BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Michelangelo Buonarroti

1475 - 1564

 

Lettere

 

Lettere alla famiglia

 

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[161]

A Lionardo suo nipote

(dal 1540 al 1563)

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1540?).

 

CXXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò una lettera da Gismondo che dice che vorrebbe che io gli facessi dare costà da' mia ministri nove staia di grano. Io non so chi si sieno costà e' mia ministri, ma io so bene che del mio io non ò fatto più parte a uno che a un altro: però di' a mona Margerita, che gli dia qualche cosa di quello che si può, e a lui digli da mia parte, che e' ci fa poco onore a esersi fatto un contadino. Ancora di' a mona Margerita che per mio conto non dia nulla a persona, fuor che di quegli di casa; perchè io non vorrei che qualcuno gli andassi a mostrare di fare e' fatti mia e facèssila fare di qualche cosa, come un par di Donato del Sera; perchè e' non à ditto per me parola, che e' non abbi da me avuto uno scudo. Però àvisala da mia parte e di' che stia di buona voglia: e tu fa' d'essere uomo da bene.

Michelagniolo in Roma. [162]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( del luglio 1540).

 

CXXXVII.

A Lionardo Buonarroti in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò ricievuto con la tuo' lettera tre camice e sonmi molto maravigliato me l'abbiate mandate, perchè son sì grosse che qua non è contadino nessuno che non si vergogniassi a portarle; e quando ben fussino state sottile, non vorrei me l'avessi mandate, perchè quando n'àrò bisognio, manderò i danari da comperarne. Del podere da Pazzolatica infra quindici o venti dì farò pagare costà a Bonifazio Fazi settecento ducati per riscuoterlo; ma bisogna prima vedere in che modo Michele gli soda, acciò che la tua sorella, quando avenissi caso nessuno, volendo, ne possa cavare la dota che à dato. Però pàrlane un poco con Gismondo, e rispondetemi; perchè, se non veggo che e' settecento ducati sien ben sodi, non lo risquoterò. Altro non mi acade. Conforta mona Margerita a star di buona voglia e tu trattala bene di fatti e di parole, e fa' d'essere uomo da bene, altrimenti io ti fo intendere che tu non goderai niente del mio.

Michelagniolo in Roma. [163]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( del novembre 1540).

 

CXXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto.

 

Lionardo. – Michele mi scrive che vorrebbe che io facessi costà un procuratore a chi e' rinunzi il podere di Pazzolatica: io ò fatto procuratore Giovansimone e Gismondo e a loro lo può rinunziare: 161) e con questa sarà la procura. Sì che dàlla loro che ricevino detto podere da Michele e la quitanza de' danari che à ricievuti.

Ò inteso la morte di mona Margerita e ònne grandissima passione, più che se mi fussi stata sorella, perchè era donna da bene e per essere invechiata in casa nostra, e per essermi stata racomandata da nostro padre, ero disposto, come sa Iddio, fargli presto qualche bene. Non gli è piaciuto che l'aspetti: bisognia aver pazienzia. Circa il governo di casa, vi bisognierà pensarvi, e non isperare in me, perchè son vechio e con grandissima fatica governo me. Voi avete tanto, che se state uniti in pace insieme, potrete tenere una buona serva e vivere da uomini da bene: e io mentre che vivo v'aiuterò; quanto che nol facciate, io me ne laverò le mani.

Ancora vorrei che fussi con detto Michele a vedere che restano i danari che gli à spesi ne' buoi di Pazzolatica e nella casa, cavando le gravezze che si son pagate, come lui mi scrive.

Vostro Michelagniolo in Roma. [164]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1541).

 

CXXXIX.

A Lionardo di Buonarroto in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò dati qui cinquanta ducati di sette lire l'uno a Bartolomeo Angelini che gli rimetta costì ne' Fazi: però va', truova ser Giovan Francesco 162) e andate al banco insieme, e la prima cosa fa ch'el banco gli renda i danari del campo che i' ò comperato, che gli à pagati per me; e ch'el banco scriva per che conto io gli rendo detti danari, acciò che e' sien renduti per terza persona e aparisca sempre come à fatto lui: e quello che vi resta di detti danari, fategli pagare al Guicciardino nel medesimo modo, che si dica per che conto: e quello che mancherà per sodisfarlo come vuole, come m'acade di mandare altri danari, gli manderò insieme con quegli, perchè non ò comodità ora. Altro non m'acade.

Michelagniolo in Roma. [165]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1541)

 

CXL.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò avuto i ravigguoli, cioè sei coppie, i quali credo che costà eron begli, ma qua eron molto guasti: credo c'avessin dell'aqqua: però cose tanto tènere non son da mandare. In soma, basta, io gli ò avuti. Non acade dirne altro.

Che le cose vadin bene, come mi scrivi, e delle possessione e della bottega, mi piace assai. Bisognia ringraziarne Idio, e attendere a far bene. Altro non m'acade.

Michelagniolo in Roma. [166]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, ( d'agosto 1541).

 

CXLI.

A Lionardo Buonarroti in Firenze.

 

Lionardo. – Per la tua intendo come desideri venire a Roma questo settembre: a me pare ch'el tempo del venire sia la quaresima: però, poichè ài indugiato tanto, puoi aspettare insino al detto tempo; e in questo mezzo vedrò come seguiranno le cose mia, perchè non mi vanno a mio modo. Attendi a farti uomo da bene, e ricòrdati di quel che ti lasciò tuo padre, e di quel che tu ài ora, e ringraziane Iddio. A Michele Guicciardini vorrei che andassi e gli dicessi com'io ò inteso per la sua com'egli sta bene e quanto si contenta di tre figluoli masti che à; di che ò piacer grandissimo: e benchè la Francesca, come mi scrive, non sia in buona disposizione, digli da mia parte, che e' non si può avere in questo mondo le felicità intere, e che abbi pazienza e mi racomandi a lei, e che io non gli risponderò per ora altrimenti, perchè non posso: e racomandami a lui.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Da Roma, 1541. [167]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 25 d'agosto 1541.

 

CXLII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi che vuoi venire a Roma questo settembre col Guicciardino. Io ti dico che e' non è tempo ancora, perchè non sarebbe altro che acrescermi noia, oltra gli affanni che io ò. Questo dico ancora per Michele, perchè sono tanto ocupato, che io non ò tempo da badare a voi, e ogni altra picola cosa m'è grandissimo fastidio, non c'altro, pure a scriver questa. Bisognia indugiare a questa quaresima, che io manderò per te e manderòtti danari che tu ti metta a ordine, che tu non venga qua com'una bestia. Io scrissi ancora a Michele e consiglia'lo che anche lui indugiassi a questa quaresima, per poterlo intratenere, perchè sarò libero; ma forse gli à qualche faccenda a Roma, che gli bisognia eserci questo settembre; io non lo so; ma quando questo non sia, di nuovo lo consiglio, non venga prima che questa quaresima, perchè questo settembre non àrò tempo non c'altro da parlargli, e massimo che Urbino, che sta meco, va questo settembre a Urbino, e làsciami qui solo in tanta noia. Non mi mancherebe altro, che avervi a far la cucina! Leggi questa lettera a Michele e prègalo che indugi a questa quaresima, come è detto. Impara a scrivere, che mi pare tu pèggiori tuttavia.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1541, da Roma, addì 25 d'agosto. [168]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 19 di gennaio 1542.

 

CXLIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Benchè io abi scritto al prete, 163) pensavo scrivere il medesimo a te; dipoi non ò avuto tempo, e ancora perchè lo scrivere mi dà noia. Ti mando in questa, aperta quella del prete, per la quale intenderai il medesimo ch'i' volevo scrivere a te, cioè com'io ti mando cinquanta scudi d'oro in oro e quello che tu n'ài a fare, volendo venire a Roma, e come gli ài a serbare, tanto ch'i' te ne mandi altri cinquanta, non volendo venire. E' detti cinquanta scudi che io ti mando d'oro in oro, io gli ò mandati stamani a dì diciannove di gennaio per Urbino, che sta meco, a Bartolomeo Bettini, cioè a' Cavalcanti e Giraldi; e in questa sarà la lettera: andrai con essa a' Salviati, e te gli pageranno: fa' la quitanza in modo che stia bene, cioè per tanti ricevuti da me in Roma.

Leggi la lettera del prete e poi gniene dà o vero dagniene prima, e lui te la leggerà e fa' quello che la ti dice del venire o del non venire; e se fai disegnio di venire, avisamene prima, perchè parlerò qua con qualche mulattiere, uomo da bene, che tu venga seco: e quando tu voglia pur venire, fa' che nol sappi Michele, perchè non ò il modo d'accettarlo, come vedrai se vieni.

Michele detto mi à scritto che vorrebbe che io gli mandassi nove ducati e dua terzi, che dice che restò avere quand'io riscossi il podere di Pazzolatica. Un'altra volta me gli chiese, e 'l prete mi scrisse, che facendo conto seco, gli mostrò che e' non gli aveva avere: però prega il prete che ti dica o mi scriva se io gnien'ò a mandare o sì o no.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Da Roma, 1541, adì.... di gennaio: de' dì 19 detto. [169]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 4 di febbraio 1542.

 

CXLIV.

A Lionardo di Buonarroto.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi che non ti par da venire e che serbi i cinquanta scudi tanto ch'i' mandi gli altri cinquanta per mettere in sulla bottega. Io gli manderò ora, ma voglio prima il parer di Giovan Simone e di Gismondo, perchè voglio che e' sien presenti al mettergli in sulla bottega, e che le cose s'acconcino bene, e per le loro mani, e con lor parere, come ti scrissi, perchè son mia frategli; però io lo scrivo loro; fa' che e' mi rispondino il parer loro, e io non mancherò di quel c'ò scritto.

Io ti scrissi ch'el Guicciardino mi chiedeva nove scudi over ducati e dua terzi, che dice che restò avere, quand'io riscossi el podere di Pazzolatico, e che tu m'avisassi se gli aveva avere o sì o no. Tu non mi ài risposto niente: però prega messer Giovan Francesco che ti dica, se io gnien'ò a dare di ragione: e scrivimelo, acciò gniene mandi. Altro non acade.

A dì 4 di febraio 1542.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1541, da Roma: addì 11 di febraio (de' dì detto) ricevuta. [170]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, ( di marzo 1543).

