B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A
           
  Virginia Galilei
1600 - 1634
     
   



L e t t e r e   a l   p a d r e

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L'anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L'uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

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      76.

      A Roma

      San Matteo, 5 febbraio 1632 [1633]


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      I signori Bocchineri m'hanno tramesse tutte le lettere che V. S. ha mandate, delle quali m'appago sapendo quanto gli sia di fatica lo scrivere. Io non gli ho scritto finora, perché stavo aspettando l'avviso del suo arrivo a Roma; e quando per l'ultima sua intendo che deve trattenersi tanti giorni in abitazione così cattiva e priva d'ogni comodità, ne ho preso grandissima afflizione. Nondimeno, sentendo ch'Ella, priva di consolazioni interne ed esterne, si conserva sana, mi consolo e rendo grazie a Dio benedetto, nel quale ho ferma speranza di ottener grazia che V. S. se ne torni qua da noi con quiete d'animo e sanità di corpo. Intanto la prego a star più allegramente che sia possibile, e si raccomandi a Dio che non abbandona chi in lui confida. Suor Arcangelo ed io stiamo bene, ma non già Suor Luisa che dal giorno che V. S. si partì in qua, è stata sempre in letto con dolori eccessivi conforme al suo solito; e a me convenendo star in continuo moto ed esercizio per applicargli rimedi e servirla, si porge occasione di sollevar l'animo di quel pensiero che forse troppo l'affliggerebbe per l'assenza di V. S. Il signor Rondinelli non è ancora venuto a goder la comodità che V. S. gli ha largita della casa, dicendo che le sue liti non gliel'hanno permesso. Ma il nostro padre confessore non lascia di darvi spesso volta: saluta V. S., e il simile fanno la madre Badessa e tutte le amiche; Suor Arcangela ed io infinitamente e senza intermissione preghiamo Nostro Signore che la guardi e conservi. L'inclusa che gli mando fu trovata da Giuseppe [garzoncello al servicio di Galileo] lunedì nel luogo dove hanno recapito ordinariamente le sue lettere.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      77.

      A Roma

      San Matteo, 26 febbraio 1632 [1633]


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      La sua lettera scritta alli 10 febbraio mi fu resa alli 22 del medesimo, e in questo tempo credo sicuramente che V. S. averà ricevuta un'altra mia insieme con una del nostro padre confessore, per le quali averà inteso qualche particolare circa a quello che desiderava; e vedendo io che ancora non compariscono lettere che ne diano avviso dell'arrivo suo in Roma (le quali può V. S. giudicar con quanto desiderio da me in particolare siano aspettate), torno a scriverle, sì perché Ella sappia con quanto ansietà io viva, mentre le sto aspettando, e anco per mandarle la inclusa polizza, la quale da un giovane fu, 4 o 5 giorni sono, portata qui a casa di V. S. e pigliata dal signor Francesco Rondinelli, ed egli dandomela mi consigliò a dar sodisfazione, senza aspettar qualche peggior affronto dal creditore, dicendomi non potersi trasgredire in alcuna maniera a questo comandamento, e offrendosi egli medesimo a trattar questo negozio. Io stamattina gli ho consegnati li 6 scudi, quali non vuole altrimenti pagare a Vincenzio ma depositarli là in magistrato fino che da V. S. verrà avvisato quel tanto che si deva fare. È invero il signor Francesco persona molto grata e discreta, e non finisce mai di esagerare l'obbligo che tiene a V. S. per questa abilità che ha della sua casa. Dalla Piera intendo che egli usa a lei e a Giuseppe molta amorevolezza pur di cose mangiative; ed io nel resto supplisco ai loro bisogni conforme all'ordine di V. S. Il ragazzo mi dice che questa Pasqua averà bisogno di scarpe e calze, le quali feci disegno di farle di filaticcio grosse ovvero di stame. Dalla Piera intendo che V. S. più volte ha detto che vuol far venire una balla di lino, onde per questo mi sono ritirata dal comprarne qualche poco, e fargli principiare una tela di panno grosso per la cucina, siccome avevo disegnato di fare, e non lo farò se da V. S. non mi verrà ordinato altro.
      Le viti dell'orto s'accomoderanno adesso che la luna è a proposito, per mano del padre di Giuseppe, il quale intendo ch'é sufficiente, e anco il signor Rondinelli vi assisterà. La lattuga intendo ch'è assai bella, e ho commesso a Giuseppe che ne porti a vendere avanti che sia guasta da altri. Di 70 melangole che si venderono se n'ebbe 4 lire, pago assai ragionevole, per quanto intendo, essendo un frutto di poca utilità: le melarancie si venderono 14 crazie il 100 e furono 200.
      Di quella botte di vino che V. S. lasciò manomessa, il signor Rondinelli ne piglia ogni sera un poco per sé, ed intanto fa anche benefizio al vino, il quale intendo che si mantiene bonissimo. Quel poco del vecchio l'ho fatto cavar ne' fiaschi, e detto alla Piera che se lo bevino quando avranno finita la loro botticella, già che noi fino a qui, avendolo avuto dal convento assai ragionevole, ed essendo sane, n'abbiamo tolto poco.
      Continuo a dar il giulio ogni sabato alla Brigida, e veramente che stimo questa un'elemosina molto ben data, essendo ella oltremodo bisognosa e molto buona figliuola.
      Suor Luisa, la Dio grazia, sta alquanto meglio, e si va ancora trattenendo in purga, e avendo per l'ultima lettera di V. S. compreso quanto pensiero ella si piglia del suo male per l'affetto che gli porta, la ringrazia infinitamente; e già che V. S. si dichiara unita meco nell'amarla, Ella all'incontro pretende di star al paragone, né d'un punto vuol cedergli, poiché l'affetto suo procede dall'istessa causa, che sono io; onde mi glorio e pregio di questa così graziosa contesa, e più chiaramente scorgo la grandezza dell'amore che ambedue mi portano, perché è così soprabbondante che arriva a scambievolmente dilatarsi fra quelle due persone da me sopr'ogni altra cosa mortale amate e riverite.
      Domani saranno 13 giorni che morì la nostra Suor Virginia Canigiani, la quale stava assai grave quando scrissi ultimamente a V. S., e in questo tempo s'è ammalata di febbre maligna Suor Maria Grazia del Pace, ch'è la più antica di quelle tre monache che suonano l'organo, e maestra delle Squarcialupi, monaca veramente pacifica e buona; ed essendo stata fatta spacciata dal medico, siamo tutte sottosopra, dolendoci grandemente questa perdita. Questo è quanto per adesso m'occorre dirgli, e subito che averò sue lettere (che pur dovrebbero a quest'ora esser a Pisa ove si ritrovano i signori Bocchineri) scriverò di nuovo. Intanto di tutto cuore a lei mi raccomando insieme con le solite, e nominatamente Suor Arcangela, il signor Rondinelli e il signor medico Ronconi, il quale ogni volta che vien qua mi fa grand'istanza d'aver nuove di lei. Il Signore Iddio la conservi e feliciti sempre.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      In questo punto essendo tornato da Firenze il signor Rondinelli, mi ha detto aver parlato al Cancelliere dei Cons.i e avere inteso essere necessario pagare gli scudi 6 a Vincenzio Landucci e non altrimenti depositarli, e tanto si eseguirà; se bene io mi ci sono resa alquanto difficilmente, per non aver avuto commissione alcuna da V. S. di questo particolare.


      78.

      A Roma

      San Matteo, 5 marzo 1632 [1633]


      Amatissimo Signor Padre.
      Il signor Mario Guiducci ier mattina mi mandò fin qui, per un suo servitore, le lettere di V. S. Lessi con molto mio particolar contento quella ch'Ella scrive al medesimo signor Mario, e subito gliela rimandai. L'altra ho consegnata al Padre Confessore, il quale credo che senz'altro li risponderà. Mi consolo, e sempre di nuovo ringrazio Dio benedetto, sentendo che il suo negozio fino a qui passi con tanta quiete e silenzio, il quale in ultimo ne promette un felice e prospero successo, come ho sempre sperato con l'aiuto divino e per intercessione della Madonna Santissima.
      Credo che a quest'ora V. S. averà ricevuto l'ultima mia lettera, e da poi in qua le novità occorse sono lo sborso delli 6 scudi fatto dal signor Francesco in nome di V. S. a Vincenzio Landucci, il quale venne in persona a pigliarli: il buon progresso in sanità che va facendo Suor Luisa, essendo stata parecchi giorni senza sentir travagli; la indisposizione di Suor Arcangela da dieci giorni in qua, che travaglia con dolore eccessivo nella spalla e braccio sinistro, sebbene, con l'aiuto di alarne pillole e serviziali, è alquanto mitigato. E anco Giuseppe travaglia con il suo stomaco ed enfiagione di milza, sì che è convenuto farli guastar Quaresima, e il signor Rondinelli ne tiene cura particolare.
      Di più la nostra Maria Grazia organista, che avvisai a V. S. che stava grave, si morì, essendo d'età di 58 o 60 anni, e tutte n'abbiamo sentito gran travaglio.
      La Piera sta bene, le viti dell'orto sono accomodate: di lattuga venduta si è preso fino qui un mezzo scudo. Altro particolare non ho da dirle, se non che io tutto il giorno fo l'uffizio di Marta, senza alcuna intermissione, e con questo me la passo assai bene di sanità; la quale parteciperei volenterissimo, anzi baratterei con l'indispozione di V. S., acciò Ella restassi libera di quei dolori che la molestano. Sto aspettando l'ordine circa il dar altri danari al Landucci questo mese presente, perché non vorrei far errore, né che incorressimo in spese come questa volta di Lire 6, 13 e 4 che importa la polizza che gli mandai. La lettera per la signora Ambasciatrice potrà sigillarla quando l'averà letta. E con questo di tutto cuore me li raccomando insieme con le solite.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      79.

      A Roma

      San Matteo, 12 marzo 1632 [1633]


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      L'ultima sua lettera, mandatami dal signor Andrea Arrighetti, m'ha apportato gran consolazione, sì per sentire ch'Ella si va mantenendo in buono grado di sanità, come anco perché per quella vengo maggiormente certificata del felice esito del suo negozio, che tale me l'hanno fatto prevedere il desiderio e l'amore. Che sebbene veggo che, passando le cose in questa maniera, si andrà prolungando il tempo del suo ritorno, reputo nondimento a gran ventura il restar priva delle mie proprie sodisfazioni per una occasione, la quale abbia da ridondare in benefizio e reputazione della sua persona, amata da me più che me stessa. E tanto più m'acquieto, quanto che son certa ch'Ella riceve ogni onore e comodità desiderabile da codesti eccellentissimi signori, e in particolare dalla eccellentissima mia signora e padrona, la visita della quale, se avessimo grazia Suor Arcangelo e io di ricevere, certo che sarebbe favore segnalato e a noi tanto grato quanto V. S. può immaginarsi, che io non lo so esplicare. Quanto al procurare ch'ella vedesse una commedia, io non posso dir niente, perché bisognerebbe governarsi secondo il tempo nel quale ella venisse, sebbene io crederei veramente, già che ella si mostra desiderosa di sentirci recitare, che stessimo più in salvo lasciandola in quella buona credenza in che ella deve ritrovarsi, mediante le parole di V. S.
      Similmente la venuta del molto reverendo padre Don Benedetto ci sarà gratissima, per esser egli persona insigne e tanto affezionata a V. S., e li renderà duplicati i saluti per nostra parte, e mi farà anco grazia di darmi qualche nuova della Anna Maria, la quale V. S. esaltava tanto l'altra volta che tornò di costà, perché io fino allora me gl'affezionai sentendo il suo merito e valore.
      Suor Arcangela sta alquanto meglio, ma non bene affatto del suo braccio, e Suor Luisa sta ragionevolmente bene, ma però con grande osservanza di vita regolata. Io sto bene perché ho l'animo quieto e tranquillo, e sto in continuo moto, eccetto però le sette ore della notte, le quali io mando male in un sonno solo, perché questo mio capaccio così umido non ne vuole manco un tantino. Non lascio per questo di sodisfare il più che io posso al debito che ho con lei dell'orazione, pregando Dio benedetto che principalmente le conceda la salute dell'anima, e anco le altre grazie ch'ella maggiormente desidera.
      Non dirò altro per ora, se non che abbia pazienza se troppo la tengo a tedio, pensando ch'io ristringo in questa carta tutto quello che gli cicalerei in una settimana.
      La saluto con tutto l'affetto insieme con le solite; e il simile fa il sig. Rondinelli.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      80.

      A Roma

      San Matteo, 19 marzo 1632 [1633]


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Il signor Mario, con la solita sua gentilezza, mi mandò ier mattina le lettere di V. S. Ho ricapitate le due incluse a chi andavano; e la ringrazio dell'avvertimento che mi dà dell'errore da me commesso nella lettera della signora Ambasciatrice, della quale tengo una cortesissima lettera in risposta alla mia; e fra le altre cose mi dice che persuada V. S. a proceder con più libertà in cotesta casa, e con quella sicurtà che farebbe nella sua propria, e si dimostra molto ansiosa delle sue comodità e sodisfazioni. Io li riscrivo domandandole il favore che V. S. vedrà: se gli par ben fatto il presentarla l'avrò caro; se no, me ne apporto al suo parere. Ma veramente, o per mezzo della signora Ambasciatrice, o di V. S., avrei caro di ottener questa grazia, siccome da V. S. desidererei un regalo al suo ritorno, il quale pur spero che non deva andare molto in lungo. Mi persuado che costà sia copia di buona pittura, onde io desidererei che V. S. mi portassi un quadretto di grandezza quanto questa carta qui inclusa, di questi che si serrano a uso di libriccino con due figure, una delle quali vorrei che fosse un Ecce Homo e l'altra una Madonna; ma vorrei che fossino pietosi e devoti al possibile. Non importerà già che vi sia altro adornamento che una semplice cornice, desiderandolo io per tenerlo sempre appresso di me.
      Credo senz'alito che il signor Rondinelli scriva a V. S., onde sarà bene ch'Ella nella risposta gli dimostri gratitudine per l'amorevolezze che ci ha usate di quando in quando in questa quaresima, e particolarmente perché ieri fu qui a desinare e volse ch'ancor noi due v'intervenissimo, acciò si passassi quel giorno allegramente, principalmente per amor di Suor Arcangela, la quale per grazia di Dio va migliorando del suo braccio. È ben vero che, per esser da parecchi giorni in qua sopraggiunto un catarro nelle reni a Suor Oretta, e non potendosi esercitare, tocca a me in gran parte il pensiero dell'offizio di Provveditora, e per questa e per altre mie faccende, essendomi ridotta a scriver a mezzanotte e assalendomi il sonno, temo di non scriver qualche sproposito. Godo in estremo di sentire che V. S. si conservi in buona sanità, e prego Dio benedetto che la conservi. La saluto per parte di tutte le amiche ed anco in nome del sig. Ronconi, il quale spesso con grande istanza mi domanda di V. S.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      81.

      A Roma

      San Matteo, 9 aprile 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Sabbàto passato veddi la lettera che V. S. scrisse al signor Andrea Arrighetti, e particolarmente mi dette gran contento quel sentire ch'Ella non solo si vada conservando in sanità, ma più presto va guadagnando qualcosa con l'aiuto della quiete dell'animo che gode, mentre che spera placida e presta spedizione del suo negozio; del tutto sia sempre lodato Dio benedetto, dal quale principalmente derivano queste grazie.
      Ebbi anco molto caro d'intendere che V. S. presentò la mia lettera all'eccellentissima signora Ambasciatrice, dal che fo conseguenza non essere stato sconvenevole, come temevo, il domandarle quella grazia, la quale con il suo favore spero d'ottenere, promettendomi la sua incomparabil cortesia ogni possibil diligenza per impetrarla. Desidero che V. S. supplisca per me con far seco i dovuti complimenti; e oltre a questo da V. S. desidero nuove grazie, non per me sola, ma per Suor Arcangelo, la quale, per grazia di Dio, oggi a tre settimane, che sarà l'ultimo del presente, deve lasciar l'offizio di Provveditora, nel quale fino a qui ha speso cento scudi e davantaggio; ed essendo in obbligo di lasciarne 25 in conserva alla nuova Provveditora, non avendo assegnamento di nessuno, io vorrei, con licenza di V. S., accomodarnela di quelli che tengo di suo, tanto che questa nave si conduca in porto, che veramente, senza l'aiuto di V. S., non arrivava nemmeno alla metà del viaggio. Ma non occorre ch'io mi affatichi in esagerar questo, quando sarà dichiarato il tutto con dire, che tutto il bene ch'aviamo, che ne aviamo tanto, o quello che possiamo sperare e desiderare, l'aviamo e speriamo da lei, dalla sua più che ordinaria amorevolezza e carità, con la quale, oltre all'aver compitamente sodisfatto all'obbligo d'allogarne, continuamente ne sovviene tanto benignamente in tutti i nostri bisogni: ma V. S. vede che la remunerazione gliene dà per noi Dio benedetto, al quale piaccia pure, con la sua conservazione e prosperità, di mantener lei e noi lungo tempo felici. Il dolore eccessivo che sento in un dente m'impedisce il poter più lungamente scrivere, sì che non li darò altra nuova, se non che Giuseppe va migliorando, e che noi tutte stiamo bene: insieme con la Piera e tutte la salutiamo affettuosamente.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      82.

