BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Caterina da Siena

1347 - 1380

 

Libro della divina dottrina

volgarmente detto

Dialogo della divina provvidenza

 

1375

 

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TRACTATO DE LA DISCREZIONE

 

Capitolo IX

 

Qui comincia el tractato de la discrezione.

E prima, come l'affecto non si die ponere principalmente

ne la penitenzia ma ne le virtú.

E come la discrezione riceve vita da l'umilitá,

e come rende ad ciascuno el debito suo.

 

Queste sonno le sancte e dolci operazioni che io richieggio da' servi miei: ciò sonno queste virtú intrinseche de l'anima, provate come detto ho; non solamente quelle virtú che si fanno con lo strumento del corpo, cioè con acto di fuore o con diverse e varie penitenzie, le quali sonno strumento di virtú, ma non virtú. Ché se solo fusse questo, senza le virtú di sopra contiate, poco sarebbe piacevole a me: anco, spesse volte, se l'anima non facesse la penitenzia sua discretamente, cioè che l'affecto suo fusse principalmente posto nella penitenzia cominciata, impedirebbe la sua perfeczione. Ma debbalo ponere ne l'affecto de l'amore, con odio sancto di sé, e con vera umilitá e perfecta pazienzia, e ne l'altre virtú intrinseche de l'anima, con fame e desiderio del mio onore e salute de l'anime. Le quali virtú dimostrano che la volontá sia morta, e continuamente s'uccide sensualmente per affecto d'amore di virtú.

Con questa discrezione debba fare la penitenzia sua: cioè di pònare il principale affecto nelle virtú piú che nella penitenzia. La penitenzia die fare come strumento per augmentare la virtú, secondo che è bisogno e che si vede di potere fare secondo la misura della sua possibilitá. In altro modo, cioè facendo il fondamento sopra la penitenzia, impedirebbe la sua perfeczione, perché non sarebbe facta con lume di cognoscimento di sé e della mia bontá discretamente. E non pigliarebbe la veritá mia, ma indiscretamente farebbe, non amando quello [22] che Io piú amo e odiando quello che Io piú odio. Ché «discrezione» non è altro che uno vero cognoscimento che l'anima debba avere di sé e di me; in questo cognoscimento tiene le sue radici.

Ella è uno figliuolo che è innestato e unito con la caritá. È vero che ha molti figliuoli, sí come uno arbore che abbi molti rami; ma quello che dá vita a l'arbore e a' rami è la radice se ella è piantata nella terra de l'umilitá (la quale è balia e nutrice della caritá), dove egli sta innestato questo figliuolo e arbore della discrezione. Ché altrementi non sarebbe virtú di discrezione e non producerebbe fructo di vita, se ella non fusse piantata nella virtú de l'umilitá, perché l'umilitá procede dal cognoscimento che l'anima ha di sé. E giá ti dixi che la radice della discrezione era uno vero cognoscimento di sé e della mia bontá; unde subbito rende a ogniuno discretamente il debito suo.

E principalmente il rende a me, rendendo gloria e loda al nome mio; e retribuisce a me le grazie e i doni che vede e cognosce avere ricevuti da me. E a sé rende quello che si vede avere meritato, cognoscendo sé non essere; e l'essere suo, el quale ha, cognosce avere avuto per grazia da me; e ogni altra grazia, che ha ricevuta sopra l'essere, la retribuisce a me e non a sé. Parle essere ingrata a tanti benefizi e negligente in non avere exercitato il tempo e le grazie ricevute, e però le pare essere degna delle pene. Alora si rende odio e dispiacimento nelle colpe sue.

E questo fa la virtú della discrezione, fondata nel cognoscimento di sé con vera umilitá. Ché se questa umilitá non fusse ne l'anima (come decto è), sarebbe indiscreta e non discreta. La quale indiscrezione sarebbe posta nella superbia, come la discrezione è posta ne l'umilitá. E però indiscretamente, sí come ladro, furarebbe l'onore a me e darebbelo a sé per propria reputazione; e quello che è suo porrebbe a me, lagnandosi e mormorando de' misteri miei e' quali Io adoperasse in lui o ne l'altre mie creature; d'ogni cosa si scandelizzarebbe in me e nel proximo suo. [23]

El contrario che fanno coloro che hanno la virtú della discrezione: che, poi che hanno renduto il debito che detto è a me e a loro, rendono poi al proximo il principale debito de l'affecto della caritá e de l'umile e continua orazione. El quale debba rendere ciascuno l'uno a l'altro; e rendeli debito di doctrina, di sancta e onesta vita per exemplo, consigliandolo e aitandolo secondo che gli è di bisogno a la salute sua, come di sopra ti dixi.

In ogni stato che l'uomo è, o signore o prelato o subdito, se egli ha questa virtú, ogni cosa che fa e rende al proximo suo fa discretamente e con affecto di caritá, perché elle sonno legate e innestate insieme e piantate nella terra della vera umilitá, la quale esce del cognoscimento di sé.