 

CXLV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi sabato sera il contratto, e con questa sarà la retificagione. Non s'è fatta prima, perchè prima non è venuto il contratto, che è stato ritenuto costà da coloro a chi lo davi che mi fussi mandato. Altro non ò che dire, nè ò tempo da scrivere, nè ò letto ancor le lettere. Ringrazia il prete per mia parte, perchè à durato gran fatica per noi e fàttoci gran servigio, e massimo a voi costà.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [171]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( dell'aprile 1543).

 

CXLVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò fatto cercare tutti e' banchi di Roma e non truovo che qua sia venuto altro contratto che l'ultimo, di che io ò mandata la retificagione: però noi crediamo che e' sia stato ritenuto costà. Se non v'era cose o lettere che importassino, non è da pensarvi più; e se v'erano, bisognia aver pazienzia. La retificagione scrivi aver ricevuta e data al prete; che l'ò caro, poi che none sta male: ancora, lei credo che la stia bene. Altro non m'acade. Racomandami a lui, ciò è a messer Giovan Francesco, e ringràzialo da mia parte. Ò caro che abbi parlato al Bettino, e ancora a lui mi racomanda e ringràzialo, quando lo riscontri.

Michelagniolo in Roma. [172]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 14 di aprile 1543.

 

CXLVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io intendo per la tua e del prete dove désti il contratto, perchè mi fussi mandato: qua non è venuto; e sonne certo, perchè 'l Bettino me l'àrebbe mandato insino a casa: però io stimo che sia stato ritenuto costà dal banco ove lo désti. Se volete che io l'abbi, datelo a Francesco d'Antonio Salvetti che l'adirizi qua a Luigi del Riccio, e sarammi dato súbito, e io retificherò. Altro non mi acade. None scrivo al prete, perchè non ò tempo: racomandami a lui e ringràzialo delle fatiche e noie che gli diàno: e quando mi scrivi, non far nella sopra scritta: Michelagniolo Simoni, nè scultore; basta dir: Michelagniol Buonarroti: che così son conosciuto qua: e così n'avisa il prete.

A dì quattordici d'aprile 1543.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Luigi del Riccio.)

Messer Francesco Salvetti date in propria mano et ne ricuperate risposta.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1543, a dì 19 d'aprile: de' dì 14 detto. [173]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (29 di marzo 1544).

 

CXLVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per la tua, come i marmi sono stati stimati cento settanta scudi, 164) e quello che s'à a fare dei danari quando vi sieno pagati. A me pare, quando paia a' mia frategli, che e' si mettino per te in sun una bottega, dove pare a loro, e che tu ne tiri il frutto che è onesto, e che senza licenzia loro tu none possa disporre altrimenti. Ancora mi pare, che la stanza dove son detti marmi, che voi cerchiate di venderla, e e' danari che n'àrete, con la medesima condizione porli dove quegli de' marmi; dipoi potrò aggugniervi altri danari, secondo che ti porterai; chè mi par che ancora non abbi imparato a scrivere.

A messer Giovan Francesco ò risposto circa la testa del duca 165) che io non vi posso attendere, come è vero che io non posso per le noie che ò, ma più per la vechiezza, perchè non veggo lume.

Del comprare il podere di Luigi Gerardi, di che mi fai scrivere, a me non pare d'avere altro a Firenze che quello che io v'ò, perchè l'avervi assai, non è altro c'avervi assai noie, e massimo non possendo io servire; però mi pare da comperare qualche cosa altrove, che io ancora ne potessi cavar frutto in mia vechiezza, perchè quello che m'à dato il Papa mi potrebbe esser tolto, non servendo; e già dua volte l'ò avuto a difendere. Sì che rispondi di detto podere al prete che me ne scrive. Altro non ò che dirti. Attendi a far bene.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Luigi del Riccio.)

Messer Francesco Salvetti date in propria mano et mandate risposta.

 

(Di mano di Lionardo.)

1544, da Roma, del 3 d'aprile: de' dì 29 di marzo. [174]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (11 di luglio 1544).

 

CXLIX. 166)

 

Lionardo. – Io sono stato male: e tu a stanza di ser Giovan Francesco se' venuto a darmi la morte, e a vedere s'i' lasco niente. Che non v'à tanto del mio a Firenze che ti basti? tu non puoi negar di non somigliar tuo padre, che a Firenze mi cacciò di casa mia. Sappi che io ò fatto testamento in modo, che di quel ch'i' ò a Roma, tu non v'ài più a pensare. Però vatti con Dio e non m'arrivare innanzi e non mi scriver ma' più, e fa' a modo del prete.

Michelagniolo.

 

(Di mano di Lionardo.)

1544. Ricevuta addì 11 di luglio in Roma. [175]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (6 di dicembre 1544).

 

CL.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non vo' però mancare di quello che più tempo ò pensato; e questo è d'aiutarti, quando intenda che tu ti porti bene: però in questa sarà una che va a Giovan Simone e a Gismondo, dov'io scrivo loro quello che mi pare da fare per te; ma non lo voglio fare se non me ne consigliono: però dàlla loro e di' che mi rispondino.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1544. Ricevuta addì 11 di dicembre: de' dì 6 di detto. [176]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (27 di dicembre 1544).

 

CLI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò dato qui nel banco degli Covoni scudi dugento d'oro in oro che vi sien pagati costà, per farne quello che per l'ultima mia vi scrissi: però anderai a' Capponi con Gismondo, o con Giovan Simone, e e' vi saranno pagati; cioè vi sarà dati scudi dugento d'oro in oro, com'io ò dati qua. E la intenzione mia è, che Giovan Simone e Gismondo gli mettano in lor nome per te in su l'arte della lana, che pare a voi sien sicuri; e che io non ne sia nominato in conto nessuno: con questa condizione, che i frutti sien tua e che di detti danari non se ne possa mai disporre, nè levare, nè fare altro, se voi non siate tutti a tre d'acordo, cioè Giovan Simone e Gismondo e tu. E quando gli mettete in su la bottega, circa all'aconciare bene le scritture, acciò non si facci errore, vorrei che tu chiamassi Michele Guicciardini che vi fussi presente con Giovan Simone e Gismondo; perchè credo che intenda: e da mia parte verrà volentieri. E dipoi fammi scrivere da Giovan Simone e da Gismondo la ricevuta di detti danari, e come avete aconcio la cosa: e racomandami a Michele. E quando o Giovan Simone o Gismondo non possino venire teco a pigliare detti danari, saranno dati a te solo e porter'agli loro, che se ne facci come di sopra è ditto.

E quando fate a' Capponi la ricevuta di detti danari, fatela per tanti ricevuti gli Covoni da Michelagniolo in Roma.

Con questa sarà la lettera de' Covoni che va a' Capponi, per la quale vi saranno pagati i detti danari.

Mandami copia della partita che fate aconciare dove mettete i danari.

In Roma a dì venti sette di dicembre mille cinque cento quaranta quattro, ad Incarnatione.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1544, di Roma, addì primo di gennaio: de' dì 27 del paxato. [177]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, ( di gennaio 1545).

 

CLII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò avuta la ricevuta de' dugento scudi da Giovan Simone e da te; e del mettergli più in un luogo che in un altro, io non ve ne so dar consiglio, nè posso, perchè non son costà e non me ne intendo. Francesco Salvetti, parente qua di messer Luigi del Riccio, à scritto qua che i maestri tua son molto sicuri e uomini da bene; pure fate quello che voi credete non perdere.

Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1544, di Roma: ricevuta a dì 16 di gennaio. [178]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (15 di febbraio 1545).

 

CLIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per le tua lettere, come non trovate ancora dove porre i danari ch'io vi mandai, perchè, secondo che mi scrivi, chi à 'l modo a fare l'arte col suo, non vuole danari d'altri. Adunche chi piglia i danari d'altri, è segnio che non à il modo a far del suo: dunche è pericoloso: però a me piace che voi andiate adagio a porgli in ogni luogo, purchè voi non gli straziate; perchè sarebbe vostro danno. Io quando potrò, a poco a poco, come v'ò scritto, per insino a mille scudi vi manderò; dipoi vo' pensare alla vita mia, perchè son vechio e non posso più durar fatica. El porto 167) che mi dètte il Papa, lo voglio rinunziare, perchè tengo a disagio troppi, e per buono rispetto non mi piace tenerlo; e però mi bisognia fare qua una entrata da poter vivere con miglior governo che io non fo. Però sappiate tener quello che avete, che io non posso più per voi.

Michele intendo che à avuto un figluolo mastio, e che lui e la Francesca stanno bene: n'ò grandissimo piacere. Credo che n'abbi già quattro: Idio gniene dia consolazione. Racomandami a lui e ringràzialo da mia parte della fatica che dura per te, perchè non è manco per me; di che gli resto obrigato. Non rispondo alla sua, perchè male intendo la sua lettera, e ancora perchè credo che questa farà il medesimo effetto: però leggigniene.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Luigi del Riccio.)

Lionardo del Riccio fate dare in propria mano.

 

(Di mano di Lionardo.)

Ihesus, da Roma. Ricevuta a dì 20 di febraio 1544. [179]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (5 d'aprile 1545).

 

CLIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per la tua come non avete ancor fatto niente: io dico che non è d'aver fretta, nè anche da farne molto rumore con gli amici, perchè pochi si truova de' buoni.

Io ò pensato in fra dua mesi mandare altrettanta 168) danari, ma non mi piace gli abbiate a tenere in casa, perchè son pericolosi; pure farò quello che tutti voi mi scriverrete; e perchè io non son costà e non posso giudicare qual sia meglio farne in questi tempi, la rimetto in voi: se vi par di poterne far cosa più sicura e utile, fate come volete: io m'ingegnierò in fra un anno mandarvi tutta la quantità che v'ò promessa. Altro non v'ò che dire. Racomandami a Michele e alla Francesca.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma. Ricevuta addì 9 d'aprile 1545. [180]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (9 di maggio 1545).

 

CLV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non credo che e' si possa tener danari in luogo nessuno a guadagnio che non sia usura, se none stanno al danno come all'utile. Quand'io vi scrissi che se voi volevi fare altro de' danari che io vi mandavo, che vi paressi più sicuro, intendevo di comperare qualche cosa, come quella terra di Nicolò della Buca o altro che vi paressi, e non porre in su banco nessuno, che son tutti fallaci.

Ancora vi scrissi che avevo a ordine altrettanta danari, 169) e che tutti voi mi scrivesti se volevi ch'i' gli mandassi ora o no, per non avere ancora trovatone partito: però rispondete, e tanto farò.

Tu mi scrivi dell'uficio che ài avuto; io ti dico che tu se' giovane e ài viste poche cose; io ti ricordo che l'andare inanzi, a Firenze è peggio che tornare adietro.