      A Roma

      San Matteo, sabato santo del 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      V. S. ha voluto che questi giorni santi io resti mortificata, privandomi di sue lettere, il che, quanto io abbia sentito, non posso esprimerlo. Non voglio già io lasciar, se bene con molta strettezza di tempo, di salutarla con questi due versi, augurandoli felicissima questa santissima Pasqua, colma di consolazioni spirituali e di buona salute e felicità temporale, che tanto mi prometto e spero della liberalissima mano del Signore Iddio.
      Qua di presente, la Dio grazia, siamo tutte sane, ma non già il nostro Giuseppe, il quale, fatte le feste, bisognerà che vada allo spedale per curarsi della febbre e della milza ch'è assai gonfia; ed io vo procurando, col mezzo della nostra Madre Badessa, ch'egli sia ricevuto in Bonifazio, ove starà meglio che in nessun altro luogo. La Piera sta bene e la saluta, siccome fo io di tutto cuore insieme con le solite, e gli ricordo ch'è in debito meco della risposta di tre lettere.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      83.

      A Roma

      San Matteo, 16 aprile 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Intendo per due lettere, che questa settimana tengo di suo, il buon progresso del suo negozio: me ne rallegro quanto Ella può immaginarsi, e ne ringrazio Dio. Iersera qua fu un applauso ed allegrezza grande, mediante la grazia impetrata dall'Eccellentissima Signora Ambasciatrice, alla quale scrivo questi pochi versi, veramente di scarso ringraziamento a tanti benefizi che da essa ricavo: fo quel ch'io so e non quel che dovrei. Scrissi al Sig. Giovanni Rinuccini per conto del servizio che V. S. mi impone, e da esso tengo risposta che per adesso non bisogna trattarne, ma che, quando verrà l'occasione, me ne farà avvisata.
      Del mal cattivo intendo esserne in Firenze qualche poco, ma non già conforme a quello che si va dicendo e ragguagliando costà. Sento che ci sono dei carboncelli, ma che i più muoiano di petecchie e mal di punta. Quanto al suo ritorno, ancorché grandemente io lo desideri, la consiglierei a soprastare qualche poco, aspettando altri avvisi dagli amici suoi, e anco a metter ad effetto il pensiero ch'aveva quando partì di qui, di visitar la Santa Casa di Loreto.
      Vincenzio nostro ci ha scritto questa settimana, e mandatoci a donare un pezzo di prosciutto; io avrei curiosità di sapere com'egli visita spesso V. S. con lettere. Giuseppe è tanto migliorato ch'è partito dallo Spedale, e per qualche giorno si trattiene in casa con suo zio in Firenze. La Piera sta bene e attende a filare. Di limoni se ne sono colti alcuni pochi ch'erano già bassi, avanti che fossero portati via da i malfattori; gli altri intendo che sono molto belli, e similmente le fave, le quali cominciano ad allegare il frutto. Spero pure che V. S. sarà qua a corli da sé, quando saranno in perfezione.
      La saluto caramente in nome di tutte, e dei signori Rondinelli e Orsi; e dal Signore Iddio gli prego ogni vero bene.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      Suor Isabella nostra desidera che V. S. gli faccia grazia di mandare per il suo servitore l'inclusa in mano propria a chi va, perché ne vorrebbe la risposta quanto prima. Il nostro signor Governatore, con occasione di venire a dare l'acqua benedetta, mi domandò istantemente di V. S. imponendomi ch'io gli facessi sue raccomandazioni.


      84.

      A Roma

      San Matteo, 20 aprile 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Dal signor Geri mi viene avvisato in qual termine Ella si ritrova per causa del suo negozio, cioè ritenuto nelle stanze del Sant'Uffizio; il che per una parte mi dà molto disgusto, persuadendomi ch'Ella si ritrovi con poca quiete dell'animo, e fors'anco non con tutte le comodità del corpo: dall'altra banda, considerando io la necessità del venire a questi particolari, per la sua spedizione, la benignità con la quale fino a qui si è costà proceduto con la persona sua, e sopra a tutto la giustizia della causa e la sua innocenza in questo particolare, mi consolo e piglio speranza di felice e prospero successo, con l'aiuto di Dio benedetto, al quale il mio cuore non cessa mai d'esclamare, e raccomandarla con tutto quell'affetto e confidenza possibile.
      Resta solo ch'Ella stia di buon animo, procurando di non pregiudicare alla sanità con il soverchiamente affliggersi, rivolgendo il pensiero e la speranza sua in Dio, il quale, come padre amorevolissimo, non mai abbandona chi in Lui confida e a Lui ricorre. Carissimo signor Padre, ho voluto scriverli adesso, acciò Ella sappia ch'io sono a parte de' suoi travagli, il che a Lei dovrebbe essere di qualche alleggerimento: non ne ho già dato indizio ad alcun'altra, volendo che queste cose di poco gusto siano tutte mie, e quelle di contento e sodisfazione siano comuni a tutti. Che però tutti stiamo aspettando il suo ritorno con desiderio di goder la sua conversazione con allegrezza.
      E chi sa che mentre adesso sto scrivendo, V. S. non si ritrovi fuori d'ogni frangente e d'ogni pensiero? Piaccia pure al Signore, il quale sia quello che la consoli e con il quale la lascio.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      85.

      A Roma

      San Matteo, 23 aprile 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Se bene V. S. nell'ultima sua lettera non mi scrive particolarità nessuna circa il suo negozio, forse per non mi far partecipe de' suoi travagli, io, per altra strada, ho penetrato qualcosa, sì come potrà comprendere V. S. da una mia scrittali mercoledì passato. E veramente che questi giorni addietro sono stata con l'animo molto travagliato e perplesso fino che, comparendomi la sua, resto accertata della sua salute, e con questo respiro.
      E non lascerò d'eseguire quanto in quella m'ordina, ringraziandola intanto dell'abilità de' danari che fa a Suor Arcangela, per sua parte e mia ancora, già che miei sono tutti i suoi pensieri. Qua in Monastero siamo tutte sane, la Dio grazia, ma sentiamo bene gran romori di mali cattivi che sono in Firenze e anco fuora della città in qualche luogo. E per questo di grazia, ancorché V. S. fossi spedita presto, non si metta in viaggio per il ritorno con tanto manifesto pericolo della vita, tanto più che la infinita gentilezza di codesti signori suoi ospiti gli dà sicurtà di trattenersi quanto gli farà di bisogno. Suor Luisa, insieme con gli altri nominati, gli tornano duplicati saluti, e io dal Signore Iddio gli prego abbondanza di grazie. Desidero che faccia riverenza in mio nome all'Eccellentissima mia Signora.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      86.

      A Roma

      San Matteo, ultimo di aprile 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Ho vista l'ultima lettera che V. S. scrive al signor Geri, il quale veramente è tutto cortese e molto sollecito in darne nuove di Lei; e, se bene quando Ella scrisse si ritrovava indisposta, spero che adesso Ella stia bene, onde sto quieta, rallegrandomi di sentire che il suo negozio si vadia incamminando a buon fine e a presta spedizione. Tengo questa settimana lettere dall'Eccellentissima Signora Ambasciatrice, la quale con la solita sua cortesia si è compiaciuta ragguagliarmi dello stato nel quale V. S. si ritrova, poiché, com'Ella mi dice, non crede ch'io tenga lettere da V. S. da poi che uscì di casa sua, ed Ella desidera ch'io stia con l'animo quieto; e questo mi è un indizio manifesto dell'amore che questi signori portano a V. S., il quale è tanto ch'è bastante a parteciparsi largamente ancora a me, siccome la medesima Signora me ne dà certissima caparra nella sua amorevolissima lettera. Io li ho risposto indirizzando la lettera a Lei, assolutamente parendomi che così convenga.
      Del contagio ci son buone nuove, e si spera, per quanto dicono, che in breve sia per cessare del tutto, sì che allora, se piacerà a Dio, non avrà questo impedimento per il suo ritorno. Sono occupata intorno al muratore che ci accomoda, o, per dir meglio, fa un fornello da stillare, e per questo scrivo brevemente. Stiamo tutte bene, eccetto Suor Luisa, la quale da tre giorni in qua travaglia con il suo stomaco, ma non tanto malamente quanto l'altre volte. Giuseppe sta ragionevolmente, e la Piera bene. Il Signor Rondinelli la saluta e ne farà grazia di pagare i denari per il fitto al signor Lorenzo Bini. Il padre Confessore ancora se li raccomanda, ed il simile fanno tutte queste monache ed in particolare Suor Arcangiola. Nostro Signore la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      87.

      A Roma

      [maggio 1633]


      Amatissimo Signor Padre.
      Non ebbi tempo stamattina di poter rispondere alla sua proposta, che fu ch'Ella aveva intenzione di voler sollevar e far servizio solamente a noi due e non a tutto il convento, come per avventura V. S. si persuade che sarà in effetto, mentre m'accomoderà de' danari per l'offizio di Suor Arcangela. Conosco veramente che V. S. non è informata interamente delle nostre usanze o, per meglio dire, ordini, poco discreti; perché, essendo ciascuna di noi obbligata a spender in questo e in tutti gli altri offizi, conviene a quella, cui di mano in mano si perviene secondo il grado, trovar quella somma di danari che fa di bisogno, e se non gli ha, suo danno; onde molte volte avviene che per strade indirette e oblique (questo l'ho imparato da V. S.) si procurano simili servizi e si fanno molti imbrogli: ed è impossibile il far altrimenti, convenendo a una povera monaca nell'offizio di proveditora spender cento scudi. Per Suor Arcangela sino a qui ne ho provisti vicino a 40, parte avuti in presto da Suor Luisa, e parte della nostra entrata, della quale ci resta a riscuotere 16 scudi decorsi per tutto Maggio.
      Suor Oretta ne ha spesi 50: adesso siamo in grande strettezza e non so più dove voltarmi, e già che Nostro Signore La conserva in vita per nostro sollevamento, io prevalendomi e facendo capitale di questa grazia, prego V. S. che per l'amor di Dio mi liberi dal pensiero che mi molesta, con prestarmi quella quantità di danari che può fino all'anno prossimo futuro, che allora s'andrà riscotendo da quelli che devono pagare le spese, e se gli darà sodisfazione, con che per fretta gli dico a Dio.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      88.

      A Roma

      San Matteo, 7 maggio 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      L'allegrezza che mi apportò l'ultima sua amorevolissima lettera fu tale, e tale alterazione mi causò, che, con questo e con l'essermi convenuto più volte leggere e rileggere la medesima lettera a queste monache, che tutte giubilavano sentendo i prosperi successi di V. S., fui soprapresa da gran dolore di testa, che mi durò dalle quattordici ore della mattina fino a notte, cosa veramente fuori del mio solito.
      Ho voluto dirli questo particolare, non per rimproverarli questo poco mio patimento, ma sì bene perché Ella maggiormente possa conoscere quanto mi siano a cuore e mi premino le cose sue, poiché causano in me tali effetti; effetti che, sebbene, generalmente parlando, pare che l'amor filiale possa e deva causare in tutti i figli, in me, ardirò di dire che abbino maggior forza, come quella che mi dò vanto di avanzare di gran lunga la maggior parte degli altri nell'amare e riverire il mio carissimo Padre, siccome all'incontro chiaramente veggo che egli supera la maggior parte de' padri in amar me sua figliuola: e tanto basti.
      Rendo infinite grazie a Dio benedetto per tutte le grazie e favori che fino a qui V. S. ha ricevuti e per l'avvenire spera di ricevere, poiché tutti principalmente derivano da quella pietosa mano, siccome V. S. molto giustamente riconosce. E sebbene Ella attribuisce in gran parte questi benefizi al merito delle mie orazioni, questo veramente è poco o nulla; ma è bene assai l'affetto con il quale io li domando a Sua Divina Maestà, la quale avendo riguardo a quello, tanto benignamente prosperando V. S., mi esaudisce, e noi tanto maggiormente gli restiamo obbligati, siccome anco grandemente siamo debitori a tutte quelle persone che a V. S. sono in favore ed aiuto, e particolarmente a cotesti eccellentissimi signori suoi ospiti. E io volevo scrivere all'eccellentissima signora Ambasciatrice; ma sono restata per non la infastidire con replicarle sempre le medesime cose, cioè rendimenti di grazie e confessioni d'obblighi infiniti. V. S. supplirà per me con farle reverenza in mio nome. E veramente, carissimo signor Padre, la grazia che V. S. ha avuta del favore e della protezione di questi signori è tale ch'è bastante a mitigare, anzi annullare tutti i travagli che ha sofferti.
      Mi è capitata alle mani una ricetta eccellentissima contro la peste, della quale ho fatta una copia e gliela mando, non perché io creda che costà ci sia sospezione alcuna di questo male, ma perché è buona ad ogni altra cattiva disposizione. Degl'ingredienti io ne sono tanto scarsa anzi mendica per me, che non gliene posso far parte di nessuno; ma bisogna che V. S. procuri di ottener quelli che per avventura gli mancheranno, dalla fonderia della misericordia del Signor Iddio, con il quale la lascio. Salutandola per fine in nome di tutte, e in particolare di Suor Arcangelo e Suor Luisa, la quale per adesso, quanto alla sanità, se la passa mediocremente.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      89.

      A Roma

      San Matteo, 14 maggio 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Che la lettera scrittami da V. S. la settimana passata m'apportasse grandissimo gusto e contento, io già per altra mia gliene ho significato; e ora soggiungo ch'essendomi convenuto rimandarla al signor Geri acciò anche Vincenzio la vedessi, ne feci una copia, la quale il signor Rondinelli, dopo averla letta, volse portar seco a Firenze, per farla sentir ad alcuni amici suoi, ai quali sapeva egli che sarebbe stato di molta sodisfazione l'intender questi particolari di V. S., siccome è seguìto, per quanto m'ha avvisato nel rimandarmela il medesimo signor Rondinelli. Il quale di quando in quando viene in casa di V. S., e altri non vi praticano. La Piera mi dice che non esce, se non quando vien qua da noi, per sentir messa o per altre occorrenze, e il ragazzo qualche volta va fino dai signori Bocchineri a pigliar le lettere, ne si trasferisce altrove, perché, oltre a fuggir i sospetti del male, è ancora deboluccio e di più pieno di rogna acquistata nello ospedale; e ora si attende a medicarla con qualche unzione ch'io gli vo facendo. Nel resto procuro che restino provvisti nella maniera che V. S. potrà vedere in questo scartafaccio che gli mando, ove sino a qui ho notate le spese fatte, e anco l'entrata avuta per questo effetto. La quale, sebbene è più che la spesa parecchie Lire, io ho preso sicurtà di spenderla per bisogni mia e di Suor Arcangela, sì che si può dire che siamo del pari, e da qui avanti farò libro nuovo. L'altre spese che si sono fatte dopo la partita di V. S. sono,
      Scudi 17 e mezzo al signor Lorenzo Bini per il fitto della villa.
      Scudi 24 in quattro paghe a Vincenzo Landucci, e Lire 6, 13, e 4 di spese fatte per la paga di febbraio; e di tutti tengo le ricevute.
      Scudi 25 presi io per accomodarne Suor Arcangiola, come V. S. sa, ed altri.
      Scudi 15 fui necessitata a pigliar, acciò ella potessi finir il suo benedetto uffizio, il quale è condotto con l'aiuto di Dio e di V. S., ché, senza questo gran sollevamento, non era possibile il tirarlo innanzi; e anco le monache si sono dimostrate assai sodisfatte, perché, con l'amorevolezza di V. S. e con l'aver supplito con danari, si sono ricoperte molte malefatte o magagne che dir vogliamo. Questi ultimi quindici scudi aspetto di rimettergli presto con l'entrata di ambedue noi, che a quest'ora doveremmo aver riscossa.
      Questo presente anno toccava a Suor Arcangelo ad esser canovaia, uffizio che mi dava che pensare. Pur ho ottenuto grazia dalla madre Badessa che non gli sia dato con allegar varie scuse; e in quel cambio è fatta pannaiuola, essendo obbligata a imbiancar e tener conto delle tovaglie e bandinelle per asciugar le mani, del convento.
      Sento gusto particolare nell'intendere che V. S. stia bene di sanità, del che grandemente temevo mediante i travagli che ha passati; ma il Signor Iddio ha voluto concederne le grazie compite liberandola dai travagli dell'arumo e del corpo. Sia egli sempre ringraziato!
      Il male contagioso si sente che va per ancora perseverando, ma dicono che ne muor pochi e che si ha speranza che deva terminare, trattandosi di portar in processione a Firenze la Madonna dell'Impruneta per questa causa.
      Al nostro già padre Confessore ho mandata la lettera a Firenze, già che egli non sta più qui al nostro convento, e ne aviamo avuto un altro, giovane di 35 anni, della Pieve a San Stefano.
      Mi maraviglio che Vincenzio non gli abbia mai scritto, e mi glorio d'averlo superato nell'esser fervente in visitarla con mie lettere, sebben qualche volta ho avuto anch'io gran strettezza di tempo, e oggi ho scritto questa in 4 volte, interrotta sempre da vari intrighi per amor della spezieria; e di più con dolor di denti che mi causa il mio solito catarro, che già parecchi giorni sono che mi travaglia. Finisco salutandola per parte delle nominate, e pregandola a ritornar centuplicati i saluti all'Eccellentissima mia Signora e pregando Nostro Signore che la conservi e feliciti sempre.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      Da S. Casciano sono venute in due volte 8 staia di farina per la Piera, ma io non ho cercato di pagarla sapendo che fra V. S. e il Ninci sono altri conti.


      90.

      A Roma

      San Matteo, 21 maggio 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Io non ho mai lasciato passar ordinario nessuno senza scriverli, e mandato le lettere al signor Geri, il quale m'avvisa che a quest'ora V. S. dovrà averle ricevute. Quanto al tornarsene Ella in qua con quest'ordinario, non posso darle risoluzione né sicurtà alcuna per conto del mal contagioso, atteso che tutta la speranza della città di Firenze è riposta nella Madonna Santissima, e a quest'effetto questa mattina con gran solennità si è portata la sua miracolosa Immagine dell'Impruneta a Firenze ove si sente che dimorerà 3 giorni, e nel ritornarsene abbiamo speranza d'aver grazia di vederla ancor noi. Sentiremo pertanto quello che seguirà, e quest'altro sabbato gliene darò ragguaglio. Intanto, sentendo che la dilazione giova ai suoi interessi, andiamo più facilmente tolerando la mortificazione che proviamo per la sua assenza.
      In questi contorni sono stati due casi di contadini infetti di mal cattivo, ma di presente non si sente altro, e già che tutti i gentiluomini che ci hanno le ville, ci si sono ritirati, è segno che non vi sono sospetti.
      Mi sarà molto grato, per amor di Suor Luisa, che V. S. vegga se può favorir il nostro vecchino nel suo negozio; ma sarà di necessità che V. S. vegga di parlarne con il signor Giovanni Mancini, al quale si mandorno le scritture un pezzo fa, né mai da lui né da altri, ai quali si è raccomandata questa causa, si è potuto aver risposta nessuna.
      Mi son fatta portar un poco di saggio del vino delle due botti piene, e mi par che sia molto buono. La Piera mi dice averle ripiene più volte, ma che da un pezzo in qua non ne hanno più bisogno. Giuseppe m'aspetta per portar le lettere, sì che non posso dir altro, se non che La prego a non disordinar col bere, come sento che va facendo. La saluto in nome di tutti, e dal Signore Iddio gli prego vera felicità.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      91.

      A Roma

      San Matteo, 28 maggio 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Dall'inclusa scrittami oggi dal signor Rondinelli V. S. potrà venir in cognizione dello stato nel quale, circa il male, si ritrova Firenze e questi contorni; e per esser assai buono, e V. S. quasi del tutto spedita da' suoi negozi, spero pure che non dovrà indugiar molto a ritornarsene da noi, che con tanto desiderio la stiamo aspettando: sì che la prego a non lasciarsi tanto legar dalla gentilezza indicibile di cotesti Eccellentissimi Signori, che noi doviamo restar prive di lei per tutta l'estate. Pur assai ha ricevuto fin qui, né mai sarà possibile il poter ricompensar tante grazie e favori ricevuti da Lei e partecipati da noi.
      Desidero che V. S., in particolare all'Eccellentissima Signora Ambasciatrice, faccia per nostra parte la solita riverenza. Di più avrò caro che nel suo ritorno mi porti un poco d'amido, conforme a che ha fatto l'altre volte; e li ricordo le due figurine che li domandai, è già un pezzo.
      Quanto all'orto, per quanto dalla Piera intendo, le fave hanno fatto bellissima verzura, essendo alte quanto lei, ma il frutto è stato poco e non molto bello, e similmente i carciofi, i quali intendo che feciono meglio l'anno passato: nondimeno ve ne sono stati per la casa, per noi, e anco qualcuno se n'è mandato a Vincenzio e al signor Geri.
      Gli aranci ancora non hanno gran quantità di fiori, atteso che il freddo e vento che questi giorni passati ha dominato, gli ha fatto gran danno; quelli che cascano, la Piera li va racquistando e gli stilla. I limoni sono tanto maturi che hanno necessità che V. S. venga a corgli, e di quando in quando ne casca qualcuno, che sono veramente belli e bonissimi. Questo è quanto le faccende della bottega mi permettono ch'io gli possa dire, poiché Suor Luisa e un'altra delle mie compagne sono in purga, e io per conseguenza sola a lavorare. La saluto caramente per parte di tutte le solite, e di più di Suor Barbara e Suor Prudenza, e prego il Signor Iddio che la conservi.

      sua figliuola Affezionatissima
      [S. M. Celeste.]


      92.

      A Roma

      San Matteo, 4 giugno 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Nell'ultima mia detti buone nuove a V. S. circa il male, e adesso (Dio lodato e la Madonna Santissima, dalla quale si riconosce la grazia) gliene do migliori, già che intendo ieri non esseme morti nessuno e due soli andati al Lazzaretto, ammalati d'altro male che di contagio, mandati là perché gli ospedali non ne pigliano, o pochi. Si sente bene ancora non so che, là inverso Rovezzano; ma poca cosa, e con il buon governo e con il caldo, che adesso si fa sentire assai gagliardo, si spera in breve la intera liberazione.
      In questi contorni non è sospetto alcuno; le case, che nel principio del male hanno patito detrimento, sono quelle dei Grazzini lavoratori del Lanfredini, e quella dei Farcigli, che stavano a mezzo monte: era una gran famiglia divisa in due o tre case, non so già di chi fossero lavoratori, so bene che son finiti tutti. Queste sono le nuove che con ogni diligenza ho procurato d'aver certe per potergliene partecipare, e con questo inanimirla al ritorno, caso che sia spedita costà del tutto. Ché pur troppo è stato lungo questo tempo della sua assenza fino a qui, ne vorrei in alcuna maniera ch'Ella indugiasse fino all'autunno, come temo, s'Ella tarda troppo a partirsi; tanto più che sento ch'Ella adesso si ritrova libera e con tante recreazioni, del che godo e mi rallegro grandemente, siccome all'incontro mi dispiace che le sue doglie non la lascino, se bene par quasi necessario che il gusto ch'Ella sente nel bere cotesti vini così eccellenti, sia contrapesato da qualche dolore, acciò, astenendosi dal berne maggior quantità, venga ad ovviare a qualche altro maggior nocumento che potrebbe riceverne.
      Ultimamente non ebbi tempo a dirgli come nel ritorno che fece da Firenze l'immagine della Santissima Madonna dell'Impruneta, venne nella nostra Chiesa; grazia veramente segnalata, perché passava dal Piano, sì che venne qui a posta, avendo a ritornar indietro tutta quella strada che V. S. sa, ed essendo il peso più di 700 libre quello del tabernacolo e adornamenti; mediante i quali non potendo entrare nelle nostre porte bisognò rompere il muro della corte, e alzare la porta della Chiesa, il che da noi s'è fatto con molta prontezza per tale occasione.
      Suor Arcangela di San Giorgio, dopo avermi più volte mandato a domandar due scudi con molta istanzia, mi scrive adesso facendomi un lungo cordoglio per la morte della sua Suor Sibilla, e mi prega ch'io preghi V. S. come fo, che gli faccia carità di far dir una messa per quell'anima all'altare di San Gregorio, del che vorrebbe la certezza per poter star quieta, promettendo di non lasciar di pregar per V. S.
      Adesso ch'ho ricordato San Gregorio, mi è sovvenuto che V. S. non m'ha mai detto niente d'aver ricevuta una ricetta che gli mandai per la peste. Mi è paruto strano, perché mi pareva di avergli mandata una bella cosa, e dubito che non sia andata a male. E qui, facendo fine con salutarla caramente per parte delle solite, prego Nostro Signore che gli conceda la sua santa grazia.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      93.

      A Roma

      San Matteo, 11 giugno 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Ultimamente scrissi a V. S. le cose del contagio esser ridotte in assai buon termine, ma adesso non posso con verità replicar il simile, giacché da alcuni giorni in qua, essendo variata la stagione con un fresco più che ordinario in questo tempo, il male ha ripreso forze, e ogni giorno si sente serrarsi nuove case, se bene il numero di quelli che muoiono non è grande, non passando per quanto dicono, i sette o gli otto il giorno, e altrettanti se ne ammalano. Stando pertanto le cose in questo termine, giudicherei che ad ogni modo Ella se ne potesse venire alla volta di Siena, come ha già disegnato, quando però siano terminati del tutto i suoi negozi per il presente mese, già che poi fino all'autunno non si può batter la campagna di Roma, per quanto intendo dal signor Rondinelli; e io non vorrei già che V. S. fossi astretta a far costà tanto lunga dimora. Sì che di grazia procuri, per quanto può, la sua spedizione, la quale spero pure che sia per ottenere quanto prima con l'aiuto di Dio benedetto e del signore Ambasciatore, il quale si vede chiaramente non essersi mai straccato nell'aiutare e favorire V. S. con tutte le sue forze. E veramente, carissimo Signor Padre, che se da una parte il Signor Iddio l'ha travagliata e mortificata, dall'altra poi l'ha sollevata e aiutata grandemente. Solo l'averla conservata sana con i disagi che patì per il viaggio, e di poi con i travagli che ha passati, è stata una grazia molto particolare. Piaccia al Signor Iddio di concederci che non siamo ingrati a tanti benefizi, e di conservarla e proteggerla sino all'ultimo; del che lo prego con tutto il cuore, e a V. S. mi raccomando per mille volte insieme con le solite.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      94.

      A Roma

      San Matteo, 18 giugno 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Quando io scrissi a V. S. dandogli conto del male ch'era stato in questi contorni, già era cessato quasi del tutto ogni sospetto, essendo scorsi molti giorni, anzi settimane, senza sentirsi niente; e, come allora li soggiunsi, me ne dava intiera sicurtà il vedere che tutti quegli gentiluomini nostri vicini se ne stavano qua in villa, come seguitano ancora di starci tutti; e ch'è più, nella medesima città di Firenze si sentiva che il male andava tanto diminuendo che si sperava che presto dovesse restar libera del tutto. Onde, con questa sicurtà, mi mossi ad esortarla e sollecitarla per il suo ritorno, sebbene nell'ultima che gli scrissi, sentendo che le cose erano peggiorate, mutai linguaggio, come si suol dire. Perché, sebbene è verissimo che desidero grandemente di rivederla, desidero nondimeno molto più la sua conservazione e salute; e riconosco per grazia speciale del Signor Iddio l'occasione che V. S. ha avuta di trattenersi costà più lungamente di quello che lei ed io avremmo voluto. Perché, sebbene credo che gli dia travaglio il trattenersi così irresoluta, maggiore gliene darebbe forse il ritrovarsi in questi pericoli, i quali tuttavia vanno continuando e forse aumentando; e ne fo conseguenza da una ordinazione venuta al nostro Monasterio, come ad altri ancora, da parte dei Signori della Sanità, ed è che per spazio di 40 giorni dobbiamo, due monache per volta, star continuamente giorno e notte in orazione a pregare Sua Divina Maestà per la liberazione di questo flagello. Avemmo dai suddetti signori scudi 25 di elemosina, e oggi è il quarto giorno che demmo principio.
      A Suor Arcangelo Landucci ho fatto intendere che V. S. gli farà il servizio che desiderava, ed ella la ringrazia infinitamente.
      Per dargli avviso di tutte le cose di casa, mi farò dalla colombaia, ove fino di quaresima cominciorno a covare i colombi; e il primo paio che nacque fu mangiato una notte da qualche animale, e il colombo che li covava fu trovato dalla Piera sopra una trave mezzo mangiato, e cavatone tutte l'interiora, che per questo si giudicò che fosse stato qualche uccello di rapina; e gli altri colombi spauriti non vi tornavano, ma seguitando la Piera a dargli da mangiare si sono ravviati, e adesso ne covano due.
      Gli aranci hanno avuti pochi fiori, i quali la Piera ha stillato, e mi dice averne cavato una metadella d'acqua. I capperi, quando sarà tempo, si accomoderanno. La lattuga che si seminò, secondo V. S. aveva ordinato, non è mai nata, e in quel luogo la Piera ci ha messo dei fagiuoli che dice essere assai belli, e finalmente dei ceci, dei quali la lepre ne vorrà la maggior parte, avendo già incominciato a levarli via.
      Delle fave ve ne sono da seccare, e i gambi si danno per colazione alla muletta, la quale è diventata così altiera che non vuol portare nessuno, e alcune volte ha fatto far dei salti mortali al povero Geppo, ma con gentilezza, poiché non si è fatto male. Ascanio, fratello della cognata, la domandò una volta per andar di fuora, ma quando fu vicino alla porta al Prato gli convenne tornare indietro, non avendo mai avuto forza di scaponire l'ostinata mula acciò andassi innanzi, la quale forse sdegna di esser cavalcata da altri, trovandosi senza il suo vero padrone.
      Ma ritornando all'orto, gli dico che le viti mostrano assai bene, non so poi se proseguiranno così, mediante il torto che ricevono d'esser custodite dalle mani della Piera, in cambio di quelle di V. S. Dei carciofi non ve ne sono stati molti, con tutto ciò se ne seccherà qualcuno.
      In cantina le cose passano bene, andandosi il vino conservando buono. In cucina non manco di somministrare quel poco che fa bisogno per la servitù, eccetto che nel tempo che ci viene il signor Rondinelli, che allora ci vuol pensar lui, anzi che in questa settimana volle che una mattina noi stessimo in parlatorio a desinar da lui. Questi sono tutti gli avvisi che mi pare di potergli dare.
      L'Achilia desidera che V. S. di costì, dov'è abbondanza di buoni maestri di musica, li provegga qualche bella cosa da suonar sull'organo. Suor Luisa avrebbe caro di sapere se V. S. ha poi visto il signor Giovanni Mancini ch'è mercante, per conto del negozio del nostro vecchino, e similmente Suor Isabella desidera di sapere se la lettera che gli mandò per il signor Francesco Cavalcanti, abbia avuto ricapito, desiderando pur di sapere da cotesto gentiluomo se un fratello ch'ha costì sia morto o vivo. Finisco per riserbar qualche cosa da dirgli quest'altra volta che gli scriverò, ma mi sovviene che devo salutarla da parte di Suor Barbera, e dirgli così, ch'ella non va più fuora se non tanto quanto entrare in chiesa dal primo usciolino per parare e sparare. Tutte l'altre amiche la salutano, e io da Dio benedetto gli prego ogni vero bene.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      95.

      A Roma

      San Matteo, 25 giugno 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Ringraziato sia Dio che pur sento che V. S. comincia trattar di mettersi in viaggio per il suo ritorno, il quale io ho grandemente desiderato, non solo per rivederla, quanto anco perché con la totale spedizione del suo negozio, dovrà Ella restar con l'animo quieto e tranquillo. Il che sono molti mesi che non ha potuto provare. Ma si potranno benedire tutti i travagli sofferti, se saranno terminati con tanto buon esito, quanto ella m'accenna di sperare.
      Ho caro che V. S. se ne vadia a Siena, sì perché ella non venga in questi sospetti di contagio, il quale s'intende però che questa settimana è assai alleggerito, sì anco perché sentendo che quell'arcivescovo l'invita con tanta instanza e gentilezza, mi prometto che quivi avrà molto gusto e sodisfazione. La prego bene a venirsene a suo bell'agio, e pigliarsi tutte quelle comodità che gli saranno possibili, poiché è stata necessitata a viaggiare in due estremi di freddo, e anco a darmi nuove di sé ogni volta che li sarà possibile, siccome ha fatto in tutto il tempo ch'è stata assente, del che devo ringraziarla, essendo stato questo il maggior contento ch'io potessi ricevere. Volevo con questa mandarle una lettera per la signora Ambasciatrice (alla quale per amor di V. S. mi conosco tanto obbligata) ma perché sto in dubbio se, all'arrivo di questa, V. S. sarà già partita, mi risolvo a indugiar a quest'altra settimana, o per dir meglio, a quando V. S. m'avviserà ch'io deva farlo. Del servizio del vecchino ne tratteremo a voce, se a Dio piacerà, il quale prego che la guardi e conservi in questo viaggio; e la saluto caramente con l'altre solite.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      96.

      A Roma

      San Matteo, 2 luglio 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Tanto quanto m'è arrivato improvviso e inaspettato il nuovo travaglio di V. S., tanto maggiormente mi ha trafitta l'anima d'estremo dolore il sentire la risoluzione che finalmente s'è presa, tanto sopra il libro, quanto nella persona di V. S. Il che dal signor Geri m'è stato significato per la mia importunità, perché, non tenendo sue lettere questa settimana, non potevo quietarmi, quasi presaga di quanto era accaduto.
      Carissimo signor padre, adesso è il tempo di prevalersi più che mai di quella prudenza che gli ha concesso il Signor Iddio, sostenendo questi colpi con quella fortezza d'animo, che la religione, professione ed età sua ricercano. E giacché ella per molta esperienza può aver piena conoscenza della fallacia e instabilità di tutte le cose di questo mondaccio, non dovrà far molto caso di queste burrasche, anzi sperar che presto sieno per quetarsi e cangiarsi in altrettanta sua sodisfazione.
      Dico quel tanto che mi somministra il desiderio, e che mi pare che prometta la clemenza che Sua Santità ha dimostrato inverso di V. S. in aver destinato per la sua carcere luogo sì delizioso, onde mi pare che si possa sperare anco commutazione più conforme al suo e nostro desiderio; il che piaccia a Dio che sortisca, se è per il meglio. Intanto la prego a non lasciar di consolarmi con sue lettere, dandomi ragguaglio dell'esser suo quanto al corpo e molto più quanto all'animo: io finisco di scrivere, ma non già mai d'accompagnarla con il pensiero e con le orazioni, pregando sua divina Maestà che gli conceda vera quiete e consolazione.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      97.

      A Siena

      San Matteo, 13 luglio 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Che la lettera che V. S. mi scrive da Siena (ove dice di ritrovarsi con buona salute) m'abbia apportato contento grandissimo, e similmente a Suor Arcangela, non occorre ch'io m'affatichi in persuadernela, perché Ella saprà meglio penetrarlo che non saprei io esplicarlo; ma ben vorrei sapergli descrivere il giubilo e allegrezza che queste madri e sorelle hanno dimostrato nel sentire il felice ritorno di V. S., ch'è veramente stato straordinario; poiché la madre Badessa, con molte altre, sentendo questo avviso, mi corsono incontro con le braccia aperte, e lagrimando per tenerezza e allegrezza; cosa veramente che mi ha legata per schiava di tutte, per aver da questo compreso quanto affetto esse portino a V. S. e a noi.
      Il sentir poi ch'Ella se ne stia in casa d'ospite tanto cortese e benigno, quanto è monsignor Arcivescovo, raddoppia il contento e sodisfazione, ancorché ciò potessi esser con qualche pregiudizio del nostro proprio interesse, poiché facilmente potrà essere che quella così dolce conversazione la trattenga costì più lungamente di quello che avremmo voluto. Ma, già che qua per ancora non terminano i sospetti del contagio, lodo ch'Ella si trattenga e aspetti (come dice di voler fare) la sicurezza dagli amici più cari, li quali, se non con maggiore affetto, almeno con più sicurezza di noi potranno accertarla della verità.
      Ma frattento stimerei che fossi bene il pigliar compenso del vino che si trova nella sua cantina, almeno d'una botte; perché se bene per ancora si va mantenendo buono, dubito che a questi caldi non faccia qualche stravaganza: e già quella botte che V. S. lasciò manomessa, del quale beono la serva e il servitore, ha cominciato a entrar in fortezza. V. S. potrà dar ordine di quello che vorrà che si faccia, perché io non ho troppa scienza in questo negozio; ma vo facendo il conto, ch'essendosi V. S. provvista per tutto l'anno, ed essendo stata fuori sei mesi, di ragione dovrà avanzarne, ancorché Ella tornasse fra pochi giorni.
      Ma lasciando questo da parte, e venendo a quello che più mi preme, io veramente avrei desiderio di sapere in che maniera sia terminato il suo negozio con sodisfazione sua e de' suoi avversati, siccome m'accennò nella penultima che mi scrisse di Roma: faccilo con suo comodo, e quando sarà ben riposata, ché averò pazienza un altro poco aspettando di restar capace di questa contradizione.
      Il signor Geri fu qui una mattina, mentre si dubitava che V. S. si trovasse in travaglio, e insieme con il signor Aggiunti fece in casa di V. S. l'opera, che poi mi avvisa che li ha fatto intendere, la quale ancora a me parve ben fatta e necessaria, per ovviare a tutti gli accidenti che fossero potuti avvenire, onde non seppi negargli le chiavi e l'abilità di farlo, vedendo massime la premura ch'egli aveva negli interessi di V. S.
      Alla signora Ambasciatrice scrissi sabbato passato con quel maggior affetto ch'io seppi, e, se ne avrò risposta, V. S. ne sarà consapevole. Finisco perché il sonno m'assale essendo tre ore di notte, sì che V. S. m'averà per scusata se averò detto qualche sproposito. Gli ritorno duplicati i saluti per parte di tutte le nominate e particolarmente la Piera e Geppo, li quali per il suo ritorno sono tutti allegri; e prego Dio benedetto che gli doni la sua santa grazia.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      98.

      A Siena

      San Matteo, 16 luglio 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Ho vista la lettera del signor Mario [Guiducci] con mia grandissima consolazione, avendo per mezzo d'essa compreso in quale stato V. S. si ritrovi quanto all'interna quiete dell'animo, e con questo anco il mio si sollieva e tranquilla in gran parte, ma non in tutto, mediante questa lontananza e l'incertezza del quando io deva rivederla: ed ecco quanto è pur vero che in cosa alcuna di questo mondo non può trovarsi vera quiete e contento.
      Quando V. S. era a Roma, dicevo nel mio pensiero: se ho grazia ch'egli si parta di là e se ne venghi a Siena mi basta, potrò quasi dire che sia in casa sua. Ed ora non mi contento, ma sto bramando di riaverla qua più vicina. Orsù, benedetto sia il Signore che fino a qui ci ha fatto grazia così grande. Resta che procuriamo di esser grati di questa, per maggiormente disporlo e commuoverlo a concederne dell'altre per l'avvenire, come spero che farà per sua misericordia.
      Intanto io principalmente fo grande stima di quest'una più che di tutte l'altre, la quale è la conservazione di V. S. con buona sanità in mezzo ai travagli che ha passati.
      Non ho né tempo né occasione di scriver più a lungo per ora. Con l'occasione d'un'altra sua, che pur presto doverà comparirmi, scriverò più a lungo e gli darò ragguaglio minuto della casa.
      La saluto in nome di tutte le solite e del signor Rondinelli tutto amorevole inverso di noi; e dal Signore Iddio gli prego consolazione.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      99.

      A Siena

      San Matteo, 23 luglio 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Il signor Geri non mi ha per ancora potuto mandar la lettera che V. S. gli ha scritto, essendogli bisognato lasciarla al Granduca: mi promette bene di procurar ch'io l'abbia quanto prima.
      Intanto io resto molto sodisfatta con questa che V. S. scrive a me, per la quale comprendo ch'Ella sta bene di sanità, e con ogni comodità e sodisfazione, e ne ringrazio Dio, dal quale (come altre volte gli ho detto) riconosco la sua sanità per grazia speciale.
      Ier mattina mi feci portar un poco di saggio del vino delle sue botti, delle quali una è bonissima, l'altra ha cattivo colore, e anco il sapore non mi sodisfa, parendomi che voglia guastarsi. Stasera lo farò sentir al signor Rondinelli, che, conforme al solito degli altri sabati, dovrà venirsene alla villa; ed egli meglio saprà conoscere se sia cattivo per la sanità, che quanto al gusto non sarebbe dispiacevole, ed io ne darò parte a V. S. acciò ordini quello che se ne deva fare, caso che non sia buono. Quel bianco ch'è nei fiaschi è forte e farà un aceto esquisito, eccetto che quello della fiasca, che, per aver solamente un poco il fuoco, ce lo andiamo bevendo avanti che egli peggiori: il difetto non è stato della Piera, perché gli ha spesso riguardati e visto che si mantenevano pieni. Dei capperi se ne sono acconci una buona quantità, cioè tutti quelli che sono stati nell'orto, perché la Piera mi dice che a V. S. gli gustano assai.
      Son parecchi giorni che in casa non è più farina; ma perché a questi gran caldi non si può far quantità di pane, che indurisce subito e muffa, e per il poco non torna il conto a scaldare il forno, fo che il ragazzo lo compri qui alla bottega.
      Con quest'altra li darò più minuto ragguaglio delle spese fatte alla giornata, perché adesso non me ne basta l'animo, sentendomi (conforme al mio solito in questa stagione) con un'estrema debolezza, tanto che non ho forza di muover la penna, per così dire. La saluto caramente per parte di tutte queste madri, alle quali pare ogn'ora mill'anni, per il desiderio che hanno, di rivederla, e prego il Signore che la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      100.

      A Siena

      San Matteo, 24 luglio 1633


      Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
      Ho letto la lettera che V. S. scrive al signor Geri con mio particolar gusto e consolazione, per le cose che nel primo capitolo d'essa si contengono. Nel terzo capitolo ancor io m'intrometterò per esser esso attenente al negozio di non so che casetta, la quale ho penetrato che il signor Geri ha gran desiderio che Vincenzio compri, ma con l'aiuto di V. S. Io veramente non vorrei esser prosuntuosa, entrando in quelle cose che non m'appartengono. Nondimeno, perché assai mi preme qualsivoglia minimo interesse di V. S., la pregherei ed esorterei (caso ch'Ella si trovi in stato di poterlo fare) a dar loro non dirò in tutto, ma qualche parte di sodisfazione, non solo per amor di Vincenzio, quanto per mantener il signor Geri in quella buona disposizione che ha inverso di Lei, avendo egli, nelle occasioni che son passate, mostrato grande affetto a V. S., e, per quanto mi pare, procurato di aiutarlo in quel poco ch'ha potuto: sì che, se, senza suo molto scomodo, V. S. potesse darli qualche segno di gratitudine, non lo stimerei se non per ben fatto.
      So che da per sé medesima può infinitamente meglio di me disporre e penetrar queste cose, e io forse non so quel che mi dica, ma so bene che dico quello che mi detta un puro affetto inverso di Lei.
      Il servitore ch'è stato a Roma con V. S. venne qui ier mattina, esortato a ciò fare da messer Giulio Ninci. Mi parve strano di non veder lettere di V. S. Pur restai appagata della scusa che per lei fece il medesimo uomo, dicendo che V. S. non sapeva ch'egli passasse di qua. Adesso che V. S. è senza servitore, il nostro Geppo non può star alle mosse, e vorrebbe in ogni maniera, se gli fosse concesso il passo, venir da lei, e io l'avrei caro. V. S. potrà dire il suo pensiero, che vedrei di mandarlo con buona accompagnatura, e credo che il signor Geri gli potrebbe far avere il passaporto.
      Desidero anco di sapere quanta paglia si deva comprare per la muletta, perché la Piera ha paura che non si muoia di fame, e la biada non è troppo per lei, ch'è bizzarra d'avanzo.
      Da poi in qua che gli mandai la nota delle spese fatte per la sua casa, son corse queste che gli mando notate, oltre ai danari che ogni mese ho fatto pagare a Vincenzio Landucci, che di tutti tengo le ricevute, eccetto che di questi ultimi; nel qual tempo, e siccome anco seguì di presente, egli si ritrovava serrato in casa con i due figliuolini per essergli morta la moglie, per quanto si dice, di mal cattivo; che veramente si può dire che sia uscita di stento e andata a riposarsi, la poverella. Egli mandò a domandarmi li 6 scudi per l'amor di Dio, dicendo che si moriva di fame, ed essendo anco compito il mese glieli mandai; e lui promise la ricevuta quando fossi fuor di sospetto, e tanto procurerò che mantenga; se non altro avanti lo sborso di questi altri, caso che V. S. non sia qua da per sé, come dubito mediante questi eccessivi caldi che si fanno sentire.
      I limoni dell'orto cadevano tutti, onde quei pochi restati si sono venduti, e delle 2 lire che se ne sono avute ne ho fatto dire tre messe per V. S. secondo la mia intenzione. Scrissi alla signora Ambasciatrice, come S. V. ordinò, e mandai la lettera al signor Geri, ma non ne tengo risposta, onde non so se sarà bene tornar a riscrivergli con dimostrar dubbio se forse o la mia o la sua lettera sian andate a male. E qui, salutando V. S. di tutto cuore, prego Nostro Signore che la conservi.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      101.

      A Siena

      San Matteo, 28 luglio 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Mi maraviglio che V. S. sia stato un ordinario senza mie lettere, non avendo io lasciato di scriverle e mandarle al signor Geri, e quest'ultima settimana ne ho scritte due, una sabbato e una il lunedì; ma forse a quest'ora li saranno pervenute tutte, e V. S. resterà minutamente informata d'ogni particolarità di casa, come desidera.
      Restava solo imperfetta la relazione del vino, il quale sentito dal signor Rondinelli, con il suo consiglio s'è travasato in un'altra botte per levarlo di sopra a quel letto: si starà a vedere qualche giorno, e, se non migliorerà, bisognerà vedere di contrattarlo avanti che si guasti affatto: questo è quanto alla botte che già gli avevo avvisato che cominciava a patire, l'altra per ancora si mantiene molto buona.
      Non ho mancato di preparar l'aloé per V. S., e fino a qui, vi ho ritornato sopra il sugo di rose sette volte; e perché di presente non è tanto asciutto che si possi metter in opera nelle pillole, li mando per ora un girelletto di quelle che facciamo per la nostra bottega, nelle quali è lo aloé pur lavato con sugo di rose, ma una sol volta; nondimeno non credo che per una presa siano per farli danno, avendo avuto qualche correzione.
      Quanto il Landucci si dolga per la morte di sua moglie, io non posso saperlo, né averne altra relazione che quella che mi dette Giuseppe il giorno che andò insieme con il signor Rondinelli a portargli li 6 scudi, che fu li 18 stante; e mi disse che posò i danari su la soglia dell'uscio e che vedde Vincenzio là in casa lontano dalla porta assai, che mostrava d'esser molto afflitto con una cera di morto più che di vivo, e con lui erano li due figliuolini, un maschio e una femmina, che tanti e non più gliene sono restati.
      Godo di sentire che V. S. si vadia conservando in sanità e la prego a procurar di conservarsi, col regolarsi particolarmente nel bere che tanto gli è nocivo, perché dubito che il gran caldo e la conversazione non li siano occasioni di disordinare con pericolo d'ammalarsi, e per conseguenza di differire ancora il suo ritorno tanto da noi desiderato.
      La nostra signora signora Giulia, madre di Suor Luisa e sorella del signor Corso, ha in questi giorni fatto alle braccia con la morte, e ancor che vecchia di 85 anni, l'ha superata contro ogni nostra credenza, essendo stata tanto male che si trattava di darle l'olio santo: adesso è tanto fuor di pericolo che non ha più febbre, e si raccomanda a V. S. per mille volte, ed il simile fanno tutte le amiche. Il Signor Iddio gli conceda la sua santa grazia.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      102.

      A Siena

      San Matteo, 3 agosto 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Scrivo questi pochi versi molto in fretta per non trasgredir al precetto di V. S. che m'impone, ch'io non lasci passar settimana senza scrivere. Quanto al vino che si travasò, par che sia alquanto migliorato di colore, e alla Piera non gli dispiace e ne va bevendo: si è trovato da darne a vin per vino 3 barili; 2 ne piglierà il fabbro, mezzo il lavoratore dell'Ambra, e mezzo Domenico che lavora qui il podere dei signori Bini: si cercherà di darne ancora un altro barile, perché finalmente non vorrei che ne gettassimo via punto, e il resto, che sarà un altro barile o poco più, se lo beveranno, perché così si contentano, e anco Suor Arcangiola non si fa pregare a dar loro aiuto.
      In colombaia son due para di piccioncini che aspettano che V. S. venga in persona a dar loro l'ultima sentenza. I limoni [fanno?] mostra ragionevole, se andranno innanzi; ma le melangole, i melaranci fecion pochi fiori, e di quei pochi ne sono andati innanzi pochissimi; pur ve n'è qualcuno.
      Il pan che si compra per otto quattrini è grande e bianco.
      La paglia per la mula si provvederà: dello strame non bisogna farne disegno, perché quest'anno è stato carestia d'erba, oltre, dice la Piera, che alla signora mula non gli sodisfa molto, e che V. S. si ricordi che l'anno passato ella se ne faceva letto per star più soffice. Adesso ha avuto un poco di male in bocca, perché ha lo stomaco tanto gentile che dicono, che il ber fresco gli abbia fatto male, del che la Piera è stata tribolata. Adesso sta meglio.
      V. S. fece bene ad aprir la lettera della cortesissima signora Ambasciatrice, alla quale vorrei in ogni maniera mandar a presentare qualche galanteria insieme con il cristallo, quando s'apriranno i passi. Il signor Geri non è ancora venuto qui. Sicché per ora non posso dir altro a V. S. se non che di molto gusto mi sono stati gli altri avvisi che mi dà nell'ultima, circa gli onori e sodisfazioni che riceve costà. E caramente la saluto, e prego N. S. che la conservi.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      103.

      A Siena

      San Matteo, 6 agosto 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Il signor Geri fu ieri mattina a parlamento meco per conto del negozio della casetta; e, per quanto potetti comprendere, egli non ha altra pretensione che l'utile e benefizio di Vincenzio, il quale sarebbe assai coll'occasione di questa compra, potendo bonificare e accrescere la casa grande, che pur gli pare angusta, niente niente che Vincenzio cresca in famiglia; tanto più che dice esservi una stanza sopra la cisterna che non si può abitare per essere malsana: e al quesito ch'io gli feci se aveva pensiero d'abitarvi insieme con Vincenzio, mi rispose che, quando egli avesse voluto starvi, non poteva, e ch'è di necessità ch'egli ne pigli una più comoda e vicina al Palazzo, perché, tanto per lui quanto per quelli che tutto il giorno vanno a trovarlo, questa su la Costa è troppo disadatta e fuor di mano. Stando saldo su questo punto, concludo che il signor Geri avrebbe desiderato che V. S. avessi interamente comprato la casetta, la quale non passerà i 300 scudi in modo alcuno, per quanto egli dice: gli replicai che non mi pareva né possibile, né dovere che V. S. fossi aggravato di tanto, essendo verisimile ch'ella si trovi scarsa di danari, avendo avuto occasione di fare spese più che ordinarie, e gli soggiunsi che si poteva proporre e pregar V. S. a concorrere alla metà della spesa, caso che si trovi in comodo, e giacché dice anco che si sforzerà a dar loro ogni possibile sodisfazione, e che l'altra metà dei denari avrebbe potuto il medesimo signor Geri accomodare a Vincenzio, finché egli abbia comodità di renderglieli; al che il signor Geri condiscese con molta prontezza e cortesia, dicendomi che, sebbene nel tempo che V. S. è stata fuora ha accomodati altri danari a Vincenzio, nondimeno avrebbe preso ogni scomodo, prestandogli anche questi 150 scudi, purché questa buona occasione non gli fuggissi dalle mani. Questo è quello che si concluse che si dovesse proporre a V. S. come fo di presente: a Lei sta lo eleggere, poiché molto meglio di me può saper quanto si possa distendere; solamente aggiugnerò che l'essermi convenuto interessarmi in questo negozio, non mi è stato di poca mortificazione, prima perché non vorrei in minima cosa disturbar la sua quiete da lei raccomandatami; il che temo che non segua, giacché mi par ch'Ella non inclini troppo a questa spesa. Dall'altra banda l'escluder affatto il signor Geri che domanda a V. S. per un suo figliuolo, e che dimostra tanto affetto a lei e a tutta la casa nostra, non mi par cosa lodevole. Di grazia V. S., col darmi risposta quanto prima, mi liberi da questa sollevazione d'animo; e anco potrà avvisarmi che effetto abbiano fatto le pillole, e se vorrà che io gliene mandi, dell'altre di queste medesime, non potendosi ancora mettere in opera l'aloé che ho preparato per formarne di nuove.
      Suor Giulia gli ritorna le salutazioni, e sta con desiderio aspettando, non il fiasco del vino bianco che V. S. li promette, ma ben lei medesima; e il signor Rondinelli fa l'istesso, al quale non lascio di partecipare le lettere che V. S. mi scrive, quando mi par di poterlo fare; e qui a Lei mi raccomando, e dal Signor Iddio prego felicità.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      104.

      A Siena

      San Matteo, 13 agosto 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Se le mie lettere, com'Ella mi dice in una sua, li sono rese spesse volte in coppia, e io gli dico, per non replicar il medesimo, che quest'ultima volta le sue sono venute come i frati zoccolanti, non solamente accoppiati, ma con gran strepito, facendo in me una commozione più che ordinaria di gusto e contento, che ho preso in sentir che la supplica, che per Vincenzio e per il signor Geri, ho presentata a V. S., o raccomandata per dir meglio, sia da Lei stata segnata con tanta prontezza e con più larghezza di quello ch'io domandavo: e da questo fo conseguenza che non sia altrimenti con la mia importunità restata disturbata la sua quiete, ch'è quello che mi premeva, e per questo mi allegro e la ringrazio.
      Quanto al suo ritorno, Dio sa quanto io lo desideri; nondimeno, quando V. S. potessi penetrare che, partendosi di cotesta città, li convenisse per qualche tempo fermarsi in luogo sì ben vicino, fuori di casa sua, crederei che fossi meglio per la sua sanità e per la sua reputazione, il trattenersi qualche settimana d'avvantaggio dove di presente si ritrova in un paradiso di delizie, specialmente mediante la dolcissima conversazione di cotesto Ill[ustrissi]mo monsignor Arcivescovo; e poter poi addirittura venirsene al suo tugurio, il qual veramente si lamenta di questa sua lunga assenzia; e particolarmente le botti, le quali, invidiando le lodi che V. S. dà ai vini di cotesti paesi, per vendetta, una di loro, ha guastato il vino, o pur il vino ha cercato di guastar lei, come già gli ho avvisato. E l'altra avrebbe fatto il simile, se non fosse stata prevenuta dall'accortezza e diligenza del signor Rondinelli, il quale conoscendo il male ha procurato il rimedio, consigliando e operando acciò il vino si venda, come s'è fatto, per mezzo di Matteo bottegaio, ad un oste. Oggi appunto s'infiasca e se ne manda via due some; e il signor Rondinelli assiste. Delle quali senza fallo credo che se ne averanno 8 scudi: quello che sopravanzerà alle due some si metterà nei fiaschi per la famiglia e per noi che ne piglieremo volentieri qualche pocherello: si è sollecitato a pigliar questo spediente avanti che il vino facesse altra novità maggiore, per non l'aver a buttar via.
      Il signor Rondinelli attribuisce questa disgrazia al non essersi levato il vino di sopra quel letto che fa nella botte, avanti che venissero i caldi; cosa ch'io non sapevo, perché non son pratica in questi maneggi.
      La mostra dell'uva dell'orto era assai scarsa, e due furie di gragnuola che l'ha percossa hanno finito di rovinarla. Se n'è colta un poco di quella lugliola avanti che ci arrivino i malandrini, quali, non avendo trovato altro da dissipare, hanno colte alcune mele. Il giorno di San Lorenzo fu qui all'intorno un tempo cattivissimo con vento tanto terribile che fece molto danno, e alla casa di V. S. ne toccò qualche poco, essendo andato via un buon pezzo di tetto dalla banda del signor Chellini, e anco fece cadere un di quei vasi ne' quali sono i melaranci. Il frutto si è trapiantato in terra fino a che V. S. dirà se si deve comprar altro vaso per rimettervelo, e del tetto si è fatto sapere ai signori Bini che hanno promesso di farlo rassettare.
      Di altri frutti non v'è quasi niente; e particolarmente delle susine, nessuna; e quelle poche pere che vi erano, il vento le ha vendemmiate. Molto bene son riuscite le fave, che, per quanto dice la Piera, saranno intorno a 5 staia e molto belle: adesso vi sono dei fagiuoli.
      Mi resterebbe da rispondergli qualcosa circa quel particolare ch'Ella mi dice del stare o non stare in ozio; ma lo riserbo a quando averò manco sonno, che adesso che sono 3 ore di notte. La saluto per parte di tutti i nominati, e di più del signor medico Ronconi il quale non vien mai qui che con grand'istanza non mi domandi di lei. Il Signore Iddio la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      105.

      A Siena

      San Matteo, 20 agosto 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Quando scrissi a V. S. circa il suo avvicinarsi qua, ovvero trattenersi costì ancora qualche poco, sapevo l'istanza che s'era fatta al signor Ambasciatore, ma non già la sua risposta, la quale intesi dal signor Geri che fu qui martedì passato, quando già avevo scritto a V. S. un'altra lettera, e inclusovi la ricetta delle pillole che a quest'ora doverà esserle pervenuta. Il motivo adunque che m'indusse a scriverle in quella maniera fu, ch'essendomi io trovata più volte a discorrere con il signor Rondinelli, il quale in questo tempo è stato il mio rifugio (perché, come pratico ed esperimentato nelle cose del mondo, molte volte m'ha alleggerito il travaglio, pronosticandomi per l'appunto come le cose di V. S. potevan passare, le quali io mi figuravo più precipitose di quello che poi sono state); fra l'altre una volta mi disse che in Firenze si diceva che quando V. S. partiva di Siena doveva andar alla Certosa, cosa che a nessuno degli amici era di gusto; e vi aggiunse buone ragioni, ma in particolare alcuna di quelle che intendo che ha poi addotte il medesimo signore Ambasciatore, e quelle massimamente che se, con troppo sollecitar il ritorno di V. S., si aveva una negativa, bisognava poi necessariamente lasciare scorrere più lunghezza di tempo avanti che si ritornasse a supplicare. Ond'io che temevo di questo successo che facilmente sarìa seguìto, sentendo che V. S. sollecitava, mi mossi a scriverli in quella maniera.
      Che se a lei non fo gran dimostrazione del desiderio ch'ho del suo ritorno, resto per non accrescerli lo stimolo e inquietarla maggiormente. Anzi che in questi giorni sono andata fabbricando castelli in aria, pensando fra me medesima, se, dopo questi due mesi di dilazione non si ottenendo la grazia, io avessi potuto ricorrere alla signora Ambasciatrice acciò, col mezzo della cognata di Sua Santità, avess'ella procurato d'impetrarla. So, come li dico, che questi son disegni poco fondati, con tutto ciò non stimerei per impossibile che le preghiere di pietosa figliuola superassero il favore di gran personaggi. Mentre adunque mi ritrovo in questi pensieri, e veggo che V. S. nella sua lettera mi soggiugne che una delle cause che li fanno desiderare il suo ritorno è per vedermi rallegrare di certo presente, oh li so dire che mi son alterata da ver davvero; ma però di quell'adirazione alla quale ci esorta il santo Re David in quel salmo ove dice, «Irascimini et nolite peccare.» Perché mi par quasi quasi che V. S. inchini a creder che più sia per rallegrarmi la vista del presente che di lei medesima: il che è tanto differente dal mio pensiero quanto sono le tenebre dalla luce. Può esser ch'io non abbia inteso bene il senso delle sue parole, e per questo m'acqueto, che altrimenti non so quel ch'io dicessi o facessi. Basta, V. S. vegga pure se può venirsene al suo tugurio che non può star più così derelitto, massimamente adesso che si approssima il tempo di riempier le botti, le quali, per gastigo del male che hanno commesso in lasciar guastar il vino, si sono tirate su nella loggia e quivi sfondate per sentenza dei più periti bevitor di questo paese, i quali notano per difetto assai rilevante quella usanza che ha V. S. di non le far mai sfondare, e dicono che adesso non posson patire e non hanno il sole addosso.
      Ebbi li 8 scudi del vino venduto, che n'ho spesi 3 in sei staia di grano, acciò che, come rinfresca, la Piera possa tornare a fare il pane; la qual Piera si raccomanda a V. S. e dice che se si potesse mettere in bilancia il desiderio che ha V. S. del suo ritorno e quello che prova lei, sarebbe sicura che la bilancia di lei andrebbe nel profondo e quella di V. S. se n'andrebbe al cielo: di Geppo poi non bisogna ragionare. Il signor Rondinelli a questa settimana ha pagati li 6 scudi a Vincenzio Landucci ed ha avuto due ricevute, una per il mese passato, l'altra del presente: intendo che stanno bene lui e i figli, ma quanto al loro governo non so come si vadia, non l'avendo potuto spiare da nessuna banda. Mando altra pasta delle medesime pillole, e la saluto di tutto cuore insieme con le solite e il signor Rondinelli. Nostro Signore la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      106.

      A Siena

      San Matteo, 27 agosto 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Sto con speranza che la grazia che V. S. (con quelle condizioni che mi scrive) ricerca d'ottenere, li abbia a esser concessa; e mi par mill'anni di sentir la risposta che V. S. ne ritrarrà, sì che di grazia me lo avvisi presto quand'anche sortisse in contrario; il che pur non voglio credere.
      Li do nuova come, mediante la morte del signor Benedetto Parenti che seguì mercoledì passato, il nostro Monasterio ha ereditato un podere all'Ambrogiana, e il nostro procuratore andò l'istessa notte a pigliarne il possesso. Da più persone abbiamo inteso ch'è stimato di valuta di più di cinque mila scudi, e dicono che quest'anno vi si sono ricolte 16 moggia di grano e vi saranno 50 barili di vino e 70 sacchi di miglio e altre biade, sicché il mio convento resterà assai sollevato.
      Il giorno avanti ch'io ricevessi la lettera di V. S., messer Ceseri s'era servito della muletta per andar a Fiesole, e Geppo mi disse che la sera la rimenò a casa tutta sferrata e mal condotta, sì che gli ho imposto che, quando messer Ceseri tornasse a domandarla, gli risponda con creanza, allegandoli l'impossibilità della bestiuola e la volontà di V. S. ch'è ch'essa non si scortichi.
      Sono parecchie settimane che la Piera non ha da lavorare per la casa, e perché intendo che costà v'è abbondanza di lino buono, s'è vero, V. S. potrebbe veder di comprarne qualche poco; che se bene è sottile, sarà migliore per far pezzuole, federe e simili cose: e io desidero che V. S. mi provvegga un poco di zafferano per la bottega, del quale n'entra anco nelle pillole papaline, come avrà potuto vedere. Non mi sento interamente bene, e per questo scrivo così a caso; mi scusi e mi voglia bene. A Dio, il quale sia quello che gli doni ogni consolazione.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      107.

      A Siena

      San Matteo, 3 settembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Il sentir ragionar d'andar in campagna mi piace per la parte di V. S., sapendo quanto quell'abitazione gli sia utile e gustosa, ma mi dispiace per la parte nostra, vedendo che anderà in lungo il suo ritorno: ma sia pur come si voglia, mentre ch'ella per grazia di Dio benedetto si conserva sana e lieta, tutti gli altri accidenti sono tollerabili, anzi si fanno soavi e gustosi con la speranza che tengo che da queste sue e nostre mortificazioni il Signor Iddio, come sapientissimo, sia per cavarne gran bene per sua pietà.
      La disgrazia del vino è stata grande per V. S. e sto per dire maggiore per noi, che, perché lei trovassi le botti ben condizionate, non ne aviamo mai bevuto un pocolino, e di quella che V. S. lasciò manomessa ne pigliammo poco, perché presto prese il fuoco e non ci piaceva più, e quel poco di bianco, per aspettar troppo lungamente V. S., diventò aceto: ve ne sono in casa sei fiaschi dell'ultimo che si è venduto, che è ragionevole per la servitù: ve ne erano alcuni di quel primo che si levò via che era diventato cattivo affatto, e non ho voluto che lo bevino: fino al nuovo bisognerà che lo comprino a fiaschi, e pregherò il signor Rondinelli che indirizzi Geppo ove possa andare a trovarne di quella sorte che sarà proporzionato per loro.
      Per la muletta si è fatto provvisione di 3 migliala di paglia buonissima, e si è pagata sette lire e quattro crazie il migliaio; strame quest'anno non ce ne è stato, oltre che non sodisfa alla bestiolina.
      È un gran pezzo che avevo mandato il ragazzo a pigliar l'oriuolo, ma il Maestro non glie lo volse dare dicendo che voleva aspettare che V. S. tornasse; ieri mandai di nuovo a dirgli che lo rimandassi in ogni maniera, e disse che bisognava prima rivederlo, che tornassi un altro giorno, e così si farà, e se per sorte non lo dessi, ordinerò al ragazzo che stia con il signor Rondinelli.
      Signor Padre, vi fo sapere ch'io sono una Bufola, assai maggior di quelle che sono in costete maremme, perché vedendo che V. S. mi scrive di mandar sette uova di cotesto animale mi credevo che veramente fossino uova, e facevo disegno di far una grossa frittata, persuadendo che fussino grandissime, e ne avevo fatta allegrezza con Suor Luisa, la quale non ha avuto poco da ridere della mia goffaggine. Domattina, che sarà domenica, il ragazzo andrà a San Casciano a pigliar le bisacce, come V. S. ordina; intanto li rendo grazie per tutte le cose ch'ella dice di mandare.
      Quando V. S. tornerà qua, non ci ritroverà il signor Donato Gherardini rettore di Santa Margherita a Montici e fratello della nostra Suor Lisabetta, perché è morto due giorni sono, e ancora non si sa chi deva essergli il successore.
      Suor Polissena Vinta avrebbe desiderio di saper se in alcuni sollevamenti, ch'è fama che siano seguiti costà, v'interviene il signor cavalier Emilio Piccolomini, figlio del capitan Carlo che fu marito d'una nipote della medesima Suor Polissena; la quale, per poter maggiormente raccomandarlo al Signore, desidera di sapere da V. S. qualche verità, poiché molte cose che si dicono non si posson credere; né stimar che sieno altro che bugie e favole del vulgo.
      Procurai che le due lettere, che mi mandò incluse, fossero subito recapitate; altro non posso dirle se non che, quando ricevo sue lettere, subito lette torno a desiderare che giunga l'altro ordinario per averne dell'altre, e particolarmente adesso che aspetto qualche arrivo di Roma.
      La madre Badessa, il signor Rondinelli e tutte l'altre gli tornano duplicati saluti, e da Dio benedetto gli prego abbondanza di grazia celeste.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      108.

      A Siena

      San Matteo, 10 settembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Giovedì passato, e anco venerdì fino a notte, stetti con l'animo assai sospeso, vedendo che non comparivano sue lettere, non sapendo a che attribuirmi la causa di quel silenzio. Quando poi le ricevei, e che intesi che monsignor Arcivescovo era stato consapevole della mia goffaggine non potei non arrossire, se bene dall'altra banda ho caro d'aver dato a V. S. materia di ridere e rallegrarsi, ché per questo molte volte gli scrivo delle scioccherie.
      Ho consolata la madre Vinta con la sicura nuova che V. S. da del suo nipote, e quando ella intese il particolare soggiunto dal medesimo magnifico Signore circa l'aver della carità, si risentì gagliardamente dicendo, che non solamente il signor Emilio, ma l'istessa Elisabetta sua madre non la ricordano mai, e ch'ella crede ch'essi si persuadino che sia morta: eppure se sia bisognosa V. S. lo sa, stando ella quasi del continuo in letto malata.
      Ebbi le bisaccie con tutte le robe che V. S. scriveva di mandare: dell'uova bufaline ne ho fatto parte alle amiche e al signor Rondinelli; il zafferano è bonissimo e più che abbastanza per le pillole, per le quali ho corretto intorno a 4 o 5 once di aloé, che dovrà essere assai buono avendovi io tornato sopra sette volte il sugo di rosa. La prima volta che torno a scrivere, che procurerò che sia avanti martedì, li manderò della pasta che voglio far di nuovo oggi o domani, se il dolore di testa e di denti, che provo di presente, si mitigherà alquanto, che per questo lascio di scrivere, e seguo di tenerla raccomandata al Signore Iddio il quale sia quello che gli conceda vera consolazione.

      figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      109.

      A Siena

      San Matteo, 17 settembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Pensavo pure di fare una burla a V. S., facendole comparir costì il nostro Geppo all'improvviso; ma, per quanto intendo, il signor Geri m'averà prevenuto con avvisarglielo. Ho avuto questo desiderio da poi in qua ch'Ella si trova in Siena. Ier l'altro finalmente mi risolvei, e ieri per mia buona sorte andò un bando che contiene la libertà dei passi quasi per tutto lo Stato, che così m'avvisa il signor Rondinelli, dicendo che nella sua non ne dà parte a V. S., perché non s'era ancor pubblicato quando egli la scrisse. Credo ch'Ella vedrà volentieri il ragazzo, sì per aver sicure nuove di noi, come anche minuto ragguaglio della casa, e noi all'incontro averemo gusto particolare d'intendere il suo benessere da persona che l'averà veduta. Intanto V. S. potrà vedere se ha bisogno di qualcosa, cioè di biancherie o altro, e avvisarlo, perché averò comodità di mandarle sicure.
      Quanto alle botti, che è il principal capitolo della sua lettera al qual devo rispondere, avanti questa sera ne parlerò con Luca nostro lavoratore, e lo pregherò che vada a vederle e le procuri secondo che sarà di bisogno, perché in questo negozio egli mi par assai intendente.
      Il zafferano a Suor Luisa e a me ci par perfettissimo, e per conseguenza a buon mercato a due lire l'oncia, stante la sua bontà; e noi non l'aviamo mai avuto a così buona derrata, ma sì bene a 4 giuli e 50 soldi: il lino di 20 crazie la libbra è buono, ma non credo che metta conto a pigliarne a questo prezzo per far tele dozzinali per la casa; n'ho consegnato un mazzo alla Piera dicendole che lo fili sottile; vedremo come riuscirà: è ben stupendo quell'altro di 4 giuli, e qua ci sono delle monache che l'hanno pagato fino a mezzo scudo la libbra di questa sorte; se V. S. ce ne mandasse un altro poco, faremo una tela di soggoli molto bella.
      La signora Maria Tedaldi fu qui la settimana passata con la sua figliuola restata vedova, e mi disse che adesso più che mai desiderava il ritorno di V. S., ritrovandosi bisognosa del suo favore nell'occasione del rimaritar quella giovanetta, avendo la mira e il desiderio di darla ad un tale dei Talenti con il quale non ha altro miglior mezzo che quello di V, S., e se per lettera V. S. credesse di poterli dar qualche aiuto, ella lo desidererebbe; tanto m'impose ella ch'io dovessi dirli, e tanto le dico.
      Gli mando buona quantità di pillole di quelle dorate acciò gli possi donare, e quelle in rotelle per pigliarle per sé quando ne ha bisogno.
      Avrò caro di sapere se quelle poche paste che gli mando gli saranno gustate, non essendo riuscite a mia intiera sodisfazione, forse per il desiderio che io ho che le cose che fo per lei siano di tutta quella esquisitezza che sia possibile, il che mai mi riesce: i morselletti di cedro (che sono quelli che sono in fondo della scatola) per lo manco saranno troppo duri per lei, avendoli io fatti subito che V. S. venne a Siena, sperando di poterglieli mandar molto prima che adesso: gli raccomando la scatola perché non è mia.
      La nota delle spese che gli mando questa volta, importa più dell'altre; ma non si è potuto andar più ritirato. Almeno V. S. vedrà che Geppo ci fa onore con la sua buona cera, e ha penato assai a riaversi da quella malattia ch'ebbe. Le lire sette ch'ho appuntate di elemosina, le detti per amor della Madonna SS. la mattina della sua natività ad una persona che si trovava in gran necessità, con condizione che si facesse orazione particolare per V. S. S'ella se ne andrà alla villa, come spero, in compagnia di Monsignore, potrà con maggior facilità andar tollerando la lontananza dal suo caro tugurio, sì che di grazia procuri di star allegramente, e se gli par che il tempo sparisca, come in una sua mi scrive non è molto, spariranno anco presto presto questi giorni o settimane ch'ella deve ancora trattenersi costì, e maggiore sarà la sua e nostra allegrezza quando ci rivedremo. Gli raccomando il buon ricapito di queste lettere, che sono di monache nostre amiche, le quali insieme con la madre Badessa, Suor Arcangiola e Suor Luisa la salutano affettuosamente; e io prego Nostro Signore che gli conceda il compimento di ogni suo giusto desiderio.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      Mi ero scordata di dirgli che Suor Diamante desidererebbe di sapere se costì vi è della tela da pezzuole della sorte che è questa mostra: se ve ne fusse vorrebbe che V. S. gli facesse servizio di farne comprar una pezza, e avvisi il prezzo che subito ella sodisfarà: il prezzo ordinario suoi essere un giulio, 10 crazie, o più, secondo che è sottile; ma adesso in Firenze non ce n'è.


      110.

      A Siena

      San Matteo, 1 ottobre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Dovevo veramente subito dopo il ritorno di Giuseppe, che seguì ieri fece otto giorni a un'ora di notte, darne ragguaglio a V. S., non parendo verisimile che in tutti questi giorni io non abbia potuto rubar tanto tempo che bastasse a scriver quattro versi. Eppure è così la verità, perché, oltre alle occupazioni del mio offizio, che di presente son molte, Suor Luisa ha travagliato così fieramente con il suo solito mal di stomaco, che né per lei né per le assistenti ci è stato mai requie il giorno e la notte. E a me in particolare si conviene per debito il servirla senza intermissione alcuna. Adesso che per il suo miglioramento respiro alquanto, dò sodisfazione anco a V. S. dicendoli che Geppo e suo padre tornorno qui sani e salvi insieme con la muletta, la quale veramente ricevé torto nell'essere menata in così lungo viaggio; e io mi assicurai colla sicurtà che mi fecero quelli che più di me la praticano. Basta, ella sta bene.
      Ebbi gusto grandissimo nel sentir la nuova che mi portò il ragazzo del buon essere di V. S., dicendomi ch'ella aveva miglior cera che quando si partì di qua; il che io credo facilmente, perché giudico che le comodità, le cortesie e delizie che ha godute, prima in casa del signor Ambasciatore in Roma, e di presente gode costì da quell'illustrissimo monsignor Arcivescovo, siano state potenti a mitigar quasi del tutto l'amarezza di quei disgusti che ha passati, e per conseguenza non ne abbia sentito nocumento alcuno. E ora in particolare come mai potrà V. S. non benedir questa carcere, e stimar felicissima questa ritenzione? mediante la quale se gli porge occasione di goder tanto frequentemente e con tanta familiarità la conversazione di Prelato tanto insigne e signore tanto benigno? Il quale, non contento di esercitar nella persona di V. S. tutti quelli ossequi che si possono desiderar maggiori, per far un eccesso di cortesia e gentilezza, si è compiaciuto di favorir anco noi poverelle con affettuose parole e amorevolissime dimostrazioni, per le quali non dubito che V. S. gli abbia rese per nostra parte le dovute grazie: onde non replico altro, se non che avrei desiderio che V. S., facendole umilissima riverenza in nome nostro, l'assicuri che con l'orazioni procuriamo di renderci grate a tante grazie.
      Quanto al suo ritorno, se seguirà conforme alla sua speranza e al nostro desiderio, non seguirà se non in breve. Intanto li dico che le botti per il vino rosso sono accomodate, e quella in particolare ove stette il vino guasto è bisognato disfarla e ripulirla molto bene: per il vino bianco il S[igno]r Rondinelli ne ha vedute 3 che sono bonissime, una fra l'altre ve n'è, ove l'anno passato vi era il greco del quale se ne sono cavati non so se 4 o 5 fiaschi assai forti per quanto intendo; ed ancora ne resta al fondo acciò la botte non resti in secco; e dice il S[igno]r Rondinelli che basta dar a tutte una lavata avanti che vi si metta il vino, che nel resto sono eccellentissime.
      La madre Badessa la ringrazia infinitamente del zafferano e io degli altri regali, cioè lino, lepre e pan di Spagna, il quale è veramente cosa esquisita. Consegnai a Geppo la corona e i calcetti per la sua cugina.
      Il signor Giovanni Ronconi, il quale vien qui molto spesso per visitare cinque ammalate che aviamo tenute un pezzo e tutte con la febbre, mi disse l'altro giorno che non credeva ch'io avessi mai fatte a V. S. sue raccomandazioni, e io gli risposi che pur le avevo fatte, e così ho in fantasia che sia stato almeno una volta. È ben vero che sono stata balorda in non rendergliele mai da parte di V. S., onde la prego a farmi grazia di supplire a questo mio mancamento, a scrivergli due versi e mandarmeli, ché potrò io inviarglieli, giacché ho ogni giorno occasione di tenerlo ragguagliato di queste ammalate, e certo ch'egli non ci è mai stato una volta che non m'abbia domandato di V. S. e mostrato gran passione de' suoi travagli.
      Avrei voluto poter indovinare il bisogno di V. S. quanto ai danari, per averglieli potuti mandare; credo però che a quest'ora gli saranno pervenuti quelli che gli manda il signor Alessandro per quanto ho compreso da una lettera che V. S. gli scrive, e egli mi ha mandata in cambio di quella che anco a me si perveniva a questa settimana, che forse V. S. non mi ha mandata per vendicarsi che non ho scritto a lei; ma ha sentito la causa: ed ora gli dico addio e do la buona notte, della quale è appunto passata la metà.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      111.

      A Siena

      San Matteo, 3 ottobre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Sabbato scrissi a V. S., e domenica, per parte del signor Gherardini, mi fu resa la sua, per la quale sentendo la speranza che ha del suo ritorno, tutta mi consolo parendomi ogn'ora mill'anni che arrivi quel giorno tanto desiderato di rivederla; e il sentire ch'ella si ritrovi con buona salute accresce e non diminuisce questo desiderio di goder duplicato contento e sodisfazione, per vederla tornare in casa sua e di più con sanità.
      Non vorrei già che dubitasse di me, che per tempo nessuno io sia per lasciare di raccomandarla con tutto il mio spirito a Dio benedetto, perché questo m'è troppo a cuore, e troppo mi preme la sua salute spirituale e corporale. E per dargliene qualche contrassegno, gli dico che ho procurato e ottenuto grazia di veder la sua sentenza, la lettura della quale, se bene per una parte mi dette qualche travaglio, per l'altra ebbi caro d'averla veduta per aver trovato in essa materia di poter giovare a V. S. in qualche pocolino; il che è con l'addossarmi l'obbligo che ha ella di recitar una volta la settimana li sette salmi, ed è già un pezzo che cominciai a sodisfarlo e lo fo con molto mio gusto, prima perché mi persuado che l'orazione accompagnata da quel titolo d'obbedire a Santa Chiesa sia efficace, e poi per levare a V. S. questo pensiero. Così avess'io potuto supplire nel resto, ché molto volentieri mi sarei eletta una carcere assai più stretta di questa in che mi trovo, per liberarne lei Adesso siamo qui, e le tante grazie già ricevute ci danno speranza di riceverne delle altre, purché la nostra fede sia accompagnata dalle buone opere, che, come V. S. sa meglio di me, «fides sine operibus mortua est».
      La mia cara Suor Luisa continua di star male, e mediante i dolori e tiramento che ha dalla banda destra, dalla spalla fino al fianco, non può quasi mai stare in letto, ma se ne sta sopra una sedia giorno e notte: il medico mi disse l'ultima volta che fu a visitarla, che dubitava che ella avessi una piaga in un argnione, che se questo fossi il suo male saria incurabile; a me più d'ogni altra cosa mi duole il vederla penare senza potergli dare alcun aiuto, perché i rimedi non gli apportano giovamento.
      Ieri s'imbottorno li sei barili del vino dalle Rose, e ve n'è restato per riempier la botte. Il signor Rondinelli fu presente, siccome anco alla vendemmia dell'orto, e mi disse che il mosto bolliva gagliardamente sì che sperava che volesse riuscir buono, ma poco; non so già ancora quanto per l'appunto. Questo è quello che per ora così in fretta posso dirgli. La saluto affettuosamente per parte delle solite, e il Signore la prosperi.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      112.

      A Siena

      San Matteo, 8 ottobre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Il signor Rondinelli, che rivedete le botticelle di vino bianco, mi disse che ve n'erano tre bonissime come avvisai a V. S., e, interrogato da me della loro tenuta, mi replicò che questo non occorreva ch'io l'avvisassi, perché V. S. poteva a un dipresso saperlo: mi disse bene esservene dell'altre, ma che non si assicurava a dirmi che fossero di tutta bontà: questa settimana poi egli non è potuto venir qua su, onde né anco si è potuto far nuova diligenza; ma ne ho fatta io una che non credo che le spiacerà, ed è questa, che nella nostra volta sono 3 o 4 botti, una di 6, una di 5 e l'altra di quattro barili, le quali ogni anno si sogliono empier di verdea, ma perché quest'anno non se n'è fatta punta, le ho incaparrate per V. S. perché son sicura che son buone, con autorità di mandarle nella sua cantina acciocché quivi si possine empier quando ella manderà il vino e lasciarvelo fino che ella sia in persona a travasarlo a suo modo, o lasciarvelo tutto l'anno, se gli parrà: V. S. per tanto potrà rispondermi il suo pensiero. Il vino da San Miniato non è ancora comparso: di quello prestato se n'è riavuto intanto un barile da questi contadini, e si è messo nella botte ove stette quel guasto; la qual botte si è fatta prima accomodare; quello dell'orto non è ancora svinato: al fabbro il signor Rondinelli, pregato da me, ne passò una parola circa i 3 barili che deve renderne, e che riportò buone promesse.
      La ricevuta delle sei forme di cacio non la tacqui nel mio linguaggio che, per esser molto rozzo, V. S. non poteva intenderlo, poiché io ebbi intenzione di comprenderla, o per meglio dire ammetterla, nel ringraziamento che gli dicevo desiderare ch'ella facesse per nostra parte a monsignor Arcivescovo, dal quale V. S. mi scrisse che veniva il regalo. Similmente l'uova bufaline le veddi, ma, sentendo ch'erano porzione di Geppo e di suo padre, gliele lasciai, e non replicai altro.
      Ero anco adunque in obbligo di accusarle ricevuta del vino eccellentissimo che ne mandò Monsignore, del quale quasi tutte le monache assaggiarono, e Suor Giulia in particolare ha fatto con esso la sua parte di zuppa.
      La ringrazio anco della lettera che mi mandò per il signor Ronconi la quale, dopo d'averla letta con molto mio gusto, fermai e presentai in propria mano ier mattina, e fu ricevuta molto cortesemente.
      Ho caro di sentire il suo buono stato di sanità e quiete di mente, e che si trovi in occupazioni tanto proporzionate al gusto suo, quanto è lo scrivere: ma per amor di Dio non siano materie che abbiano a correr la fortuna delle passate, e già scritte.
      Desidero di sapere se V. S. goda tuttavia la conversazione di monsignor Arcivescovo, oppur s'egli se n'è andato alle ville, come mi disse Geppo che aveva inteso che doveva seguire; il che mi persuado che a lei saria stata non piccola mortificazione.
      Suor Luisa si trattiene in letto fra medici e medicine, ma i dolori sono alquanto mitigati con l'aiuto del Signor Iddio, il quale a V. S. conceda la sua santa grazia. Rendo le salutazioni in nome di tutte, e le dico a Dio.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.

      La Piera in questo punto mi ha detto che il vino dell'orto sarà un barile e 2 o 3 fiaschi, e che fa disegno di mescolarlo con quello che si è riavuto, perché da per sé è molto debole: quello di San Miniato si aspetta oggi, che così ha detto il servitore del Sig[no]r Niccolò [Cini] fino ierlaltro, ed io adesso l'intendo.


      113.

      A Siena

      San Matteo, 15 ottobre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Il vino da Samminiato non è ancor comparso, ed io lo scrissi tre giorni sono al signor Geri, il qual mi rispose che m'avrebbe procurato d'intender dal signor Aggiunti la causa di questa dilazione.
      Non ho per ancora saputo altro, perché questa settimana non ho avuta la comodità di mandar Geppo a Firenze, essendo egli stato, ed è ancora, a San Casciano da messer Giulio Ninci, il quale già sono molti giorni che si ritrova ammalato, e perché ha carestia di chi gli porga una pappa, mandò a ricercarmi lui e messer Alessandro che per qualche giorno io gli concedessi l'assistenza del ragazzo, al che non ho saputo disdire. Quando il signor canonico manderà a pigliar i danari, sodisfarò conforme all'ordine di V. S.
      Il signor Gherardini fu qui pochi giorni sono per visitar Suor Elisabetta sua parente, e fece chiamar ancor me per darmi nuove di V. S. Dimostra d'esser restato affezionato grandemente; e mi disse che dappoi in qua che ha parlato con lei è restato con l'animo quieto, dove che prima era tutto sospeso e irresoluto ne' suoi affari. Piaccia pur a Dio benedetto che il termine destinato al ritorno di V. S. non vada più in lungo di quello che speriamo, acciò Ella possa godere, oltre alle quiete della sua casa, la conversazione di questo giovane così compito.
      Ma intanto io godo infinitamente di sentir quanto monsignor Arcivescovo sia perseverante in amarla e favorirla. Né dubito punto ch'ella sia depennata, com'ella dice, «de libro viventium», non solo nella maggior parte del mondo, ma né anco nella medesima sua patria: anzi che mi par di sentir che s'ella fosse stata qualche poco ombreggiata o cancellata, adesso ella sia restata ristaurata e rinnovata, cosa che mi fa stupire, perché so che per un ordinario: «Nemo Propheta acceptus in patria sua» (non so se per voler slatinare dirò qualche barbarismo). E pure V. S. è anco qua amata e stimata più che mai.
      Di tutto sia lodato il Signor Iddio, dal quale principalmente derivano queste grazie; le quali riputando io mie proprie, non ho altro desiderio che l'esserne grata, acciocché sua divina Maestà resti servita di concederne delle altre a V. S. e a noi ancora, e sopra tutto la salute e beatitudine eterna. Suor Luisa se ne sta in letto con un poca di febbre, ma i dolori sono assai mitigati, e si spera che sia per restarne libera del tutto con l'aiuto de' buoni medicamenti, li quali, se non sono soavi al gusto come è il vino di costì, in simili occorrenze sono più utili e necessari. Subito che veddi le sei forme di cacio, ne destinai la metà per V. S., ma non glie lo scrissi perché desideravo di riuscire più a fatti che a parole: e veramente che è cosa esquisita, e io ne mangio un poco più del dovere.
      Mandai la lettera a Tordo per il nostro fattore, il quale intese dalla moglie che egli si ritrova all'ospedale a pigliar il legno, sicché non è maraviglia che non gli abbia mai dato risposta.
      Ho sempre avuto desiderio di saper come siano fatte le torte sanesi che tanto si lodano; adesso che s'avvicina l'Ognissanti V. S. averà comodità di farmele vedere, non dico gustare per non parer ghiotta: ha anche obbligo (perché me l'ha promesso) di mandarmi del refe di ruggine, con il quale vorrei cominciare qualche coserella per il ceppo di Galileino, il quale amo perché intendo dal sig. Geri, che, oltre al nome, ha anco dello spirito dell'avolo.
      Suor Polissena ebbe risposta della lettera, che, per mezzo di V. S., mandò alla signora sua nepote, e anco ebbe uno scudo, del quale va ringraziandola nell'inclusa: prega V. S. del buon recapito, e la saluta come fanno Madonna e l'altre solite.
      Il signor Rondinelli già sono quindici giorni che non si lascia rivedere, perché, per quanto intendo, egli affoga in un poco di vino che ha messo in due botticelli che versano e lo fanno tribolare.
      Ho detto alla Piera che faccia vangare nell'orto, acciò vi si possino seminare, o, per meglio dire, por le fave.
      Adesso è comparso qui un lavoratore del sig. Niccolò Cini il quale mi scrive quattro versi nella medesima lettera che V. S. scrive a lui avvisandomi la valuta del vino che sono lire 19 la somma e lire 2 per vettura, in tutto lire 59, e tante ne ho date. Avendo ancora scritto a Sua Signoria due versi per ringraziarlo.
      Altro per ora non mi occorre; anzi pur mi sovviene che desidero pur di sapere se il sig. Ronconi gli ha dato risposta, che se non l'ha data, voglio rimproverarglielo la prima volta che lo veggo. Il Signore Iddio sia sempre seco.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      114.

      A Siena

      San Matteo, 22 ottobre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Mercoledì passato fu qui un fratello del Priore di S. Firenze a portarmi la lettera di V. S. insieme con l'invoglietto del refe ruggine, il quale refe, rispetto alla qualità del filo che è grossetto, pare un po' caro; ma è ben vero che la tintura, per esser molto bella, fa che il prezzo di sei crazie la matassa sia comportabile.
      Suor Luisa se ne sta in letto con qualche poco di miglioramento, e oltre a lei aviamo qua parecchie altre ammalate, che se adesso ci fosse il sospetto della peste saremmo spedite. Una di queste è Suor Caterina Angela Anselmi che fu Badessa avanti a questa presente, monaca veramente veneranda e prudente, e, dopo Suor Luisa, la più cara e intrinseca amica che io avessi: questa sta assai grave, ier mattina si comunicò per viatico, e per quanto apparisce può durar pochi giorni; e similmente Suor Maria Silvia Boscoli, giovane di 22 anni, e perché V. S. se la rammemori, quella che si diceva essere la più bella che fossi stata in Firenze da 300 anni in qua: questa corre il sesto mese che sta in letto con febbre continua che adesso dicono i medici essere divenuta etica, e si è tanto consumata che non si riconosce; e con tutto ciò ha una vivacità e fierezza particolarmente nel parlare che dà stupore, mentre che d'ora in ora si sta dubitando che quel poco spirito (che par ridotto tutto nella lingua) si dilegui e s'abbandoni il già consumato corpo: è poi tanto svogliata che non si trova niente che gli gusti, o per dir meglio, che lo stomaco possa ricevere, eccetto un poco di minestra di brodo, ove siano bolliti sparagi salvatichi secchi, dei quali in questa stagione se ne trovano alcuni pochi con gran difficoltà, onde io andavo pensando se forse il brodo di starna, con quel poco di salvatico che ha, gli potesse gustare. E già che costì ve ne sono in abbondanza, come Vostra Signoria mi scrive, potrebbe mandarmene qualcuna per lei e per Suor Luisa, che, quanto al pervenirmi ben condizionate, non credo che ci fossi molta difficoltà, giacché la nostra Suor Maria Maddalena Squadrini ebbe a questi giorni alcuni tordi freschi e buoni che gli furono mandati da un suo fratello priore del Monastero degli Angeli, che è dei canonici regolari vicinissimo a Siena. Se V. S. potessi per mezzo nessuno far questo regalo, adesso che mi ha aguzzato l'appetito, mi sarebbe gratissimo.
      Questa volta mi conviene essere il corvo con tante male nuove, dovendo dirle che il giorno di S. Francesco morì Goro lavoratore dei Sertini, e ha lasciato una famigliuola assai sconcia, per quanto intesi dalla moglie che fu qui ieri mattina a pregarmi che io dovessi darne parte a V. S., e di più ricordargli la promessa che V. S. fece al medesimo Goro e alla Antonia sua figliuola, cioè di donargli una gamurra nera quando ella si maritava: adesso è alle strette, e domenica, che sarà domani, dice che si dirà in Chiesa; e perché ha consumati que' pochi danari che aveva in medicamenti e nel mortorio, dice ritrovarsi in gran necessità, e desiderar di sapere se V. S. può farle la carità: io gli ho detto che gli farò sapere quanto V. S. mi risponderà.
      Non saprei come darle dimostrazione del contento che provo nel sentir ch'ella si va tuttavia conservando con sanità, se non con dirle che più godo del suo bene che del mio proprio, non solamente perché l'amo quanto me medesima, ma perché vo considerando che se io mi trovassi oppressa da infermità, oppur fossi levata dal mondo poco o nulla importerebbe, perché a poco o nulla son buona, dove che nella persona di V. S. sarebbe tutto l'opposito per moltissime ragioni, ma in particolare (oltre che giova e può giovare a molti) perché, con il grande intelletto e sapere che li ha concesso il Signor Iddio, puù servirlo ed onorarlo infinitamente più di quello che non posso io, sì che con questa considerazione io vengo ad allegrarmi e goder del suo bene più che del mio proprio.
      Il Sig. Rondinelli si è lasciato rivedere adesso che le sue botti si sono quietate; rende i saluti a V. S. e similmente il sig. Ronconi.
      Assicuro V. S. che l'ozio non mi dà fastidio, ma più presto la fame cagionata, credo io, non tanto dal molto esercizio che fo, quanto da freddezza di stomaco che non ha il suo conto intieramente del dormire il suo bisogno, perché non ho tempo. Fo conto che l'oximele e le pillole papaline supplischino a questo difetto. Intanto gli ho detto questo per scusarmi di questa lettera che apparisce scritta molto a caso, essendomi riconvenuto lasciare e ripigliare la penna più di una volta avanti che io l'abbia condotta, e con questo li dico addio.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      Conforme a che V. S. mi impone nell'altra sua comparsami dopo che aveva scritto, scrivo alla signora Ambasciatrice. Non so se le tante occupazioni mi avranno tanto cavato dal seminato che io non abbia dato in nulla; V. S. vedrà e correggerà, e mi dica se gli manda anco il crocifisso di avorio.
      Spero pur che questa settimana V. S. averà qualche risoluzione circa la sua spedizione, e sto ardendo di desiderio di esserne partecipe ancora io.


      115.

      A Siena

      San Matteo, ultimo giorno di ottobre del 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Ho tardato a scriver questa settimana perché desideravo pur di mandar gli ortolani, dei quali finalmente non se ne trovano, e intendo che finirono quando cominciorno i tordi. Se pur io avessi saputo questo desiderio di V. S. alcune settimane indietro, quando andavo pensando e ripensando a quello che avessi potuto mandare che gli fossi grato; pazienza! Ella è stata sventurata negli ortolani, come io fui nelle starne, perché feci fino smarrir l'astore.
      Geppo tornò ieri da San Casciano, e portò le due scatole che V. S. mi ha mandate ben condizionate; e già che da lei ne fui fatta assoluta padrona, mi sono prevalsa di questo titolo, non mandandone altrimenti la metà alla cognata, ma sì bene ne ho mandate due torte e due biricuocoli al signor Geri, dicendogli che V. S. desiderava ne partecipasse anco la Sestilia: del restante ho avuto caro di farne parte al signor Rondinelli, il quale si dimostra in verso di noi tanto amorevole e cordiale, e anco a molte amiche; son cose veramente di gran bontà, ma anco di gran valore, che per questo non sarei così pronta un'altra volta a far simile domanda, alla quale la liberalità di V. S. ha corrisposto quadruplicatamente, e io centuplicatamente ne la ringrazio.
      Alla moglie di Goro ho fatto intendere il desiderio che V. S. ha di pareggiare con lei e farle la carità al suo ritorno; se poi essa tornerà a domandare, esseguirò quanto V. S. ordina, e il simile farò a Tordo.
      Il Ninci sta assai ragionevolmente di sanità e sodisfattissimo dell'assistenza del nostro Geppo. Suor Luisa comincia a sollevarsi alquanto dal letto; Suor Caterina Angela si morì; la giovane si va trattenendo, ma in cattivo stato.
      Il vino da San Miniato non è venuto, credo io per essere stato il tempo molto piovoso, che per questo non si sono ancora poste le fave nell'orto, ma si porranno il primo giorno che sia bei tempo; si è ben seminata lattuga e cavoli, e anco vi sono delle cipolle; i carciofi sono belli; dei limoni ve ne sono comodamente, ma pochi aranci.
      La muletta ha avuto un poco di scesa in un occhio, ma adesso sta bene, e similmente la Piera sua governatrice, la quale attende a filare e pregar Iddio che V. S. torni presto: è ben vero che non credo che lo faccia tanto di cuore quanto lo fo io. Se bene, mentre che sento che V. S. sta così bene, non so che mi dire se non che il Signore corrisponde alla gran fede ch'Ella ha nelle mie povere orazioni, o per meglio dire in un'orazione che fo continua col cuore, perché con la voce non ho tempo. Non gli mando pillole perché il desiderio mi fa sperare che V. S. deva in breve venire da per sé a pigliarle: starò a sentire la risoluzione che ella averà questa settimana. La commedia [nessuna traccia rimane di questa commedia di Galileo], venendo da Lei, non può essere se non bella; fino a qui non ho potuto leggere altro che il primo atto. Non mi manca materia da dire, ma sì bene il tempo; e per questo finisco, pregando Nostro Signore e la Madonna Santissima siano sempre in sua compagnia, e la saluto caramente in nome delle solite.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      116.

      A Siena

      San Matteo, 5 novembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Se V. S. potessi penetrar l'animo e il desiderio mio come penetra i Cieli, son sicura che non si lamenterebbe di me, come fa nell'ultima sua; perché vedrebbe e s'accerterebbe ch'io vorrei, se fosse possibile, ogni giorno ricever sue lettere e ogni giorno mandarne a Lei, stimando questa la maggior sodisfazione ch'io possa dare e ricevere da Lei, fino che piacerà a Dio che ci possiamo goder di presenza.
      Credo nondimeno che da quelle poche ch'io gli scrivo così acciarpate, V. S. possa comprender che sono scritte con molta strettezza di tempo, il quale sabato passato mi mancò affatto per poter mandarle il tributo debito; il che (sia detto con sua pace) ho caro che seguissi, perché in quelle sue lamentazioni scorgo un eccesso di affetto dal quale son mosse, e me ne glorio. Supplii nondimeno la vigilia d'Ognissanti mandando la lettera al signor Geri, la quale, perché credo che gli sarà pervenuta, non replico quanto ai quesiti che ella mi fa in questa ultima, se non quanto all'aver ricevuto il plico per messer Ippolito [Mariano, il Tordo], il quale V. S. non mi ha mandato altrimenti; e quanto a Geppo dicendole che egli, dopo che mi portò le scatole, non è tornato a San Casciano, perché il Ninci non aveva più bisogno di lui: tornerà ad ogni modo a rivederlo un giorno di questa prossima settimana. La buona fortuna ha corrisposto al mio buon desiderio facendomi trovar gli ortolani che V. S. desiderava, e in questo punto consegnerò la scatola, dentrovi della farina, al ragazzo, dandogli commissione che vada a pigliarli al serbatoio, ch'è in Boboli, da un uccellatore del Granduca che si chiama il Berna o il Bernino, dal quale gli ho per grazia a una lire il paio, ma per quanto mi dice il medesimo Geppo che ieri fu a vederli, sono bellissimi e a' poliaiuoli intendo che valgono fino in due giuli: il signor Rondinelli poi per sua grazia ne favorirà di accomodarli nella scatola, perché il ragazzo non avrebbe tempo da riportarli qui e poi riportarli un'altra volta in giù, ma li consegnerà ad un tratto al signor Geri. V. S. se li goda allegramente, e mi dica poi se saranno stati a sua sodisfazione: saranno 20 come ella desiderava.
      Son chiamata all'infermeria, onde non posso dir altro se non che la saluto di cuore insieme con le solite raccomandate, e in particolare di Suor Luisa la quale sta assai meglio, Dio lodato, il quale a V. S. conceda vera consolazione.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      117.

      A Siena

      San Matteo, 7 novembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Guccio oste, qua nostro vicino, viene in coteste bande per suoi negozi, e io con quest'occasione scrivo a V. S. questi pochi versi, dicendole che se nell'ultima ch'io gli scrissi, mi lodavo della fortuna che mi fece trovar gli ortolani, i quali allora mi pareva d'aver in pugno; adesso me ne lamento perché non volse che fossero il numero ch'io desideravo, siccome a questa ora V. S. averà veduto ed anche inteso dal signor Geri: la causa fu perché tra quelli che aveva il Berna non ne furono dei buoni altro che quelli di quegli 11 ; e poi che Geppo aveva fatto l'errore di pigliar questi pochi, dopo aver io fatto cercare degli altri qui in paese e in Firenze, mi risolvei a mandarli, inanimita dal guardaroba qui del Poggio Imperiale, il quale disse che erano gran presenti di questo tempo che non se ne trovano; basta: V. S. accetterà se non altro la mia buona volontà.
      Messer Ippolito mandò per li 4 scudi, e glie li mandai subito.
      Il vino di San Miniato non comparisce. L'orto non si può ancora lavorare, perché è troppo molle. Il ragazzo è andato oggi a rivedere il Ninci.
      Suor Luisa sta meglio, ma non bene affatto; saluta caramente V. S., e il simile fanno Suor Arcangela, Madonna, Suor Cammilla e il suo babbo, il quale è un pezzo che non s'è lasciato vedere mediante il cattivo tempo, ma scrive spesso. Nostro Signore la conservi.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      118.

      A Siena

      San Matteo, 12 novembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Con l'occasione che mi si porge della venuta costì del lavoratore di messer Santi Bindi, scrivo di nuovo a V. S. dicendole in prima che mi maraviglio ch'ella in quest'ultima non tratti di aver avute lettere di Roma, né risoluzione circa il suo ritorno, il quale pur si sperava quest'Ognisanti, per quanto mi disse il signor Gherardini. Desidero che V. S. mi dica come veramente passa questo negozio per quietar l'animo, e anco sopra che materia sta scrivendo di presente: se però è cosa ch'io possa intenderla, e non abbia sospetto ch'io cicali.
      Tordo ha avuto li 4 scudi, come gli scrissi giovedì passato, e li signori Bini mi hanno mandato a domandare per Domenico lavoratore i danari del fitto della casa: ho risposto che si darà sodisfazione subito che V. S. ne sarà consapevole e me ne darà l'ordine.
      Nell'orto non s'è potuto lavorar altro che una mezza giornata fino a qui, mediante il tempo che va tanto contrario, il quale credo che sia buona causa che V. S. travagli tanto con le sue doglie.
      Le due libbre di lino che mandò per Geppo mi paiono del medesimo di quello che vale 20 crazie, il quale riesce buono, ma secondo il prezzo credo che potrebbe esser migliore; quella libbra sola di quattro giuli è finissimo e non è caro.
      Messer Giulio Ninci sta bene affatto, per quanto intendo da Geppo, e ci ha mandate delle amorevolezze: e particolarmente Messer Alessandro suo cugino mi mandò un cedro, del quale ne ho fatti questi 10 morselletti che gli mando, che per esser un poco aromatici saranno buoni, se non per il gusto, per lo stomaco. V. S. potrà assaggiarli, e, se li giudica a proposito, presentarli a Monsignor illustrissimo insieme con la Rosa. Il pinocchiato con quei due pezzi di cotognato gli ho avuti dalla mia signora Ortensia, alla quale in contraccambio mandai una di quelle torte che mi mandò V. S.
      Non mando pillole perché non ho avuto tempo a riformarle, oltre che non sento che gli bisognino.
      Al ritorno del latore di questa sarà conveniente che io gli usi amorevolezza avendolo richiesto; avrò caro che V. S. mi avvisi quel che potrò dargli per sodisfarlo e non soprapagarlo: già egli vien costì principalmente per servizio suo proprio.
      Finisco con far le solite raccomandazioni, e dal Signore Iddio prego vero contento.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      La pioggia continua non ha concesso a Giovanni (che così si chiama il latore di questa) ch'egli possa partire questa mattina ch'è domenica, e a me lascia campo per cicalar un altro poco, e dirgli come poco fa mi sono cavata un dente mascellare grande grande, ch'era guasto e mi dava gran fastidio; ma peggio è che n'ho degli altri che fra poco faranno il simile. Dal signor Rondinelli intendo che i due figliuolini di Vincenzio Landucci, di presente, hanno buon governo da una donna che gli ha tolti in casa a questo effetto, da poco in qua: lui è stato male di febbre, ma va migliorando. Desidero sapere come Vincenzio nostro scrive spesso a V. S.
      Per rispondere a quel particolare ch'Ella mi dice, che le occupazioni sono tanto salutifere, io veramente per tali le riconosco in me medesima: che se bene talvolta mi paiono superflue e incomportabili, per esser io amica della quiete, con tutto ciò a mente salda veggo chiaramente questo esser la mia salute, e che particolarmente nel tempo che V. S. è stata lontana da noi, con gran providenza ha permesso il Signore ch'io non abbia mai si può dire un'ora di quiete, il che m'ha impedito il soverchio affliggermi. Il che a me sarebbe stato nocivo, e a Lei di disturbo e non di sollevamento. Benedetto sia il Signore, dal quale spero nuove grazie per l'avvenire, sì come tante ce ne ha concesse per il passato. Intanto V. S. procuri di star allegra e confidare iti Lui ch'è fedele, giusto e misericordioso, e con esso la lascio.


      119.

      A Siena

      San Matteo, 18 novembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Ho ricevuta la sua gratissima insieme con li quattro biricuocoli, quali ho consegnati alla Piera acciò li dispensi alle vicine. Mi son grandemente rallegrata di sentir che V. S. esca fuori della città a pigliar aria, perché so quanto gli sia utile e dilettevole. Piaccia pur a Dio ch'Ella possi venirsene presto a goder la sua casetta, per il fitto della quale ho mandato stamani ai Padroni li scudi 17 e 1/2, perché facevano instanza d'averli, e a V. S. mando la nota delle spese fatte per la medesima casa, dicendole ancora come il fabbro ha reso li 3 barili di vino che ci doveva: è di quello del Navicello ed è buono abbastanza per la servitù; sicché adesso si è riavuto tutto quello che si era dato, e per dir meglio prestato.
      La verdea non è ancora in perfezione, ma quando sarà procurerò di averne della esquisita, e quest'uomo ci farà servizio di portarla. Volevo mandargli delle melarance dell'orto, ma dalla mostra che me ne ha portata la Piera ho veduto che non sono tanto fatte. Se la buona sorte faceva che V. S. trovassi almeno una starna o cosa simile, l'avrei avuto carissimo per amor di quella poverella giovane ammalata, la quale non appetisce altro che a qualche selvaggiume: nel plenilunio passato stette tanto male che se li dette l'olio santo, ma adesso è ritornata tanto che si crede ch'arriverà alla nuova luna. Discorre con una vivacità grande, e piglia il cibo con agevolezza purché siano cose gustose. Ier notte stetti da lei tutta la notte, e mentre li davo da mangiare, mi disse: «Non credo già che quando si è in termine di morire si mangi come fo io, con tutto ciò non mi curo di tornare in dietro; ma sia pur fatta la volontà di Dio.» Il quale io prego che a V. S. conceda la sua santa grazia, e la saluto in nome delle solite.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      120.

      [?]

      San Matteo, 23 novembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Sabato sera mi fu resa l'ultima di V. S. insieme con una della signora Ambasciatrice di Roma, piena di affettuosi ringraziamenti del cristallo, e di condoglianza mediante la privazione che per ancora V. S. ha di potersene venire a casa sua. E veramente ch'Ella dimostra d'esser quella gentilissima signora che V. S. più volte mi ha dipinta. Non mando la lettera perché sto in forse se devo riscrivergli, ma prima aspetterò di sentir che risposta abbia V. S. di Roma.
      Non lascio di far diligenza per trovar le pere che V. S. desidera, e credo che farò qualcosa. Ma perché intendo che quest'anno le frutte non durano, non so se sarà meglio che, quando io le abbia, le mandi e non aspetti il suo ritorno, che potrebbe indugiar qualche settimana a seguire, o almeno il desiderio me ne fa temere.
      Il signor Geri ci ha fatto parte di tutte le frutte dell'orto, delle quali ve ne sono state poche e poco buone, per quanto ho inteso da Geppo che andava a corle; e particolarmente delle melagrane la maggior parte è stata la nostra; ma, come li dico, stentate e poche.
      Domenica prossima cominciamo l'Avvento, onde se V. S. ci manderà i biricuocoli ci saranno grati per far colazione la sera, ma basteranno di quelli più dozzinali, come quelli che mandò alle vicine, le quali dice la Piera che insieme con lei ringraziano V. S. e se li raccomandano; ed il simile facciamo noi tutte pregando Nostro Signore che la feliciti.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.

      V. S. volti carta.

      Mercoledì sera vicino alle 24 ore, dopo che avevo scritto la prossima faccia, comparve qui Giovanni e mi recò le lettere di V. S. Al signor Geri non fu possibile di mandarle prima che la mattina seguente, come feci di buon'ora. Ebbi ancora il paniere entro 12 tordi: gli altri 4, che avrebbero compito il numero che V. S. mi scrive, bisogna che qualche graziosa gattina se gli sia tolti per assaggiarli avanti a noi, perché non v'erano, e il panno che li copriva aveva una gran buca. Manco male che le starne e le accieggie erano nel fondo, delle quali una e due tordi donai all'ammalata che ne fece grande allegrezza, e ringrazia V. S. Un'altra, e medesimamente due tordi, ho mandati al signor Rondinelli, e il restante ci siamo godute insieme con le amiche.
      E ho avuto gran gusto di scompartire il tutto fra molte persone, perché cose buscate con tanta diligenza e fatica è stato bene che siano partecipate da parecchi, e perché i tordi arrivarono assai stracchi, è bisognato cuocerli in guazzetto, e io tutto il giorno sono stata lor dietro, sì che per una volta mi son data alla gola davvero.
      La nuova che V. S. mi dà della venuta di quelle Signore mi è stata tanto grata, che, dopo quella del ritorno di V. S., sto per dir che non potrei aver la migliore; perché essendo io tanto affezionata a quella, con la quale abbiamo tanto obbligo, desidero sommamente di conoscerla di vista. È ben vero che alquanto mi disturba il sentir ch'esse m'abbiano in tanto buon concetto, essendo sicura che non riuscirò in voce quale mi dimostro per lettera. E V. S. sa che nel cicalare, o per dir meglio, nel discorrere io non sono da nulla; ma non mi curo per questo di scapitar qualche poco appresso di persone tanto benigne che mi compatiranno, purché io contragga servitù con la mia cara signora. Andrò intanto pensando a qualche regalo da povera monaca.
      Avrò caro che V. S. vegga di farmi aver i cedrati, perché io non saprei dove gli buscare, e mi sovviene che il signor Aggiunti gliene mandò parecchi bellissimi l'anno passato, sì che V. S. potrà tentare anco adesso, e io poi mi metterò a bottega a far i morselletti, con mio grandissimo gusto d'impiegarmi in questo poco per servizio di Monsignor illustrissimo, e mi pregio grandemente di sentir che questi siano anteposti da Sua Signoria a tutte l'altre confetture. Saluto di nuovo V. S. e li prego felicità.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      121.

      A Siena

      San Matteo, 26 novembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Giovedì passato scrissi a V. S. lungamente, e ora scrivo di nuovo solo per dirli che ieri venne dieci barili di vino da San Miniato al Todesco. Intendo dalla Piera che ci fu a venderlo imbottare il servitore del signor Aggiunti; ed anco che lo pagò, ma ella non sa dirmi quanto per appunto: se ne è piena una botte interamente, e credo che sia di 6 barili: l'altra di 5 e mezzo, perché non resti così scema, ho detto che si finisca di empiere con di quello che bevono di presente che è ragionevole, ma prima che ne cavino parecchi fiaschi avanti che sia mescolato per riempier l'altra di 6 barili. E anco noi ne piglieremo qualcuno, perché è vino leggieri, e mi par buono per l'estate per V. S.; a me piace anco di questo tempo: la botte che non è mescolata si contrassegnerà per lasciarla stare, e l'altra potrà servire per la servitù. Questo per ora mi occorre dirgli: finisco con le solite raccomandazioni, e prego Nostro Signore che la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. Mar. Celeste.


      122.

      A Siena

      San Matteo, 3 dicembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Ho ancor io conosciuta la dappocaggine del mio ambasciator Giovanni; ma il desiderio ch'avevo di mandar a vedere V. S., è stata causa che non ho guardato a nulla; tanto più che il favore di potermi servir di lui l'ho ricevuto dalle madri Squarcialupi, le quali adesso son tutte mie; e tanto basti. Tordo mandò ieri per li 4 scudi e gli ebbe.
      La madre Achillea manda il mottetto. È ben vero che in contracambio desidererebbe qualche sinfonia o qualche ricercata per l'organo; il quale gli ricorda che negli alti non serve, perché gli manca non so che registro, sì che le sonate per farvi sopra vorrebbono più presto andar ne' bassi.
      Mi giova di sperare, e anco creder fermamente, che il signor Ambasciatore, quando partirà di Roma, sia per portar a V. S. la nuova della sua spedizione, e anco di condurla qua in sua compagnia. Io non credo di viver tanto ch'io giunga a quell'ora. Piaccia pure al Signore di farci questa grazia, s'è per il meglio.
      Con che a V. S. mi raccomando con tutto l'affetto insieme con le solite.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      123.

      A Siena

      San Matteo, 9 dicembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Il signor Francesco Lupi, cognato della nostra Suor Maria Vincenzia, passando di costì per andarsene a Roma sua patria, si è offerto di portare a V. S. lettere o altro ch'io volessi mandare; onde io, accettando la cortesia, gli mando una scatola dentrovi 13 morselletti, che tanti e non più ne sono riusciti delli 6 cedrati che mi mandò il signor Rinuccini, perché furono piccoli e tutti da una banda magagnati: di bontà credo che saranno eccellenti, ma quanto alla vista potrebbono esser più belli, perché, mediante il tempo tanto umido, mi è bisognato asciugarli al fuoco. Mando anco una rosa di zucchero acciò che V. S. vegga se gli piacessero alcuni fiori di questa sorte per adornare il bacino che faremo in occasione di quelle nozze che V. S. sa, ma fiori più gentili e piccoli assai più di questa.
      Ebbi da maestro Agostino la scatola con li 6 biricuocoli, e la ringrazio insieme con quelle che ne hanno partecipato, che sono le solite amiche.
      Intendo che in Firenze è voce comune che V. S. sarà qua presto; ma fino a che io non l'intendo da lei medesima, non credo altro se non che gli amici suoi cari dichino quel tanto che l'affetto e il desiderio gli detta. Io intanto godo grandemente sentendo che V. S. abbia così buona ciera, quanto mi disse maestro Agostino che mi affermò non averla mai più veduta colla migliore. Tutto si può riconoscere, dopo l'aiuto di Dio benedetto, da quella dolcissima conversazione ch'ella continuamente gode di quell'illustrissimo Monsignor Arcivescovo, e dal non si strapazzare né disordinare com'ella fa qualche volta quando è in casa sua. Il Signor Iddio sia sempre ringraziato, il quale sia quello che la conservi in Sua grazia.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      124.

      A Siena

      San Matteo, 10 dicembre 1633


      Amatissimo Signor Padre.
      Appunto quando mi comparve la nuova della spedizione di V. S. avevo preso in mano la penna per scrivere alla signora Ambasciatrice per raccomandarle questo negozio; li quale vedendo andar in lungo, temevo che non fossi spedito anco quest'anno, sì che l'allegrezza è stata tanto maggiore quanto più inaspettata: né siamo sole a rallegrarci, ma tutte queste monache, per loro grazia, danno segni di vera allegrezza, sì come molte hanno compatito ai miei travagli.
      La stiamo aspettando con gran desiderio, e ci rallegriamo in vedere il tempo tanto tranquillo.
      Il signor Geri partiva stamani con la Corte, e io a buon'ora l'ho fatto avvisato del quando V. S. torna qua; ché quanto alla spedizione egli la sapeva, e me ne aveva dato parte ier sera.
      Gli ho anco detto la causa per la quale V. S. non gli ha scritto, e lamentatami perché egli non potrà ritrovarsi qua all'arrivo di V. S. per compimento delle nostre allegrezze, essendo veramente persona molto compita e di garbo.
      Serbo la canovetta della verdea, che il S[igno]r Francesco non poté portare per aver la lettiga troppo carica. V. S. potrà mandarla nella lettiga che sarà di ritorno: i morselletti già gli avevo consegnati. Le botti per il vino bianco sono all'ordine.
      Altro non posso dire per carestia di tempo, se non che a lei ci raccomandiamo affettuosamente.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      Suor Maria Celeste muore il 2 aprile 1634.