BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Michelangelo Buonarroti

1475 - 1564

 

Lettere

 

Lettere alla famiglia

 

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[147]

A Giovan Simone suo fratello

(dal 1507 al 1546)

 

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Archivio Buonarroti.  Di Bologna, 20 d'aprile (1507).

 

CXXIV.

A Giovan Simone di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.

 

Giovan Simone. – Io non ò fatto risposta a una tua, ricievuta già più giorni sono, per non avere avuto tempo. Ora t'aviso per questa, come la cosa mia 152) di qua va bene infino a ora, e così spero àrà buon fine; che a Dio piaccia: e quando così sia, ciò è che io esca a bene di questa cosa, io verrò súbito, overo tornerò di costà, e farò tanto, quanto ò promesso di fare a tutti voi, ciò è d'aiutarvi con quello che io ò, in quel modo che voi vorrete e che vorrà nostro padre. Però sta' di buona voglia e attendi a bottega, come o quanto puoi, perchè spero presto farete bottega da voi e del vostro: e se intenderete dell'arte e saperrete fare, vi gioverà assai. Però attendi con amore.

Tu mi scrivi d'un certo medico tuo amico, il quale t'à ditto che la morìa è un cattivo male e che e' se ne muore. Ò caro averlo inteso, perchè qua n'è assai, e non si sono acorti ancora questi bologniesi che e' se ne muoia. Però sarebe buono e' venissi di qua, che forse lo darebe loro ad intendere colla sperienza: la qual cosa a loro gioverebbe assai. Non ò da dirti altro. Io sono sano e sto bene, e spero presto essere di costà. A dì venti d'aprile.

Non avevo più carta.

Michelagniolo in Bolognia. [148]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Bologna, 28 d'aprile (1507).

 

CXXV.

A Giovan Simone di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.

Data in bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.

 

Giovan Simone. – Io risposi a una tua lettera già più giorni sono. Credo l'abi avuta e inteso l'animo mio: e se non l'avessi avuta, per questa intenderai quel medesimo che per quella ti scrivevo.

Io credo che Buonarroto t'abbi raguagliato qual sia l'animo mio, e così è certo; e súbito che io sarò costà, sé a Dio piace, io sono per farvi fare o da voi o a compagnia, come vorrete voi, in quel modo che più sicuro ci parrà. Però sta di buona voglia e credi afermativo quello che io ti dico. Non ò tempo da scrivere; però scriverrò più pienamente un'altra volta. Io sto bene, e ò finita la mia figura di cera: di questa settimana che viene comincerò a fare la forma di sopra, e credo che in venti o venticinque dì la sarà fatta: dipoi darò ordine da gittarla, e se vien bene, in fra poco tempo sarò costà.

A dì ventiotto d'aprile.

Michelagniolo in Bolognia. [149]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Bologna, 2 di maggio (1507).

 

CXXVI.

A Giovan Simone di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.

Data nella bottega di Lorenzo Strozzi, Arte di lana, in Porta Rossa. Firenze.

 

Giovan Simone. – Io ebbi più giorni fa una tua lettera, della quale ebi piacere assai. Dipoi t'ò scritto dua lettere: e per la buona fortuna che io soglio avere nell'altre, similmente la credo avere avuta ancora in queste, ciò è che tu non l'abbi avute.

Io t'aviso come e' non passeranno dua mesi che io sarò costà: che a Dio piaccia; e quello che io v'ò promesso a Buonarroto e a te, quello son disposto di fare. Io non ti scrivo particularmente l'animo mio, nè quanto è il mio desiderio d'aiutarvi; perchè non voglio che altri sappi e' fatti nostri: ma sta' di buona voglia, perchè gli è aparechiata per te maggiore, overo miglior cosa che tu non pensi. Non ò da dirti altro intorno a questo. Sappi come qua s'afoga nelle coraze, e è già con oggi quatro giorni, che la terra è istata tutta in arme e in gran romore e pericolo, e massimo per la parte della Chiesa; e questo è stato per conto de' fuoriusciti, 153) cioè de' Bentivogli, e' quali ànno fatto pruova di rientrare con gran moltitudine di giente; ma l'animo grande e la prudenzia della signoria del Legato, col suo gran provedimento che à fatto, credo che a questa ora abbi liberata da loro un'altra volta la Terra; perchè a ventitrè ore stasera c'è nuove del campo loro, che e' si tornavono adietro con poco loro onore. Non altro. Priega Idio per me, e vivi lieto, perchè tosto sarò di costà.

A dì dua di maggio.

Michelagniolo in Bolognia. [150]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (di luglio 1508). 154)

 

CXXVII.

A Giovan Simone di Lodovico Buonarroti in Firenze.

 

Giovan Simone. – E' si dice che chi fa bene al buono, el fa diventare migliore, e al tristo, diventa peggiore. Io ò provato già più anni sono con buone parole e con fatti di ridurti al viver bene e in pace con tuo padre e con noi altri: e tu pèggiori tuttavia. Io non ti dico che tu sia tristo; ma tu se'i' modo, che tu non mi piaci più nè a me nè agli altri. Io ti potrei fare un lungo discorso intorno a' casi tua, ma le sarebon parole, come l'altre che t'ò già fatte. Io per abreviare, ti so dire per cosa cierta, che tu non ài nulla al mondo, e le spese e la tornata di casa ti do io e òtti dato da qualche tempo in qua per l'amor de Dio, credendo che tu fussi mio fratello, come gli altri. Ora io son certo che tu non se' mio fratello; perchè se tu fussi, tu non minacceresti mio padre; anzi se' una bestia: e io come bestia ti tratterò. Sappi che chi vede minacciare o dare al padre suo, è tenuto a mettervi la vita: e basta. Io ti dico che tu non ài nulla al mondo: e com'io sento u' minimo che de' casi tua, io verrò per le poste insino costà e mosterrotti l'error tuo e insegnierotti straziar la roba tua, e ficar fuoco nelle case e ne' poderi che tu (non) à' guadagniati tu: tu non se' dove tu credi. Se io vengo costà, io ti mostrerrò cosa che tu ne piangierai a cald'ochi e conoscierai in su quel che tu fondi la tua superbia.

Io t'ò a dir questo ancor di nuovo; che se tu vòi attendere a far bene e a onorare e riverir tuo padre, che io t'aiuterò come gli altri e faròvi infra poco tempo fare una buona bottega. Quando tu non facci così, io sarò costà e aconcierò [151] e' casi tua i' modo, che tu conoscierai ciò che tu se', meglio che tu conosciessi mai, e saperai ciò che tu ài al mondo e vedra'lo in ogni luogo dove tu anderai. Non altro. Dov'io manco di parole, superirò co' fatti.

Michelagniolo in Roma.

 

Io non posso fare che io non ti scriva ancora dua versi; e questo è, che io son ito da dodici anni in qua tapinando per tutta Italia; sopportato ogni vergognia; patito ogni stento; lacerato il corpo mio in ogni fatica; messa la vita propria a mille pericoli, solo per aiutar la casa mia; e ora che io ò cominciato a rilevarla un poco, tu solo voglia esser quello che scompigli e rovini in una ora quel che i' ò fatto in tanti anni e con tante fatiche; al corpo di Cristo che non sarà vero! che io sono per iscompigliare diecimila tua pari, quando e' bisognierà. Or sia savio, e non tentare chi à altra passione. [152]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Firenze, (d'aprile 1532). 155)

 

CXXVIII.

A Giovan Simone Buonaroti in Firenze.

 

Giovan Simone. – E' mi bisognia stamani andare insino a Roma per cosa che m'importa assai; però io ti mando quattro ducati per mona Margerita, acciò che tu ti possa aiutare, e quando àrai di bisognio, mentre che io non ci sono, farmelo scrivere: e io t'aiuterò sempre dovunche io sarò. Non ti posso venire a vedere, perchè non ò tempo. Prega Iddio per me e sta' lieto il più che puoi.

Michelagniolo a San Lorenzo. [153]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Firenze, (1533).

 

CXXIX.

A Giovan Simone Buonarroti a Settignano.

 

Giovan Simone. – Mona Margerita non l'à intesa bene: parlando l'altra mattina di te e di Gismondo, presente ser Giovan Francesco, 156) io dissi, che avevo fatto per tutti voi sempre più che per me medesimo e patiti molti disagi, perchè non ne patissi voi, e che voi non avevi mai fatto altro che dir male di per tutto Firenze. Questo è ciò che io dissi: e così non fussi vero in vostro servigio! che vi siate fatti tenere bestie. Dello star costì, io ò caro che tu vi stia e pigli le tua comodità e attenda a guarire; che io di quel ch'io potrò, non vi mancherò mai, perchè guardo al debito mio e non alle vostre parole. Àrei ben caro che tu vi conducessi da dormire, acciò che mona Margerita vi potessi stare anch'ella: e perchè mio padre alla morte me la racomandò, non la abandonerò mai.

Michelagniolo in Firenze. [154]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Firenze, (1533).

 

CXXX. 157)

 

Giovan Simone. – Io ò per le mani un giovane per la Ceca, 158) il quale è de Sachetti e à nome Benedetto, e à uno fratello che à per moglie una de' Medici, e un altro che è prigione nella cittadella di Pisa, un altro n'ebbe che ebbe nome Albizo che morì a Roma. Se gli conosci, àrei caro inanzi facessi altro, sapere quello che te ne pare; e puoi mandarmelo a dire per mona Margerita, e non ne parlare con altri.

Michelagniolo in San Lorenzo. [155]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 7 d'agosto 1540.

 

CXXXI. 159)

 

Giovan Simone. – Io ò conto stamani adì sette d'agosto 1540 a Bartolomeo Angelini scudi secento cinquanta d'oro in oro, e' quali gli rimetta costà a Bonifazio Fazi per riscuotere il podere di Pazzolatica; però come l'avete fatto intendere a Michele, 160) e che Bonifazio gli abbi detto avere da pagarli settecento ducati di sette lire l'uno, ogni volta che dia sodo recipiente, súbito potete entrare in sul podere. Però tu e 'l prete potete andare a parlare a Bonifazio e vi dirà quello che occorre.

Ancora ti fo intendere, come poi che io sono a Roma, ò mandato costà circa due mila ducati con questi ultimi, e tutti quant'io n'ò mandati, sempre inanzi gli ò dati di contanti a Bartolomeo Angelini; e perchè io non tengo scrittura di cosa nessuna, e perchè noi siàn mortali e vien gente nuova, vorrei per bene di chi resta di noi, che sempre si potesse vedere che detti danari sono usciti da me. Però vorrei, se è cosa lecita, parlarne con Bonifazio, a chi gli ò sempre fatti rimettere, che gli conci in modo, che sempre si vegga che sono usciti da me. Altro non ò che dire circa questo. Abiate riguardo a mona Margerita e ditegli, che se si rià questi dua poderi, che la potrà tenere una serva, come gli scrissi.

Michelagniolo in Roma. [156]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (6 di dicembre 1544).

 

CXXXII.

A Giovan Simone e Gismondo.

 

Io ò pensato più tempo fa di porre in sur una arte di lana a Lionardo a poco a poco per insino a mille scudi, portandosi lui bene; con questa condizione, che senza vostra licenzia non gli possa levare nè farne altro; e ò ordine di cominciare tal cosa con dugento scudi, e' quali farò pagare ora costà, se mi rispondete che io lo facci; e quando vi paia che io lo facci, vi bisognia aver cura che e' non si mettino in luogo di pericolo, perchè io non gli ò trovati per la strada. Rispondete quello che vi pare da fare: vo' potete meglio di me conoscere e vedere i portamenti di Lionardo, e se è da impacciarsene.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [157]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (1547).

 

CXXXIII.

A Giovan Simone di Lodovico Buonarroti in Firenze.

 

Giovan Simone. – I' ò avuto da ser Giovan Francesco più lettere del tuo male; di che n'ò avuto dispiacer grandissimo: e più, per non esser costà, per non ti potere aiutare, come mi son sempre ingegniato di fare: pure farò quello che io potrò, o ingegnierommi che e' non ti manchi niente: e ora per questa ti mando dieci iscudi, e promèttoti ancora che per l'avenire non ti lascierò mancare niente di quello che potrò, stando qua. Però confortati e ingegniati di guarire e non pensare a altro; che a quell'ora mancherà a te che a me; che per quello che e' mi par vedere, al fine ci sarà più roba che uomini. Altro non mi acade. Racomandati a Dio che ti può aiutare più che non poss'io, e fammi scrivere e' tuo' bisogni quando t'acade.

Michelagniolo in Roma.

 

Fine delle lettere a Giovan Simone.

 

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152) Cioè il lavoro della figura di bronzo di papa Giulio.  

153) Annibale Bentivogli, raccolti nel Ducato di Milano seicento fanti, aveva in que' giorni tentato di rientrare in Bologna; ma Francesco Alidosi, detto il Cardinal di Pavia, che vi era legato per la Chiesa, col far tagliare la testa ad alcuni cittadini che tenevano pratica co' Fuorusciti, aveva fatto cadere d'animo i Bentivogli e i loro partigiani, e così quietato la città.  

154) La lettera è degli ultimi di luglio o de' primi d'agosto 1508. Vedi quella che scrive Michelangelo a Lodovico suo padre che è la VII, dove si parla appunto dei cattivi portamenti di Giansimone e de' disordini fatti da lui in casa, e delle minacce contro suo padre.  

155) La presente lettera, mancante al solito di data, si crede scritta ne' primi giorni d'aprile del 1532, supponendo che l'andata di Michelangelo a Roma fosse per trattare, cogli agenti del Duca d'Urbino, la faccenda della sepoltura di papa Giulio. Ed infatti a' 29 di quel mese ed anno fu stipulato nuovo contratto, col quale Michelangelo, tra gli altri patti, si obbligò a fare di sua mano sei statue, e a dare finito tutto il lavoro nello spazio di tre anni.  

156) Fattucci, cappellano di Santa Maria del Fiore, ed amicissimo di Michelangelo.  

157) Manca l'indirizzo.  

158) Sua nipote, e figliuola di Buonarroto.  

159) Anche in questa, come nella precedente, manca l'indirizzo.  

160) Michele di Niccolò Guicciardini, marito fino dal 1537 della Francesca sua nipote.