A Giovan Simone di', che un comento di Dante d'un Luchese, 170) che c'è di nuovo, non è molto lodato da ch'intende, e non è da farne stima; nessuno altro ce n'è di nuovo che io sappi.

A Michele Guicciardini mi racomanda, e digli che io son sano, ma con molta noia e tanta, ch'io non ò tempo da mangiare; però fa' mie scuse se io non gli rispondo. Tu puoi leggergli questa, e fia il medesimo: e alla Francesca di', che prieghi Iddio per me.

Ancora ti dico, quando ti fussi scritto niente per mio conto, non gli credere se non v'è un verso di mia mano. 171)

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1545, a dì 13 di maggio: de' dì 9 detto. [181]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (23 di maggio 1545).

 

CLVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò dato oggi questo dì ventitre di maggio 1545 a' Covoni in Roma scudi dugento d'oro in oro, che e' vi sieno pagati costà. Però andate a' Capponi tu e Giovan Simone o Gismondo, come volete, e e' vi saranno pagati, cioè vi saranno pagati scudi dugento d'oro in oro, come ò dati qua: e così fate la quitanza, e mandatemi la copia.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Luigi del Riccio.)

Lionardo del Riccio date bene.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1545, addì 27 di magio: de' dì 23 detto ricevuta. [182]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1545).

 

CLVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi sabato passato che àrei avuto più caro dua fiaschi di trebbiano, che otto camice che tu m'ài mandate. Ora t'aviso come ò ricievuto una soma di trebbiano, cioè 44 fiaschi, de' quali n'ò mandati sei al Papa e a altri amici, tanto che gli ò allogati quasi tutti, perchè io none posso bere; e benchè io ti scrivessi così, non è però che io voglia che tu mi mandi più una cosa che un'altra. A me basta che tu sia uomo da bene, e che ti facci onore e a noi altri.

Michelagniolo in Roma. [183]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, ( di luglio 1545).

 

CLVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Del trebbiano io feci la ricevuta al vetturale che lo portò, di quaranta cinque fiaschi, e scrissiti che tu non mi mandassi niente, e così ti scrivo di nuovo, se io non te ne richieggo. Del trovare partito de' danari, e' mi pare che Giovan Simone la 'ntenda meglio di te, perchè nell'andare adagio si fa manco errori. Voi avete da vivere e non siate cacciati; però bisognia aver pazienzia e far poco romore, acciò che e' non vi sien tolti; e quando potrò, ve ne manderò degli altri insino al numero promesso.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Addì.... del luglio 1545. [184]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (31 di dicembre 1545).

 

CLIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi che ài inteso di più case da comperare, in fra le quali mi scrivi di quella che fu di Zanobi Buondelmonti, e questa mi pare più onorevole che tutte l'altre; però mi pare da intendere l'ultimo prezzo e se e' v'è sicurtà buona, tôrla; ma non ti fidare di Bernardo Basso: 172) mostra di prestargli fede, ma non gli creder niente, perchè è un gran fellone. Sì che fa d'esser savio, che bisognia, e massimo nel comperare. Nel Quartier nostro in via Ghibellina, mi piacerebbe assai, ma le vôlte 173) ogni verno s'empion d'aqqua: sì che pensa e cònsigliati bene, e quando sarai resoluto co' mia frategli insieme, m'aviserai della spesa e io tanto farò pagare costà quanto bisognierà.

Io ebbi circa un mese fa una lettera da messer Giovan Francesco con un'altra inclusa che non conteneva niente; però fa' mie scusa se io non risposi e racomandami a lui.

Quando scrivi, dirizza le lettere al Bettino, cioè a' Cavalcanti o a Girolamo Ubaldini. Altro non acade. Racomandami a Michele e alla Francesca.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1545, di Roma. Riceuta addì 7 di gennaro: de l'ultimo di dicembre. [185]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 9 di gennaio 1546.

 

CLX.

Al suo carissimo Lionardo Buonarroti come figliuolo in Fiorenza.

 

Lionardo. – I' ò oggi questo dì nove di gennaro 1545, dato qui in Roma a messer Luigi del Riccio scudi secento d'oro in oro, e' quali te li facci pagare costì in Firenze, per finirvi il numero de' mille scudi promessivi: però anderete a Piero di Gino Capponi e vi saranno pagati; fàtene la quitanza per tanti pagàtine qua, come è detto.

E messer Luigi detto scriverrà qui disotto l'animo mio verso di voi, perchè non mi sento bene e non posso più scrivere; 174) però sono guarito 175) et no' harò più male, Iddio grazia: così lo prego: il simile farai tu.

Io sono resoluto, oltre alli sopradetti danari, provedere costì a Giovan Simone, Gismondo, et a te scudi tremila d'oro in oro, cioè scudi mille per uno, ma a tutti insieme; con questo che si investischino in beni stabili o in qualche altra cosa che vi porti utile, e che resti alla casa. Però andate pensando di metterli in qualche cosa stabile et buona, et quando havete qualcosa che vi paia a proposito, avisatemelo, che vi farò la provisione de' danari. Et questa lettera fia comune a tutti a tre voi. Et non mi occorrendo altro, mi vi raccomando. Iddio ec. ec.

In Roma, il dì sopradetto.

Io Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1545, di Roma, addì.... del dì 9 detto, cioè de' dì 9 di gennaio, da Michelagnolo Buonarrotti. [186]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (16 di gennaio 1546).

 

CLXI.

Al suo carissimo Lionardo Buonarroti come figliuolo in Firenze.

 

Lionardo 176) carissimo. – Io ti scrissi sabato passato alli 9, et ti rimissi scudi 600 da Piero Capponi per via di Luigi del Riccio, come harai visto, che ne attendo risposta.

Ancora ti dissi come io mi ero resoluto provedere a Giovansimone, Gismondo et a te scudi tremila, ogni volta trovassi da rinvestirli in cosa buona e stabile da rimanere alla casa: che andrete cercando et aviserete alla giornata.

Ora io intendo qui da uno mio amicissimo che e' si vendono li stabili di Francesco Corboli, che abita a Vinezia et fallì più mesi sono; e quali mi è detto, sono una casa antica posta costì nel quartiere di Santo Spirito et certe possesioni tutte insieme con para sei di bovi et con una buona casa o palazotto da oste poste a Monte Spertoli, che sarebbono d'una spesa vel circa a questa. Però vorrei che Giovansimone e tu ve ne informassi bene, intendendo quanto hanno di decima, di che bontà sono et rendita, come sono in ordine e se vi è sopra lite o imbrogli et quello vi pare vaglino: et di tutto mi date, quanto prima possete, risposta.

Messer Luigi del Riccio 177), non mi sentendo io bene, m'à servito di scrivervi di certe possessione che mi sono state messe qua per le mani, come intenderete: però abbiate cura che cosa sono, e rispondete presto.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Luigi del Riccio.)

Di grazia messer Piero Capponi fate dar súbito.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma a dì.... di gennaio ricevuta: de' dì 9 (sic) detto. Di messere Michelagnolo Buonarroti. [187]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (6 di febbraio 1546).

 

CLXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu se' stato molto presto a darmi aviso delle possessione de' Corboli: io non credetti che tu fussi ancora a Firenze. Che à' tu paura che io non mi penta, come forse se' stato imburiassato? e io ti dico che voglio andare adagio, perchè e' danari gli ò qua guadagniati con quella fatica che non può sapere chi è nato calzato e vestito come tu.

Circa all'esser venuto a Roma con tanta furia, io non so se tu venissi così presto, quand'io fussi in miseria e che e' mi mancassi il pane: basta che tu gitti via e' danari che tu non ài guadagniati. Tanta gelosia ài di non perdere questa redità! e di' che gli era l'obrigo tuo venirci per l'amore che mi porti: l'amore del tarlo! Se mi portassi amore, m'àresti scritto adesso: Michelagniolo, spendete i tremila scudi costà per voi, perchè voi ci avete dato tanto, che ci basta: noi abbiam più cara la vostra vita, che la vostra roba.

Voi siate vissuti del mio già quaranta anni, nè mai ò avuto da voi, non c'altro, una buona parola.

Vero è che l'anno passato fusti tanto predicato e ripreso, che per la vergognia mi mandasti una soma di trebbiano; che non l'avessi anche mandata!

Io non ti scrivo questo, perchè io non voglia comperare; io voglio comperare per farmi una entrata per me, perchè non posso più lavorare; ma voglio andare adagio, per non comperare qualche noia: sì che non abbi fretta.

Michelagniolo in Roma.

 

Quando costà ti fussi detto o chiesto niente da mia parte, se non vedi un verso di mia mano, non credere a nessuno. [188] E' mille ducati overo scudi che io t'ò mandati, se tu consideri che fine ànno le bottege o per via di cattivi ministri o d'altro, tu comprerrai più presto la possessione, perchè è cosa più stabile. Pur consigliatevi insieme e fate quello che meglio vi pare.

 

(Di mano di Lionardo.)

1545, da Roma. Ricevuta addì 11 di febraio: de' dì 6 detto. [189]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (15 di febbraio 1546).

 

CLXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa al comperare o al porre in sur una bottega i danari che io v'ò mandati, consigliatevene fra voi, e fate quello che voi conoscete che sia il meglio, perchè io non me ne intendo.

Delle possessione de' Corboli n'ò un certo aviso che non mi piace, cioè che e' v'è su un albitrio di venticinque scudi: quando fussi vero, non mi mancherebbe altra noia, comperandole. E ancora m'è ditto, che certi loro parenti ci ànno su qualche ragione.

Io non m'intendo di queste cose: però bisognia andare adagio e aprir ben gli ochi, e quando si trovassi che le fussi cose sicure, per giusto prezzo sarei per comperarle, se sono cose buone, e massimamente insieme e ben confinate.

Però attèndivi e avisami quello che ne 'ntendi, e quello che è gudicato che vaglino. Altro non ò che dire. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca.

Io ò bisognio di farmi una entrata, perchè quella che io ò avuta insino a ora dal Papa, non possendo più lavorare, non è gusto che io la tenga: e le dette possessione mi farebono parte di detta entrata: e più presto per vostro amore mi par da comperare a Firenze che altrove o dette possessione o altre.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1545, di Roma. Riceuta addì 20 di febraio. [190]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (6 di marzo 1546).

 

CLXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi che avete trovato da far certa compagnia con un del Palagio e altri, e che io me ne informi. Io non conosco e non ò modo nessuno da 'nformarmi di simil cosa; ma perchè oggi non c'è se non fraude, e non si può fidar di persona, vi consiglio che andiate adagio, e massimo non vi mancando il pane; e nell'andare adagio si scuopre di molte cose, e massimo che chi apre una bottega d'un'arte che e' non vi sia dentro valente, rovina presto: e non bisognia pensar di potersi più rifare in questi tempi.

Delle terre de' Corboli, io n'ò vari avisi; e perchè io per la lunga sperienza son sospettoso, io l'ò licenziate, acciò che in mia vechieza io non entri in qualche briga, e dopo me vi lasci altri: però non vi attender più.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1545, di Roma. Riceuta addì 11 di marzo: de' dì 6 detto. [191]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 29 d'aprile (1546).

 

CLXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – La casa della via de' Martegli non mi piace, perchè non mi pare che sia strada da noi: quella dell'Arte della lana nella via de' Servi, poi che v'è buon sodo, se è al proposito di stanze e d'altro, pigliàtela: e avisatemi de' danari che vi mancano e io súbito ve gli farò pagare. Ma abiate cura di non esser fatti fare; che questo romore del volere comperare una casa non facci l'incanto artifizioso. A me parrebbe di vederla, ciò è che voi la vedessi prima molto bene, e informarsi della valuta: e quando vedessi che 'l prezzo non fussi gusto, lasciarla a chi la vuole: perchè i danari non si truovon per le strade. Pure, come ò detto, io vi manderò i danari che mancheranno, e dòvi libera commessione di tôrla e non la tôrre, come a voi vi pare. Altro non m'acade. Avisatemi quello avete fatto.

A dì venti nove aprile.

Io non dico circa la compera che e' s'abbi a guardare in dieci scudi, ma in una cosa disonesta.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [192]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (30 d'aprile 1546).

 

CLXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi le camice: dipoi intesi per un'altra tua d'una entrata d'un mulino che si poteva comperare, e ultimamente mi scrivi d'un'altra possessione presso a Firenze. El mulino non mi piaqque, perchè non mi fido d'entrata in su l'aqqua, e anche questo di che mi scrivi ora mi par troppo in su le porte. Quando si trovassi qualche cosa discosto otto o dieci miglia, mi parrebbe più al proposito, ma non ci è fretta. Però none far tanto romore. Altro non mi acade. Quand'io non rispondo alle tua, pensa che io ò il capo a altro che a scrivere. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma. Riceuta a dì 4 di magio. [193]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (26 di maggio 1546).

 

CLXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò ricevuto il contratto e parmi che stia bene; però ringrazia messer Giovan Francesco, perchè m'à fatto piacer grande, e prègalo che ringrazi Bernardo Bini e racomandami a lui. Altro non mi acade; chè per l'ultima mia vi scrissi, cioè che voi facciate circa il comperare quello che vi pare, pur che siate ben sodi e che non s'abbi a piatire. In questa sarà una di messer Giovan Francesco: dà' e racomandami a lui.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma, addì 30 di magio: de' dì 26 deto. [194]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (5 di giugno 1546).

 

CLXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò fatto copiare la minuta della procura senza senza 178) vederla altrimenti, e fo procuratore te e màndotela. Fàtela veder voi e se la sta a vostro modo, mi basta: che io ò il capo a altro che a procure: e non mi scriver più; chè ogni volta che io ò una tua lettera mi vien la febbre, tanta fatica duro a leggierla! Io non so dove tu t'abbi imparato a scrivere. Credo che se avessi a scrivere al maggiore asino del mondo, scriveresti con più diligenzia. Però e' non m'agugniete noie a quelle che io ò, che n'ò tante che mi bastano. La procura voi l'avete a far vedere e studiare; e se nol farete, vostro danno.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma, addì 9 di gugnio: de' dì 5 detto. [195]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (4 di settembre 1546).

 

CLXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu m'ài scritto una gran bibbia per picola cosa: che non è altro che darmi noia. De' danari, de' danari 179) che mi scrivi quello che n'avete a fare, consigliatevene tra voi e spendetegli in quello che v'è più bisognio. Altro non m'acade, nè ò anche tempo da scrivere.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma, a dì 9 di settembre: de' dì 4 detto. [196]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (13 di novembre 1546).

 

CLXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non t'ò scritto, poichè tu m'avisasti della pratica che tu avevi circa al far bottega. Io ti dico, che tu non abbi fretta: e quando tu indugiassi ancora uno anno, non credo che fussi mal nessuno, avendo da vivere. Io ò pensato a questi dì, che e' sare' bene comperare una casa costà onorevole di mille cinquecento scudi vel circa, o più se più bisogniassi; perchè quella ove state, avendo tu a tôrre donna, non è capace, e ancora perch'io son vechio, dar luogo a questi danari: sì che cerca e avisa.

Ò ricevuto a questi dì una lettera della Francesca: vorrei che tu andassi a dirgli che io farò quanto mi scrive, e che io, benchè non gli scriva, non ò però dimenticato nè Michele nè lei; ma sono in troppe ocupazione e non ò tempo da scrivere. Racomandami a Michele e a lei.

Michelagniolo in Roma.

 

(D'altra mano.)

Datela bene Ser Olivieri.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1546. Riceuta addì 20 di novembre: de' dì 13 detto. [197]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (4 di dicembre 1546).

 

CLXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò ricevuto sedici marzolini, e quattro iuli pagato al mulattiere. Tu debbi aver ricevuta la lettera che ti scrissi del comperare una casa onorevole, e ora, mentre che scrivo, m'è stata portata una tua della ricevuta di detta, dove mi di' che anderai a vicitare Michele e la Francesca e farai l'ambasciata: e racomandami a loro. Circa il comperare la casa, io vi raffermo il medesimo, cioè che cerchiate di comperare una casa che sia onorevole, di mille cinquecento o dumila scudi e che sia nel Quartier nostro, 180) se si può; e io, súbito che àrete trovato cosa al proposito, farò pagare costà i danari. Io dico questo, perchè una casa onorevole nella città fa onore assai, perchè si vede più che non fanno le possessione, e perchè noi siàn pure cittadini discesi di nobilissima stirpe. Mi son sempre ingegniato di risucitar la casa nostra, ma non ò avuto frategli da ciò. Però ingegniatevi di fare quello che io vi scrivo, e che Gismondo torni abitare in Firenze, acciò che con tanta mia vergognia non si dica più qua, che io ò un fratello che a Settigniano va dietro a' buoi: e quando àrete compera la casa, ancora si comperrà dell'altre cose.

Un dì che io abi tempo, v'aviserò dell'origine nostra e donde venimo e quando a Firenze, 181) che forse nol sapete voi; però non si vuol tôrsi quello che Dio ci à dato.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(D'altra mano.)

Messer Giovanni Olivieri di grazia fàtela dare.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma, addì 11 di dicembre: del dì 4 detto. [198]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( di dicembre 1546).

 

CLXXII. 182)

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – E' mi venne alle mani circa un anno fa un libro scritto a mano di cronache fiorentine, dove trovai circa dugento anni fa, se ben mi ricordo, un Buonarroto Simoni più volte de' Signori, dipoi un Simone Buonarroti, dipoi un Michele di Buonarroto Simoni, dipoi un Francesco Buonarroti. Non vi trovai Lionardo, che fu de' Signori, padre di Lodovico nostro padre, perchè non veniva tanto in qua. Però a me pare che tu ti scriva Lionardo di Buonarroto Buonarroti Simoni. Del resto della risposta alla tua non acade, perchè non ài ancora inteso niente della cosa ti scrissi, nè della casa.

Michelagniolo in Roma. [199]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (22 di gennaio 1547).

 

CLXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per la tua come ài messo un mezano overo sensale per conto della casa de' Buondelmonti, e come intendi che la spesa è 2400 scudi. Di così mi scrivesti per l'altra. Parmi un gran numero di danari, e non credo se cercon di vendere, che in questi tempi gli truovino di contanti, come farei io. Però tu anderai intendendo e avisera'mi, e in questo mezo potrai cercare d'altro; e come ti scrissi nel Quartier nostro mi piacerebbe; ma l'empiersi le vôlte d'acqua, non mi pare di poca importanza. Circa il cominciare a mandare costà danari, vorrei mandargli per la via usata, come a tempo di messer Luigi, 183) cioè che e' vi fussino pagati costà da' Capponi, e sapere a chi io gli ò a dare qua; però se lo puoi intendere da' detti Capponi, avisa, perchè comincierò 184) a poco a poco i danari per detta casa.

Michelagniolo in Roma.

 

(D'altra mano.)

Ser Olivieri date súbito ch'è di amico e importa.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma, addì 27 di gennaio: de' dì 22 detto. [200]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 11 di febbraio 1547.

 

CLXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò portato oggi adì 11 di febbraio 1546 scudi cinquecento d'oro in oro a messer Bindo Altoviti, che tanti ne facci pagar costà; e così vi saranno pagati da' Capponi. Però in questa sarà la lettera del cambio. Andrete tu e Gismondo per essi, e fate la ricievuta che stia bene; cioè che tanti n'ò dati qua di contanti: e màndami la copia: e quando mi scrivi, adirizza le lettere a messere Girolamo Ubaldini: e se tenete danari in casa, l'una mana non si fidi de l'altra, perchè è grandissimo pericolo. Circa il comperare la casa, non andate dietro a chi non vuol vendere, perchè non vagliono manco i danari che le case: se non quella, un'altra.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma, addì 17 di febraio: de' dì 11 detto. [201]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 5 di marzo 1547.

 

CLXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò inteso per l'ultima tua come ài ricievuti i cinquecento scudi che ti mandai, e la copia della quitanza: e stamani a dì cinque di marzo 1546 ò portati a messer Bindo Altoviti altri cinquecento scudi d'oro in oro, che te gli facci medesimamente pagare costà da' Capponi o a te o a Gismondo o amendua voi: e in questa sarà la lettera del cambio. Però anderete per essi: e fa' la quitanza che stia bene e màndami la copia: e quando àrete comperata la casa, vi manderò quello che mancherà, secondo che m'aviserete. Quello ch'i' fo, è solo perchè avendo tu a tôr donna, la casa ove state non mi pare al proposito. A questo lascierò pensare a te e a' mia frategli; però quando sia vòlto a simil cosa, fàmelo intendere e dove, acciò possa dire il parer mio: e credo sare' bene, perchè morendo senza reda, ogni cosa ne va allo Spedale. Altro non m'acade. Racomandami al prete.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1546, di Roma, addì 10 di marzo: de' dì 5 detto riceuta. [202]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( di marzo 1547).

 

CLXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò avuto la quitanza degli scudi che avete ricevuti da' Capponi per quegli che contai qui agli Altoviti, e sòmi maravigliato che Gismondo nè per questi ultimi nè pe' primi sie venuto teco per essi, perchè ciò che io mando, 185) non manco per loro che per te; e tu mi scrivi che mi ringrazi del bene che io ti fo, e à'mi a scrivere: noi vi ringraziamo del bene che voi ci fate. Con quelle medesime condizione che io ti scrissi, quando ti mandai i danari per porre in sur una bottega, t'ò mandato questi, ciò è che tu non faccia niente senza il consenso de' mia frategli. Circa il comperare casa, io te l'ò scritto, perchè quando ti paia di tôr donna, come mi par necessario, la casa ove state non è capace del bisognio, e non trovando voi da comperare cosa al proposito, penso dove siate in via Ghibellina vi potessi allargare, ciò è finire i becategli della casa insino in sul canto e rivoltargli per l'altra strada, comperando la casetta che v'è sotto, se fussi abastanza. Pure quando troviate da fare una compera sicura e onorevole, mi pare che sarà meglio; e io vi manderò quello che mancherà. Circa il tôr donna, qua me n'è stato parlato da più persone; qual m'è piaciuta e qual no. Stimo che ancora ne sia stato parlato a te. Però se se' vòlto a ciò, avisami; e se ài fantasia più a una che a un'altra: e io ti dirò il parer mio. Altro non m'acade.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [203]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1547).

 

CLXXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – L'apportatore di questa sarà uno scarpellino da Settigniano che à nome Iacopo, il quale dice che vuole vendere certe terre vicine a noi, luogo detto Fraschetta. Però dillo a Gismondo, e vedete che cose sono; e quando sia bene il comperarle e che e' vi sia buon sodo, che e' non si comperi un piato, avisatemi, e della spesa; e quando non sia molto grande, vi manderò i danari. Circa della compera della casa, non credo che abiate poi fatto altro. Di quell'altra cosa 186) te n'ài a contentar tu: basta a me che tu me n'avisi prima. Altro non m'acade.

Michelagniolo in Roma. [204]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1547).

 

CLXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò inteso per le vostre, del podere del Fraschetta: basta, non bisognia più pensarvi. Tu mi scrivi che la casa della via de' Servi s'è venduta allo incanto e che la non era a ogni modo al proposito: e pur par che vi fussi piaciuta prima, secondo mi scrivesti; ma se è venduta, sia pel meglio. Di quella di Giovanni Corsi, di che ora mi scrivi, intendo di quella che è in sul canto della piazza di Santa Croce, riscontro la casa degli Orlandini, la quale a me piace, se piace a voi: ma dubiterei forte del sodo quando si vendessi: però vendendosi e facendo noi disegnio di comperarla, bisognia aprir ben gli ochi. Se è in vendita, avisatemi di quel se ne domanda. Io so che è casa antica, e credo che dentro sia molto mal composta. Ò ricievuto una soma di trebbiano, manco sei fiaschi, di quaranta quattro; tre rotti e tre n'è restati a la dogana, e dieci n'ò mandati al Papa. Dio voglia che e' riesca buono. Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino, a la Francesca e a messer Giovan Francesco.

Michelagniolo in Roma. [205]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( di settembre 1547).

 

CLXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Stasera al tardi ò una tua lettera, e ò poco tempo da scrivere. Circa la casa de' Corsi, mi fu detto l'altra volta che me ne scrivesti, che v'era un vicino rico che era per tôrla, e non la togliendo, dubito non sia cosa pericolosa: però aprite gli ochi, che non comperiate qualche piato. Del resto se vi piace, per gusto prezzo pigliatela, se la potete avere. Circa la limosina a me basta esser certo che l'abiate fatta, e basta aver la ricievuta dal Munistero, e di me non avete a far menzione nessuna. Del bambino del Guicciardino n'ò avuto quella passione che se fussi mio figliuolo: confortagli a pazienzia e racomandami a loro. A messer Giovan Francesco mi racomanda e ringrazialo e digli, che s'io non fo verso di lui il debito, che m'abi per iscusato, perchè sono in troppe noie e massimo ora che ò perduto il porto, 187) resto a vivere in su' danari sechi. 188) Idio ci aiuti. Altro non mi acade. Di' a messer Giovan Francesco che mi racomandi al Bugiardino, 189) se è vivo.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [206]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1547).

 

CLXXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa la casa de' Corsi, tu mi scrivi che la vendita non sarà così presta per rispetto dell'avervi a murare, e che per ora ti parrebe d'atendere alla bottega, e che ài trovato uno da far compagnia seco. A me pare, che se la detta casa à il guscio delle mura di fuori sano, e che e' vi sia buon sodo, che la si debba tôrre, per dar luogo a que' danari. El di dentro si può poi aconciare a poco a poco. Dipoi comperata detta casa, ti resta tanto che tu potrai bene acompagniarti a bottega, benchè non mi par che sien tempi da mettere danari in aria: e non truovo che a Firenze sien durate le famiglie, se non per forza di cose stabile: però cònsigliati meglio: e ciò che farete, farete per voi. Circa la limosina, mi pare che tu la stracuri troppo: se tu non dài del mio per l'anima di tuo padre, manco daresti del tuo. A messer Giovan Francesco racomandami e ringrazialo e digli che circa al darti donna, che io aspetto un amico mio che non è in Roma, che mi vuol mettere inanzi tre o quatro cose: e io ve n'aviserò; e vedrem se vi sarà cosa per noi.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [207]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1547).

 

CLXXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per quel ch'io intendo per l'ultima tua della casa de' Corsi, a me pare che vi sia poco del buono e assai del cattivo: e queste case vechie, se non se n'à un gran mercato, mi par che non s'abino a tôrre; perchè come si comincia a volerle rassettare, si truova tuttavia più cattiva materia, in modo che sare' meglio farne una tutta di nuovo: e ancora mi dispiace, per non esser casa sana per rispetto de l'umidezza del terreno. Penso che peggio sia la vôlta; di che non mi scrivi niente, e secondo mi scrivi, solo il sodo è cosa buona. Del prezzo tu mi di' mille secento fiorini: io non intendo che fiorini; ma come si sieno, io credo che vi si spendere' più che la non si comperassi a restaurarla. Nondimeno sendo in luogo onorevole, io non vi dico però resolutamente che voi non la togliate, e massimo se v'è buon sodo, come mi scrivi. Però consigliatevi bene, e quello che farete, riputerò che sia sempre il meglio; perchè tener danari è cosa pericolosa. Altro non m'acade, se non che quand'e' pur siate vòlti al tôrla, fatela ben vedere e tirate il prezzo basso il più che potete.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [208]

 

――――――

 

Museo Britannico.  Di Roma, (1547).

 

CLXXXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi circa il tôr donna: che t'avisai di tre che m'era stato parlato qua, l'una è una figluola d'Alamanno de' Medici, l'altra figluola di Domenico Gugni, e l'altra figluola di Cherubin Fortini. Io none conosco nessuno di questi: però non te ne posso dir nè ben nè male, nè consigliarti più dell'una che dell'altra. Però se Michele Guicciardini volessi durarci un poco di fatica, potrebbe intender che cose sono e darcene aviso; e così se avessi notizia d'altro. Però prièganelo da mia parte e racomandami a lui. Circa il comperar casa, a me pare che innanzi al tôr donna sia cosa necessaria, perchè quella dove state so che non è capace. Però quando me ne scrivi, fa' ch'i' possa intendere le lette 190) se vuoi ch'i' ti risponda del parer mio. Messer Giovan Francesco ancora circa a questi casi potrebbe dar qualche buon consiglio, perchè è pratico e vechio: racomandami a lui. Ma sopra tutto bisognia il consiglio di Dio, perchè è gran partito: e ricòrdoti ancora che dalla moglie al marito almen vuole esser sempre dieci anni di differenzia, e aver cura che oltre alla bontà sia sana. Altro non ò che dire.

Michelagniolo in Roma. [209]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (1547).

 

CLXXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò ricievuti quattordici marzolini, e dicoti quello che altre volte t'ò scritto, che non mi mandi niente, se io non te lo fo intendere.

Circa la casa de' Corsi i' dubito che 'l mostrare che altri la voglia non sia per farti saltare. A me pare che detta casa, sendo dentro come è, che l'oferta che ài fatta stia bene: però statevi un poco a vedere.

Circa l'altra casa che tu di' verso il canto agli Alberti, mi par troppa spesa a la grandezza e al non essere anche finita: pure io dico che non posso far giudicio delle cose che io ne son sì lontano; e così ti rispondo ancora del far bottega; che la non è mia professione e non te ne so parlare. Il bene e 'l male che voi farete, à esser vostro.

Io ti scrissi circa il tôr donna di tre, di che m'è stato parlato qua: non ti consiglio di nessuna, perchè non ò notizia de' cittadini fiorentini. El Guicciardino in simil casi ti potrà aiutare. Racomandami a lui e a la Francesca.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [210]

 

――――――

 

Museo Britannico.  Di Roma, (1547).

 

CLXXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò la ricevuta della limosina, che mi piace. Circa la casa de' Corsi se e' v'è vicini che la voglino, lasciala lor pigliare, e di' che tu non vuoi dar noia a persona, e statti a vedere e aspetta d'esserne pregato. A messer Giovan Francesco racomandami e ringrazialo da mia parte, perchè gli son molto obrigato; e digli che quell'uomo da bene che gli rispose che io non ero uomo di Stato, non può esser se non gentile e discreto, perchè disse il vero: che tal pensiero mi dessino le cose di Roma, che quelle degli Stati!

D'un'altra casa che tu mi scrivi, la lettera per non la potere intendere, non ti posso anche rispondere: io non ò mai lettera da te che non mi venga la febre inanzi che io la possi leggiere: io non so dove tu t'ài imparato a scrivere. Poco amore!

Michelagniolo in Roma. [211]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( di luglio 1547).

 

CLXXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io intendo per l'ultima tua circa il comperar della casa, come Giovanni Corsi è morto, e come non sai che se ne faranno le rede della casa sua; e ancora mi scrivi che credi che quella di Zanobi Buondelmonti si venderà: e a me non piacere' manco che quella de' Corsi; ma qual si possa aver de l'una delle dua, a me pare che la si debba pigliare e non guardare in cento scudi, pur che con ogni diligenzia si cerchi buon sodo: e questo mi par da far più presto che si può, perchè avendo o volendo tu tôr donna, per ogni rispetto fa più per te tôrla, mentre son vivo, che dopo la morte mia. Io per finire di mandarvi i danari, che io stimo che possa mancare a la valuta d'una di dette case, comincierò forse di quest'altra settimana a mandarvi qualche scudo; e perchè nella tua mi mandi una lettera di qualche limosina, darai di quel che vi manderò a quella donna quello che ti parrà. Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino e a la Francesca. A messer Giovan Francesco ancora mi racomanda e fa' mie scusa, che se non fo il debito mio, è che io sono in troppo afanno.

Michelagniolo in Roma.

 

Vorrei 191) che per mezzo di messer Giovan Francesco tu avessi l'altezza della cupola di Santa Maria del Fiore, da dove comincia la lanterna insino in terra, e poi l'altezza di tutta la lanterna, e màndassimela: e màndami segniato in su la lettera un terzo del braccio fiorentino. [212]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 6 d'agosto 1547.

 

CLXXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io mando cinque cento cinquanta scudi d'oro in oro, che così ò conti qui a messer Bartolomeo Bettini. Tu ài andare per essi a' Salviati, come dice la poliza che sarà in questa. Farete la quitanza che stia bene, ciò è per tanti che n'à ricievuti qui di contanti detto messer Bartolomeo in Roma; e màndamene la copia. I detti cinque cento scudi io ve gli mando per conto di quegli che mancheranno a mille che vi mandai per la compera della casa; e di quello che ancora mancherà per detta compera, ve gli manderò quando me n'aviserete. De' cinquanta scudi dànne quattro o sei a quella donna, di chi mi mandasti una lettera per la ultima tua, se ti pare; del resto, per insino in cinquanta, quando mi manderai la ricevuta, io t'aviserò quello voglio che se ne facci. A dì sei d'agosto 1547.

Michelagniolo in Roma. [213]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( d'agosto 1547).

 

CLXXXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per la tua la ricievuta de' cinque cento cinquanta scudi d'oro in oro, com'io contai qua al Bettino. Tu mi scrivi che ne darai quattro a quella donna per l'amor de Dio: che mi piace: el resto per insino in cinquanta ancora voglio che si dieno per l'amore di Dio, parte per l'anima di Buonarroto tuo padre e parte per la mia. Però vedi d'intendere di qualche cittadino bisognioso che abbi fanciulle o da maritare o da mettere in munistero, e dàgniene, ma secretamente, e abi cura di non essere gabbato, e fàttene far ricievuta e màndamela, perchè io parlo de' cittadini e che io so che a' bisogni si vergogniono andare mendicando. Circa il tôr moglie, io ti dico che non ti posso dare 192) più una che un'altra, perchè è tanto che io non fui costà, che io non posso sapere in che condizione vi sieno i cittadini: però bisognia vi pensiate da voi: e quando àrete trovato cosa che vi piacia, àrò ben caro averne aviso.

Tu mi mandasti un braccio d'ottone, come se io fussi muratore o legnaiuolo che l'abbi a portare meco. Mi vergogniai d'averlo in casa e dèttilo via.

La Francesca mi scrive che non è ben sana e che à quattro figluoli e che è in molti afanni del none esser ben sana. Me ne sa male assai: dell'altre cose, io non credo che gli manchi niente. Circa gli afanni, io credo averne molti più di lei e òvi aggunto la vechiezza e non ò tempo da intrattenere parenti: però confortala a pazienzia da mia parte e racomandami al Guicciardino.

De' danari che io v'ò mandati, vi consiglio a spendergli in qualche cosa buona o possessione o altro, perchè è gran pericolo a tenergli, e massimo oggi. Però fate di dormire con gli ochi aperti.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [214]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (17 di dicembre 1547).

 

CLXXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per la tua d'un piato che n'è stato mosso di certe terre a Settigniano, e che io vi mandi una procura che voi possiate difenderle. La procura sarà in questa, e credo che bisogni che io vi mandi un libro di contratti che io feci fare in forma propia a ser Giovanni da Romena, che mi costò diciotto ducati; dove non può essere che e' non vi sia il contratto di dette terre; e con esso libro manderò più contratti e retificagione e altre scritture che importano ciò ch'io ò al mondo. Però vorrei che tu trovassi un vetturale fidato, e che tu lo mandassi a me quando viene a Roma; e io gli darò un fardello delle dette scritture, il qual sarà circa venti libre; e vorrei che tu facessi seco patti e non guardassi in un mezzo scudo, acciò che te le porti a salvamento: e digli che quando porterà la tua lettera della ricievuta, che ancora io gli donerò qualche cosa. Della bottega, el Guicciardino mi scrive che tu l'ài pregato ch'egli entri a compagnia; e tu mi scrivi che se' stato pregato: sie come si vuole, pur che facciate cose chiare, perchè siàn poveri d'amici e parenti, e non c'è il modo a combattere. Del nome della casa io vi metterei quel Simone a ogni modo, 193) e se è troppo lungo, chi nol può leggere, lo lasci stare. 194) [215]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 24 di dicembre 1547.

 

CLXXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi che siate stati citati per conto del Monte che sta per sodo del podere che io comperai da Pier Tedaldi, che ne voglion comperare terre che stien pure pel medesimo sodo, e che voi non potete consentire a questo senza mia licenzia. Io vi do licenzia che voi facciate tanto quanto vi pare che sia bene, quant'e' farei io se fussi costà. Della settimana passata ti mandai la procura che mi chiedesti, e scrissiti che tu trovassi un vetturale fidato, e che quando e' venissi a Roma, tu lo mandassi a me con una tua lettera, perchè gli voglio dare uno fardelletto di scritture che sarà circa venti libre, nel quale sarà un libro di contratti che feci fare a ser Giovanni da Romena, con altri contratti e scritture di grandissima importanza. Però fa' il mercato costà col vetturale e non guardare in un mezzo scudo e pagera'lo costà, acciò che lo porti più fedelmente. Altro non m'acade. A dì venti quattro di dicembre 1547.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [216]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (6 di gennaio 1548).

 

CXC.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Egli è stato oggi a me con una tua lettera uno che dice che è figliuolo di Lorenzo del Cione vetturale, per il fardello de' contratti che io scrissi di mandarti. Io non lo conosco, ma credendo che e' sia quello che tu mi mandi per essi, gniene do, e pure con sospetto, perchè è cosa che 'mporta assai. Alla ricievuta mi scriverrai per il medesimo e io gli donerò qualche cosa, come ti scrissi. Io l'ò messo in una scatola e rinvóltola bene doppiamente in panno incerato, in modo è ammagliato, in modo che l'aqqua non gli può far danno. Altro non ò che dire. A dì non so, ma oggi è Befania.

Nel libro de' contratti v'è una lettera del conte Alessandro da Canossa, 195) che io ò trovato in casa a questi dì; il quale mi venne già a visitare a Roma come parente. Àbine cura.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [217]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (16 di gennaio 1548).

 

CXCI. 196)

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per l'ultima tua la morte di Giovansimone. 197) N'ò avuto grandissima passione, perchè speravo, benchè io sia vechio, vederlo inanzi ch'e' morissi, e inanzi che morissi io: è piaciuto così a Dio: pazienzia! Àrei caro intendere particularmente che morte à fatta, e se è morto confessato e comunicato con tutte le cose ordinate dalla Chiesa; perchè quando l'abbia avute, e che io il sappi, n'àrò manco passione.

Circa le scritture e' libro de' contratti che io ti scrissi che tu mandassi il mulattiere per essi, io le dètti a quello che venne con la tua lettera, e fu el dì di Befania, se ben mi ricordo, che credo che sieno oggi dieci dì; e dèttigniene in una scatola grande rinvolta in panno incerato, amagliata e bene aconcia: però cerca d'averla e avisami della ricievuta, perchè importa assai. Altro non ti posso dir per questa, perchè ò ricievuta la lettera tardi e non ò tempo da scrivere. Racomandami al Guicciardino e a la Francesca e a messer Giovanfrancesco.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [218]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( di gennaio 1548).

 

CXCII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per la tua la ricievuta della scatola co' libro de' contratti, e come a tempo: e così pensavo che bisogniassi. Della casa de' Corsi mi pare da stare a vedere più che si può, per non essere fatto saltare. Della compagnia non acade che mi mandi copia, perchè non me ne intendo. Se tu farai bene, tu farai per te.

Circa la morte di Giovansimone, di che mi scrivi, tu la passi molto leggiermente, perchè non mi dài aviso più particolare d'ogni cosa e di quello che gli à lasciato. Io ti ricordo che gli era mio fratello, e come e' si fussi, e' non è che non mi dolga, e voglia che e' si facci del bene per l'anima sua, com'io ò fatto per l'anima di tuo padre: sì che guarda a non essere ingrato di quello ch'è stato fatto per te, che non avevi nulla al mondo. Mi meraviglio di Gismondo che non me n'abbi scritto niente, perchè toca a lui come a me; e a te toca quello che noi vogliàno e non più niente.

Michelagniolo in Roma. [219]

 

――――――

 

Museo Britannico.  Di Roma, ( del febbraio 1548).

 

CXCIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Poi che ultimamente io t'ebbi scritto, trovai una lettera in casa, dove m'avisi di tutto quello che s'è trovato di Giovansimone. Dipoi n'ò un'altra che m'avisa particularmente della morte che à fatta: di quello che è restato del suo, me ne potevi dare aviso per la prima, che io non l'avessi a sapere da altri prima che da te, com'io n'ebbi: però n'ebbi sdegnio grandissimo. Della morte, mi scrivi, che se bene non à avuto tutte le cose ordinate dalla Chiesa, che pure à avuto buona contrizione: e questa per la salute basta, se così è. Di quello che à lasciato, secondo la ragione n'è reda Gismondo, non avendo fatto testamento: e di questo io vi dico che voi ne facciate quel bene che voi potete per l'anima sua, e non abbiate rispetto a' danari, perchè io non vi mancherò di quello che farete. Circa e' contratti e le scritture che io vi mandai, riguardatele con diligenzia, perchè ancora potrebbero bisogniare. Della casa de' Corsi a me pare che tu stia in su l'oferta che tu ài fatta, perchè se la vorranno vendere, sendo come m'ài scritto, non credo che ne truovi più ne' tempi che siàno. Altro non m'acade.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [220]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (23 di febbraio 1548).

 

CXCIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi come avevo dipoi ricievuto una tua di tutto quello che aveva lasciato Giovansimone, e di tutto, secondo la ragione, n'à a essere reda Gismondo; e così gli fate quel bene a l'anima che potete, e io ancora non mancherò. Per tôr moglie, io t'avisai di tre, di che m'era stato parlato qua; no' me n'ài risposto niente: a te sta il tôrla o non la tôrre, o più una che un'altra, pur che sia nobile e bene allevata, e più presto senza dota che con assai dota, per poter vivere in pace. Altro no' mi acade. Ringrazia la Francesca e confòrtala a pazienzia, e racomandami a Michele e a lei.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [221]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( del marzo 1548).

 

CXCV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò caro che tu m'abbi avisato del bando, 198) perchè se mi sono guardato insino a ora del parlare e praticare con fuorusciti, mi guarderò molto più per l'avenire. Circa l'essere stato amalato in casa gli Strozzi, 199) io non tengo d'essere stato in casa loro, ma in camera di messer Luigi del Riccio, il quale era molto mio amico, e poi che morì Bartolomeo Angelini, non ò trovato uomo per fare le mia faciende meglio di lui, nè più fedelmente; e poi che morì, in detta casa non ò più praticato, come ne può far testimonanzia tutta Roma, e di che sorte sia la vita mia, perchè sto sempre solo, vo poco attorno e non parlo a persona e massimo di Fiorentini; e s'io son salutato per la via, non posso fare ch'i' non risponda con buone parole; e passo via: e se io avessi notizia quali sono e' fuoriusciti, io non risponderei in modo nessuno: e come ò detto, da qui inanzi mi guarderò molto bene, e massimo che io ò tanti altri pensieri, che io ò fatica di vivere.

Circa il far bottega, fate quello che a voi par di far bene, perchè non è mia professione e none posso dar buon consiglio; solo vi dico questo, che se voi mandate male i danari che avete, che voi non siate più per rifarvi.

Michelagniolo in Roma. [222]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 7 d'aprile 1548.

 

CXCVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non ò risposto prima a l'ultima tua, perchè non ò potuto. Circa al tôr donna, tu di' che ti par da lasciar passare questa state: se a te pare, pare ancora a me. Dell'andare a Loreto dell'andare a Loreto 200) per tuo padre, se e' fu boto, mi pare da sodisfarlo a ogni modo; se gli è per bene che tu voglia far per l'anima sua, io darei più presto quello che tu spenderesti per la via, costà per l'amor di Dio, per lui, che fare altrimenti: perchè portar danari a' preti, Dio sa quel che ne fanno; e ancora il perder tempo, facendo bottega, non mi pare a proposito. Però e' ti bisognia, se tu ne vuoi far bene, stare in grandissima servitù, e por da canto i pensieri della giovanezza. Altro non m'acade. Circa la casa de' Corsi, vorre' sapere se ma' poi te n'è stato parlato. Racomandami al prete, al Guicciardino e a la Francesca.

A dì 7 d'aprile 1548.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 11 d'aprile: de' dì 7 detto. [223]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 14 d'aprile 1548.

 

CXCVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò con una tua la copia della scritta della Compagnia dell'arte della lana che avete fatta. Non acadeva, perchè non me ne intendo. Credo che l'abbiate considerata bene e che la stia bene: e così piaccia a Dio. Della cosa che mi scrivi da Santa Caterina, fate quello che pare a voi, pur che facciate cose chiare, che e' non s'abbi a combattere. Della casa de' Tornabuoni, è vero che è fuor del nostro Quartiere, pure il prezzo e l'esser sicuro potrebbe aconciare ogni cosa: però àvisamene. Altro non m'acade. Vorrei che mi mandassi la mia natività, 201) come mi mandasti un'altra volta, appunto come sta in su libro di nostro padre, perchè l'ò perduta. Adì 14 d'aprile 1548.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 19 d'aprile: de' dì 14 detto. [224]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (28 d'aprile 1548).

 

CXCVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io rifiuto la redità di Giovansimone, e in questa ne sarà il contratto. Circa la casa della via de' Servi, o d'altra, io vi do licenzia che voi facciate tutto quello che vi pare il meglio e a posta vostra, purchè abiate buone sicurtà e togliate cosa onorevole e non guardate in danari. A messer Giovan Francesco mi racomanda e digli, che poi che e' mi s'è offerto di far fare a Bernardo Bini quella fede che io gli ò chiesta, per via di contratto; che io l'àrò molto cara e farammi grandissimo piacere: e tu pagerai il contratto che sarà picola cosa e màndamela, e ringràzialo e racomandami a lui.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548. Di Roma, riceuta addì 4 di magio: de' dì 28 paxato. [225]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (2 di maggio 1548).

 

CXCIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi il caratello delle pere che furono ottantasei; manda'ne trentatre al Papa: parvo'gli belle e èbele molto care. Del caratello del cacio, la Dogana dice che quel vetturale è un tristo, e che in dogana non lo portò; in modo che, com'io posso sapere che e' sia a Roma, io gli farò quello che merita, non per conto del cacio, ma per insegniarli far poca stima degli uomini. Io sono stato a questi dì molto male per non potere orinare, perchè ne son forte difettoso; pure adesso sto meglio: io te lo scrivo, perchè qualche cicalone non ti scriva mille bugie per farti saltare. Al prete di' che non mi scriva più a Michelagnolo scultore, perchè io non ci son conosciuto se non per Michelagniolo Buonarroti, e che se un cittadino fiorentino vuol far dipigniere una tavola da altare, che bisognia che e' truovi un dipintore: che io non fu' mai pittore nè scultore, come chi ne fa bottega. Sempre me ne son guardato per l'onore di mie padre e de' mia frategli, ben io abbi servito tre Papi: che è stato forza. Altro non acade. Per l'ultima del passato àrai inteso l'openione mio circa la donna. Di questi versi ch'i' ò scritti del prete, non gniene dir niente, ch'i' vo' mostrar di non avere avuto la sua lettera.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548. Di Roma, addì 7 di magio: de' dì 2 deto. [226]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 12 di maggio 1548.

 

CC.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io v'ò scritto più volte della casa e delle terre da Santa Caterina e d'ogni altra cosa, che voi facciate quello che pare a voi; dico circa il comperare, pur che d'ogni cosa v'assicuriate in modo che e' non s'abbi a piatire. Ricòrdovi che le terre che io comperai da Santa Caterina, le comperai libere e così l'ò tenute in sino a oggi; che voi non le sottomettessi a tanto l'anno, come quelle che volete comperare: però fate destinzione dall'una parte a l'altra. Altro non m'acade. Ringrazia messer Giovan Francesco, perchè mi fa gran piacere, benchè e' none importi molto. Abbi cura grandissima d'ogni picola cosa delle scritture della scatola che io ti mandai, perchè importano assai. A dì dodici di maggio 1548.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 16 di magio: de' dì 12 detto. [227]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, ( di giugno 1548).

 

CCI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò ricievuto una soma di trebbiano e òlla avuta cara; nondimeno io ti dico, che tu non mi mandi più cosa nessuna, se io non te la mando a chiedere, perchè ti manderò i danari di quello che vorrò. Circa la bottega àrei caro m'avisassi come ti riescie. Altro non ò che dire. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca e a messer Giovan Francesco.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì.... di giugno: de' dì.... detto. [228]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (28 di luglio 1548).

 

CCII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi come se' ricerco che comperi la casa de' Buondelmonti e con che patti; io ti rispondo che la casa mi piace, ma 'l modo del comperarla non mi pare altro che prestarvi su danari: però io licenzierei chi te la mette inanzi, perchè comperare una casa e non sapere se l'uomo se l'à a tenere o sì o no, mi pare una pazzia. Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 2 d'agosto: de' dì 28 paxato. [229]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 10 d'agosto 1548.

 

CCIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi che avete per le mani un podere di mille trecento fiorini fuor della Porta al Prato. Se gli è cosa buona, a me pare che voi lo togliate a ogni modo, purchè abiate buon sodo, che e' non s'abbia a combattere: e bisognia aver cura che e' sia in luogo che Arno non gli possa nuocere. Quando si trovassi da fare qualche spesa grossa in una possessione lontana da Firenze dieci o quindici miglia, cioè di tre o quattro mila scudi, io la tôrrei, quando ne potessi aver l'entrata io; perchè, avendo perduto il Porto, 202) m'è di bisognio farmi qualche entrata che non mi possa esser tolta; e più volentieri la farei costà che altrove. Io ti scrivo questo, perchè, quando intendessi di qualche cosa buona o di più o di manco prezzo, me ne dia aviso e non ne fare romore. Altro non m'acade. Saluta tutti da mia parte e racomandami a messer Giovan Francesco. Adì dieci d'agosto 1548.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 17 d'agosto: de' dì 10 detto. [230]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( d'agosto 1548).

 

CCIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – L'ultima tua lettera per non la potere nè sapere leggere, io la gittai in sul fuoco: però io non te ne posso risponder niente. Io t'ò scritto più volte, che ogni volta che io ò una tua lettera, che e' mi vien la febre, inanzi che io impari a leggierla. Però io ti dico, che da qui inanzi tu non mi scriva più, e se tu ài da farmi intender niente, togli uno che sappi scrivere, che io ò il capo a altro che stare a spasimare intorno alle tua lettere. Messer Giovan Francesco mi scrive che tu vorresti venire a Roma per qualche dì: io me ne son maravigliato, perchè avendo tu fatto la compagnia, come m'ài scritto, che tu ti possa partire. Però abbi cura di non gittare via i danari che io v'ò mandati: e similmente ancor Gismondo ne debbe aver cura, perchè chi non gli à guadagniati, non gli conoscie; e questo si vede per isperienza, che la maggior parte di quegli che nascono in richezza, la gitton via e muoion rovinati. Sichè apri gli ochi e pensa e conosci in che miserie e fatiche vivo io, sendo vechio come sono. A questi dì un cittadin fiorentino m'è venuto a parlare d'una fanciulla de' Ginori, della quale mi dice che n'è stato parlato costà a te, e che la ti piace. Io non credo che e' sia vero, e anche non te ne so consigliare, perchè no' n'ò notizia. Ma non mi piace già che tu tôgga per donna una, che se 'l padre avessi da dargli dota conveniente, non te la darebbe. Vorrei che chi ti vuol dar moglie, pensassi di darla a te, non alla roba tua. A me pare che gli abbi a venir da te il non cercar gran dota al tôr moglie, e non da altri volèrtela dare, perchè la non à dota. Però tu ài solo a desiderare la sanità dell'anima e del corpo a la nobiltà del sangue; e de' costumi e che parenti ell'à: che importa assai.

Altro non ò che dire. Racomandami a messer Giovan Francesco.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [231]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 15 di settembre 1548.

 

CCV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – E' non m'acade scriverti per questa per altro, che per far coverta a una risposta di una di Guliano Bugiardini: però dàgniene; e se non lo conosci, fàttelo insegniar da messer Giovan Francesco. Sono stato un poco di mala voglia per non potere orinare, pure ora sto assai bene. Avisami come la fai circa la bottega, e se uomo che venga di qua ti parlassi di niente da mia parte, non creder se non ne vedi mia lettere. Adì quindici di settembre 1548.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1548, addì 20 di settembre: de' dì 15 detto. [232]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (20 d'ottobre 1548).

 

CCVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per la tua delle possessione che son per vendersi in quel di San Miniato al Tedesco. Io dico che non è paese nessuno nel contado di Firenze che manco mi piaccia, per molti rispetti; pur non di meno non è da mancare d'intendere che cose sono, perchè potrebbono esser tale e tal sodo che e' sarie da pigliarle. Però intendi, ma più segretamente che puoi. Altro non m'acade per ora, e ò poco tempo da scrivere.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 25 d'ottobre: de' dì 20 detto. [233]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 29 di dicembre 1548.

 

CCVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – A questi dì m'è stato parlato di nuovo, per conto di darti donna, di dua fanciulle, le quale credo che ancora te ne scrivessi l'anno passato: e queste sono una figluola d'Alamanno de' Medici, l'altra figluola di Cherubino Fortini: in quella de' Medici credo che non sian molti danari e che anche sia troppo attempata. Dell'altra ne so manco parlare; in modo che mal ti posso consigliare più d'una che d'un'altra, perchè n'ò poca notizia: ma ben mi pare che non ci sendo di noi altri che tu, debba tôrla; ma siàno in tempi che per più conti bisognia aprir bene gli ochi: però pènsavi, e quando tu abbi più una fantasia che un'altra, avisami. Tu mi scrivesti circa un mese fa d'una certa possessione: io ò avuto, come t'ò scritto più volte, voglia di fare una entrata costà per poter viver qua senza durar fatica, perchè son vechio e non posso più; ma da un mese in qua me n'è mezzo uscita la voglia. Penserò qualche altro modo da vivere, e spero Dio m'aiuterà. Altro non acade. A' ventinove di dicembre 1548.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 3 di gennaio: de' dì 29 pasato. [234]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 18 gennaio 1549.

 

CCVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – La casa che tu mi scrivi, mi par che tu dica che la sia di quegli da Gagliano, e' quali solevano stare nella via del Cocomero, come mi scrivi, a man ritta andando verso San Marco, apresso al canto della piazza di San Nicolò. Se è questa, io no' n'ò notizia nessuna: però cercate di vederla, e se è cosa al proposito e che il luogo vi sodisfaccia, toglietela: e sopratutto bisognia aver cura del sodo e che sia casa onorevole. Circa il tôr donna, io ò inteso come le dua di che ti scrissi, son maritate. Àsi a pensare che non avea a essere: àssi a racomandarsi a Dio e aver fede che Lui t'aparechi cosa al proposito. Io son vechio, come sapete, e perchè ogni ora potrebbe esser l'ultima mia, e avendo qua un certo capitale, benchè non sia gran cosa, non vorrei però che andassi male, perchè l'ò guadagniato con molta fatica: però io ò pensato se a metterlo costà in Santa Maria Nuova fussi sicuro, per tanto se ne pigliassi qualche partito e che ancora a' mia bisogni me ne potessi servire, come per malattie o altre necessità, e che e' non mi fussi tolto. Pàrlane con Gismondo, e avisatemi del vostro parere.

Poi che ebbi scritto, parlando con uno amico mio della casa di quegli da Gagliano, me la lodò molto; se è quella di che mi scrivi, mi pare da tôrla ad ogni modo e non guardare in cento scudi, pur che 'l sodo sia buono: e avisatemi de' danari che bisogniano e a chi io gli ò a dar qua, che e' vi sien pagati. Altro non m'acade.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

A dì diciotto di gennaio 1549.

A messer Giovan Francesco digli che da un mese in qua io sono ito poco attorno, perchè non mi son sentito troppo bene, ma che io troverrò il Bettino che [235] à più pratica in Corte che non ò io, e vedrò che noi insieme gli gioviàno il più che si può. Io ò pochissime pratiche in Roma e non conosco quegli che lo possono servire; e se io richieggo un di questi d'una cosa, per ogniuna richieggon me di mille. Però mi bisognia praticar pochi: pure farò quello che potrò. Racomandami a lui.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, addì 25 di gennaio: de' dì 18 detto. [236]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (25 di gennaio 1549).

 

CCIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Il cacio che tu m'ai mandato, io ò avuto la lettera, ma non ò già avuto il cacio: credo che 'l mulattiere che l'à portato là l'abbi venduto a qualcun'altro, perchè ò mandato più volte alla Dogana per esso. Detto mulattiere à trovato mille favole e à dato tante parole, che se n'è andato: in modo che io dubito che e' non sia un tristo. Però non mi mandar più niente, che m'è più noia che utile.

Della casa m'avisasti, se è quella di quegli da Gagliano, come risposi a la tua, mi par da tôrla, come ti scrissi, perchè m'è lodata assai. Circa al tôr donna, stamani ò uno aviso di più fanciulle che s'ànno a maritare: credo che sia un sensale quello che scrive, benchè non vi metta il nome suo: e detto aviso te lo mando in questa, acciò se no' n'ài notizia, tu lo intenda, e io per quest'altra ti scriverrò il parer mio, perchè ora non ò tempo. Non mostrare a nessuno ch'io t'abbi mandato il detto aviso.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, a dì 31 di gennaio: dei dì.... detto. [237]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 1 di febbraio 1549.

 

CCX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti mandai per l'ultima mia una nota di più fanciulle da marito, la quale mi fu mandata di costà, credo da qualche sensale, e non può esser se non omo di poco giudicio, perchè send'io stato sedici overo diciasette anni fermo a Roma, dovea pur pensare che notizia io possa avere delle famiglie di Firenze.

Però io ti dico, che se tu vuoi tôr donna, che tu non stia a mia bada, perchè non ti posso consigliare del meglio; ma ben ti dico che tu non vadi dietro a' danari, ma solo a la bontà e alla buona fama.

Io credo che in Firenze sia molte famiglie nobile e povere, che sarebbe una limosina a 'mparentassi con loro, quand'e' bene non vi fussi dota; perchè non vi sarebbe anche superbia. Tu ài bisognio d'una che stia teco e che tu gli possa comandare, e che non voglia stare in su le pompe, e andare ogni dì a conviti e a nozze; perchè dove è corte, è facil cosa a diventar puttana, e massimo chi è senza parenti. E non è d'aver rispetto a dire che e' paia che tu ti voglia nobilitare, perchè gli è noto che noi siàno antichi cittadini fiorentini e nobili quant'è ogni altra casa; però racomandati a Dio e prègalo che t'aparechi il bisognio tuo: e io àrò ben caro quando truovi cosa che ti paia il proposito, innanzi che stringa il parentado, me n'avisi.

Circa la casa di che mi scrivesti, io ti risposi che la m'era lodata e che tu no' guardassi in cento scudi.

Ancora m'avisasti di un podere a Monte Spertoli: ti risposi che e' me n'era uscito la voglia, non perchè così fussi, ma per altro rispetto. Ora ti dico che quand'e' tu truovi cosa buona, e che io possa goder l'entrata, che tu me n'avisi; perchè se sarà cosa sicura, io la torrò: e della casa, quando la tolga, avisami 238] de' danari che ò a mandare; e far presto quel che s'à da fare, perch'el tempo è brieve.

Di quello che ti scrissi di Santa Maria Nuova ne sono sconsigliato: però non vi pensate. A dì primo di febbraio 1549. 203)

 

(Di mano di Lionardo.)

1548, di Roma, a dì 7 di febraio: de' dì primo detto. [239]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 9 di febbraio 1549.

 

CCXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò mandato Urbino più volte a la Dogana per conto del cacio che mi mandasti. Gli uomini della Dogana dicono che 'l vetturale l'à venduto in su l'osteria, o vero lo lasciò costà, perchè qua non misse in dogana se non cinque carategli di cacio, e' quali la Dogana tutti consegnò a' lor padroni. È forza che detto vetturale sia un gran giottone, perchè in Roma à fuggito Urbino più che gli à potuto, finchè s'è partito. Ma se ci ritorna, tu mi dirai novelle!

Della casa tu mi ài avisato del sodo che non vi sodisfa: io dico che gli è meglio non comperare niente, che comperare un piato. Di Santa Maria Nuova, io resto informato non bisognia più parlarne. Del tôr donna, io ti mandai la nota che ài ricevuto. La lettera fu portata in casa e non so da chi: e quando tu avessi qualche fantasia più d'una che d'un'altra, àrò caro me n'avisi inanzi che facci altro. Altro non m'acade e non ò anche tempo per ora. Adì nove di febbraio 1549.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [240]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 16 di febbraio 1549.

 

CCXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – In questa sarà una della Francesca, la quale, secondo che mi scrive Michele, sta molto mal contenta. Io la conforto il meglio ch'i' so: però pòrtagniene e racomandami a lei. Della casa e del podere non ò da scriverti altro: e benchè io scrivessi che gli era da far presto, perchè il tempo è breve, non è però da far sì presto, che l'uomo facci qualche errore; e quel che non si può far bene, non si debba fare. Per ora non ò tempo da scrivere altro.

A dì sedici di febraio 1549.

Michelagniolo in Roma. [241]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 21 di febbraio 1549.

 

CCXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io t'ò scritto più volte circa il tôr donna, che tu non creda a uomo nessuno che te ne parli da mia parte, se tu non vedi mia lettere. Io di nuovo te lo replico, perchè Bartolomeo Bettini 204) è più d'un anno che cominciò a tentarmi di darti una sua nipote. Io gli ò dato sempre parole. Ora di nuovo m'à ritentato forte per mezzo d'un mio amico. Io ò risposto, che so che tu ti se' vòlto a una che ti piace e che tu ài dato quasi intenzione, e che io non te ne voglio stôrre. Io t'aviso, acciò che tu sappi rispondere, perchè credo che costà te ne farà parlare caldamente. Non ti lasciare pigliare al bocone, perchè l'oferte sono assai, e tu resterai in modo, che tu non àrai bisognio. Bartolomeo è uomo dabene e servente e dassai, ma non è nostro pari, e tu ài la tua sorella in casa e' