che V. S. s'incammini per diritta strada, mentre si vale delle occasioni che se gli porgono, e particolarmente nel far di continuo benefizi a persone che la ricompensano d'ingratitudine, azione che veramente che, quanto ha più del difficile tanto è più perfetta e virtuosa: anzi che questa più che altra virtù mi par che ci renda simili all'istesso Dio, poiché in noi stessi esperimentiamo, che, mentre tutto il giorno offendiamo Sua Divina Maestà, egli all'incontro va pur facendone infiniti benefizi: e se pur talvolta ci gastiga, fa questo per maggior nostro bene, a guisa di buon padre che per correggere il figlio prende la sferza. Siccome par che segua di presente nella nostra povera città, acciocché almeno, mediante il timore del soprastante pericolo, ci emendiamo.
      Non so se V. S. avrà intesa la morte di Matteo Ninci fratello della nostra Suor Maria Teodora, il quale, per quanto ne scrive messer Alessandro suo fratello, non ha avuto male più che 3 o 4 giorni, e ha fatto questo passaggio molto in grazia di Dio, per quanto si è potuto comprendere. Gli altri credo che siano sani, ma ben assai travagliati per aver fatta la lor casa una gran perdita. Credo che V. S. ne sentirà disgusto, come lo sentiamo noi, perché era veramente giovane di grandissimo garbo e molto amorevole.
      Ma non voglio però darle solamente le nuove cattive, ma dirle anco che la lettera ch'io scrissi per parte di Madonna a Monsignor Arcivescovo, fu da lui molto gradita, e se n'ebbe cortese risposta con offerta d'ogni suo favore e aiuto.
      Similmente due suppliche che feci la settimana passata per la Serenissima e per Madama [la vedova Granduchessa madre] hanno avuto buon esito, poiché da Madama avemmo la mattina d'Ognissanti elemosina di 300 pani, e ordine di mandar a pigliar un moggio di grano, con il quale s'è alleggerito l'affanno di Madonna, perché non aveva da seminare.
      V. S. mi perdoni se troppo l'infastidisco con tanto cicalare perché, oltre ch'Ella m'inanimisce col darmi indizio che gli siano grate le mie lettere, io fo conto ch'ella sia il mio Devoto (per parlare alla nostra usanza) con il quale io comunico tutti i miei pensieri, e partecipo de' miei gusti e disgusti; e, trovandolo sempre prontissimo a sovvenirmi gli domando, non tutti i miei bisogni, perché sariano troppi, ma sì bene il più necessario di presente: perché, venendo il freddo, mi converrà intirizzirmi, s'egli non mi soccorre mandandomi un coltrone per tener addosso, poiché quello ch'io tengo non è mio, e la persona se ne vuol servire com'è dovere. Quello che avemmo da V. S. insieme con il panno, lo lascio a Suor Arcangela, la quale vuole star sola a dormire, e io l'ho caro. Ma resto con una sargia sola, e se aspetto di guadagnar da comprarlo, non l'avrò né manco quest'altro inverno: sì che io lo domando in carità a questo mio Devoto tanto affezionato, il quale so ben io che non potrà comportare ch'io patisca: e piaccia al Signore (s'è per il meglio) di conservarmelo ancora lungo tempo, perché, dopo di lui, non mi resta bene alcuno nel mondo. Ma è pur gran cosa ch'io non sia buona per rendergli il contraccambio in cosa alcuna! Procurerò almeno, anzi al più, d'importunar tanto Dio benedetto e la Madonna Santissima ch'egli si conduca al Paradiso; e questa sarà la maggior ricompensa ch'io possa darle per tutti i beni che mi ha fatti e fa continuamente.
      Gli mando due vasetti di lattovaro preservativo dalla peste. Quello che non v'è scritto sopra, è composto con fichi secchi, noci, ruta e sale, unito il tutto con tanto mele che basti. Se ne piglia la mattina a digiuno quanto una noce, con bervi dietro un poco di greco o vino buono, e dicono ch'è esperimentato per difensivo mirabile. È ben vero che ci è riuscito troppo cotto, perché non avvertimmo alla condizione dei fichi secchi, ch'è d'assodare. Anco di quell'altro se ne piglia un boccone nell'istessa maniera, ma è un poco più ostico. Se vorrà usare o dell'uno o dell'altro, procureremo di farlo con più perfezione. V. S. mi dice nella sua lettera di mandarmi l'occhiale; m'immagino che di poi se lo scordassi, e perciò gliene ricordo, insieme con il canestro nel quale mandai le cotogne, acciò possa mandargliene dell'altre, facendo pur diligenza di trovarne. Con che, per fine, me li raccomando con tutto il cuore insieme con le solite.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      54.

      A Bellosguardo

      8 novembre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Desidero di sapere se V. S. sta bene, e perciò mando costì, con occasione anco di mandarli un poco d'acqua della madre Suor Orsola di Pistoja. Io l'ho ottenuta per grazia, già che, per aver proibizione le monache di darne, chi ne ha la tiene come reliquia. Prego V. S. che la pigli con gran fede e devozione come preservativo efficacissimo mandatoci da Nostro Signore, il quale si serve di soggetti debolissimi per dimostrar maggiormente la sua grandezza e potenza. Siccome apparisce di presente in questa benedetta Madre, che di una povera servigiale ch'era, e senza saper pur anco leggere, si è ridotta a governare il suo monasterio tanti anni, e ridurlo così ordinato quanto è adesso.
      Io tengo 4 o 5 lettere di suo e altri scritti di molto profitto, e ho altre relazioni di lei da persone degne di fede che danno manifesto indizio della sua gran perfezione e bontà. Prego V. S. pertanto ad aver fede in questo rimedio, perché se tanta ne dimostra nelle orazioni mie che sono così miserabili, molto maggiormente può averla ad un'anima tanto santa, assicurandola che per i suoi meriti scamperà ogni pericolo. Con che a lei affettuosamente mi raccomando e sto con ansietà di saper nuove di lei.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      55.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 26 novembre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Domenica mattina a ore 14 passò a miglior vita la nostra suor Violante; la quale per aver sofferta così lunga e fastidiosa infermità con molta pazienza e conformità con il volere di S. D. M., possiamo piamente sperare che sia andata in luogo di salute; e veramente da un mese in qua, ella era ridotta a tanta miseria, non potendosi né anco voltar in letto da per sé, e pigliando con estrema pena pochissimo cibo, che pareva esserle quasi desiderabile la morte come ultimo termine di tutti i molti travagli: volevo prima farne consapevole V. S., ma non mi è stato possibile il trovar tanto tempo, del quale ho scarsezza anco adesso, per scrivere; onde non dirò altro se non che siamo qua tutte sane per grazia di Dio; e desidero di sapere se il simile segue di lei, e della sua poca compagnia e particolarmente del nostro Galileino. Devo anco ringraziarla del coltrone mandatomi, il quale è stato pur troppo buono per me: prego il Signore che gli renda il merito di tutto il bene che mi ha fatto e fa continuamente, con aumentarle la sua santa grazia in questa vita e concederle la gloria del Paradiso nell'altra: e qui a Lei di tutto cuore mi raccomando insieme con Suor Arcangela e Suor Luisa.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      56.

      A Bellosguardo

      4 dicembre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      La venuta di madonna Piera [succeduta alla Porzia nelle funzioni di governante di Galileo] mi fu di grandissima consolazione, poiché da lei ebbi certezza della sanità di V. S.; e in conoscer ch'ella sia donna assai prudente e discreta, trovo quella quiete d'animo che per altra non troverei; mentre considero V. S. in tempo tanto pericoloso priva d'ogni altra più cara compagnia e assistenza. Onde perciò io giorno e notte sto con il pensiero fisso in lei, e molte volte mi dolgo della sua lontananza che impedisce il poter giornalmente sentirne nuove, si come io grandemente desidererei.
      Spero nondimeno che Dio benedetto, per sua misericordia, la deva liberare da ogni sinistro accidente, e di tanto con tutto il cuore lo prego. E chi sa se forse più copiosa compagnia gli fosse occasione di maggior pericolo? So ben questo, che quanto a noi succede, tutto è con particolar previdenza del Signore, e per maggior nostro bene: e con questo m'acquieto.
      Questa sera abbiamo avuto comandamento da Monsignor Arcivescovo di metter in nota tutti i più stretti nostri parenti, e domani mandargliela, volendo Sua Signoria Illustrissima procurar che tutti concorrino a sovvenire il nostro Monasterio, tanto che campiamo quest'invernata così penuriosa. Io ho domandato e ottenuto licenza dalla madre Badessa di poterne far consapevole V. S., acciò non le sia improvvisa tal cosa. Non posso qui dir altro se non raccomandar il negozio al Signor Iddio, e nel resto rimettermi alla prudenza di V. S. Mi dorrebbe assai s'Ella restassi aggravata, ma dall'altra banda so ch'io non posso con buona coscienza cercar d'impedire l'aiuto e sollevamento di questa povera casa veramente desolata. Questa sola replica (per esser assai universale e nota) gli dico che potrà far a Monsignor Arcivescovo: cioè che sarebbe cosa molto utile e conveniente il cavar di mano a molti parenti di nostre monache dugento scudi che tengono delle loro sopradoti, e non solamente i dugento scudi dei capitali di ciascuna, ma molti ancora degl'interessi che gli devono da più anni. Tra i quali, ci s'intende, anco messer Benedetto Landucci debitore a Suor Chiara sua figliuola, e dubito che V. S. per essergli mallevadore, o per lo manco Vincenzio nostro, non deva esserne pagatore se non si piglia qualche termine. Con questo assegnamento, credo che s'andrebbe aiutando comodamente il Convento, e molto più di quello che potranno far i parenti, poiché sono pochi quelli abbino facoltà di poterlo fare. L'intenzione de' superiori è bonissima, e ci aiutano quanto è possibile, ma è troppo grande il nostro bisogno. Io per me non invidio altro in questo mondo che i Padri Cappuccini, che vivono lontani da tante sollecitudini e ansietà, quante a noi monache ci conviene aver necessariamente, convenendoci non solo supplire agli offizi per il Convento e dar ogni anno e grano e danari, ma anco pensar a molte nostre necessità particolari con il nostro guadagno, il quale è così scarso che si fanno pochi rilievi. E s'io avessi a dir il vero, credo che sia più la perdita, mentre, vegliando fino a sette ore di notte per lavorare, pregiudichiamo alla sanità, e consumiamo l'olio ch'è tanto caro.
      Sentendo oggi da Madonna Piera che V. S. diceva che domandassimo se avevamo bisogno di qualcosa, mi lasciai calare a domandargli qualche quattrino per pagare alcuni miei debitelli che mi danno pensiero. Che nel resto se aviamo tanto che ci possiamo sostentare, è pur assai; che questo per grazia di Dio non ci manca.
      Del venirci a vedere sento che V. S. non ne tratta, e io non la importuno, perché ad ogni modo ci sarebbe poca sodisfazione, non potendosi parlare liberamente per ora. Ho avuto gran gusto di sentire che i morselletti di cedrato gli siano piaciuti; quelli fatti a forma di cotognato erano con un cedro che con molta istanza avevo provvisto; e d'intenzione di Suor Luisa confettai l'agro insieme la parte più dura di esso cedrato, chiamandola confezione di tutto cedro; gli altri gli feci del suo, al modo solito; ma perché non so quali più gli sieno gustati, metterò in opera quest'altro cedrato, se ella non me lo dice, desiderando di accomodarlo con ogni esquisitezza acciò più gli piaccia. La rassegna che desidero che V. S. faccia per la nostra bottega, di scatole, ampolle e simili cose, l'accennai alla sua serva onde non replicherò altro, se non che vi si aggiunge anco due piatti bianchi che ha di nostro. Con che gli do la buona notte, essendo 9 ore della quarta notte di dicembre 1630.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      Quando V. S. sarà stata da Monsignor Arcivescovo, mi sarà grato sentir ragguaglio del seguito.


      57.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 15 dicembre 1630


      Amatissimo Signor Padre.
      Veggo che questa tramontana così gagliarda non permette che V. S. possi esser da noi così presto come m'aveva promesso; anzi dubito che non pregiudichi alla sua sanità; che perciò mando a vederla, e mandogli i cedri accomodati, cioè i morselletti fatti con la scorza senza l'agro di quel cedro più bello.
      L'altre fantasie sono con l'agro ancora degli altri più piccoli: ma il meglio di tutti credo che sia quel tondo più grande, perché vi ho messo il zucchero più a misura e dovizia.
      Fo isegno di far un poco di ceppo alla Virginia e a Madonna Piera. Avrò caro che V. S. ce la mandi avanti le feste, acciò possa dargliene; e perché vorrei anco far un poca di burla a Suor Luisa, vorrei che V. S. concorressi anco lei, vedendo se per sorte avessi in casa tanta roba che facessi una portiera all'uscio della sua cella; ossia cuoio o panno di colore, non mi darebbe fastidio: la lunghezza sarebbe tre braccia e la larghezza poco meno di due, e io c'aggiugnerò alcune bagattelle per farla ridere; come sarebbe arcolai da incannare, una filza di solfanelli per accendere il lume la notte, stoppino, aghetti e simili coserelle, più per darle una volta segno di gratitudine per tanti obblighi che gli tengo, che per altro. Se V. S. ha in casa da farmi il servizio, l'avrò caro, se no, non cerchi già averla di fuora, acciò non si mettessi in qualche pericolo, desiderando io troppo ch'Ella si conservi, e perciò prego a riguardarsi quanto sia possibile.
      Del negozio di Monsignor Arcivescovo non ho inteso altro per ancora; avrò caro di sapere se V. S. è stata chiamata. Con che me le raccomando di cuore insieme con Suor Arcangela e le solite amiche. Nostro Signore la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.