BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Silvio Pellico

1789 - 1854

 

Le mie prigioni

 

1832

 

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[122]

Capo XXXVII.

 

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GUARDAI que' due brani, e meditai un istante sull'incostanza delle cose umane e sulla falsità delle loro apparenze. – Poc'anzi tanta brama di questa lettera, ed ora la straccio per isdegno! Poc'anzi tanto presentimento di futura amicizia con questo compagno di sventura, tanta persuasione di mutuo conforto, tanta disposizione a mostrarmi con lui affettuosissimo, ed ora lo chiamo insolente! –

Stesi i due brani un sull'altro, e collocato di nuovo come prima l'indice e il pollice di una mano, e l'indice e il pollice dell'altra, tornai ad alzare la sinistra ed a tirar giù rapidamente la destra.

Era per replicare la stessa operazione, ma uno dei quarti mi cadde di mano; mi chinai per prenderlo, e nel breve spazio di tempo del chinarmi e del rialzarmi, mutai proposito e m'invogliai di rileggere quella superba scritta.

Siedo, fo combaciare i quattro pezzi sulla [123] Bibbia e rileggo. Li lascio in quello stato, passeggio, rileggo ancora ed intanto penso:

– S'io non gli rispondo, ei giudicherà ch'io sia annichilato di confu­sione, ch'io non osi ricomparire al cospetto di tanto Ercole. Rispon­diamogli, facciamogli vedere che non temiamo il confronto delle dottrine. Dimostriamogli con buona maniera non esservi alcuna viltà nel maturare i consigli, nell'ondeggiare quando si tratta d'una risoluzione alquanto pericolosa, e più pericolosa per altri che per noi. Impari che il vero coraggio non istà nel ridersi della coscienza, che la vera dignità non istà nell'orgoglio. Spieghiamogli la ragionevolezza del Cristianesimo e l'insussistenza dell'incredulità. – E finalmente se codesto Giuliano si manifesta d'opinioni così opposte alle mie, se non mi risparmia pungenti sarcasmi, se degna così poco di cattivarmi, non è ciò prova almeno ch'ei non è una spia? – Se non che non potrebb'egli essere un raffinamento d'arte, quel menar ruvidamente la frusta addosso al mio amor proprio? – Eppur no; non posso crederlo. Sono un maligno che, perché mi sento offeso da quei temerarii scherzi, vorrei persuadermi che chi li scagliò non può [124] essere che il più abbietto degli uomini. Malignità volgare, che condannai mille volte in altri, via dal mio cuore! No, Giuliano è quel che è, e non più, è un insolente, e non una spia. – Ed ho io veramente il diritto di dare l'odioso nome d'insolenza a ciò ch'egli reputa sincerità? – Ecco la tua umiltà, o ipocrita! Basta che uno, per errore di mente, sostenga opinioni false e derida la tua fede, subito t'arroghi di vilipenderlo. – Dio sa se questa umiltà rabbiosa e questo zelo malevolo, nel petto di me cristiano, non è peggiore dell'audace sincerità di quell'incredulo! – Forse non gli manca se non un raggio della grazia, perchè quel suo energico amore del vero si muti in religione più solida della mia. – Non farei io meglio di pregare per lui, che d'adirarmi e di suppormi migliore? – Chi sa, che mentre io stracciava furentemente la sua lettera, ei non rileggesse con dolce amorevolezza la mia, e si fidasse tanto della mia bontà, da credermi incapace d'offendermi delle sue schiette parole? – Qual sarebbe il più iniquo dei due, uno che ama e dice: «Non sono cristiano», ovvero uno che dice: «Son cristiano» e non ama? – È cosa difficile conoscere un [125] uomo, dopo avere vissuto con lui lunghi anni; ed io vorrei giudicare costui da una lettera? Fra tante possibilità, non havvi egli quella che, senza confessarlo a sè medesimo, ei non sia punto tranquillo del suo ateismo, e che indi mi stuzzichi a combatterlo, colla secreta speranza di dover cedere? Oh fosse pure! Oh gran Dio, in mano di cui tutti gli stromenti più indegni possono essere efficaci, sceglimi, sceglimi a quest'opera! Detta a me tai potenti e sante ragioni che convincano quell'infelice! che lo traggano a benedirti e ad imparare che, lungi da te, non v'è virtù la quale non sia contraddizione!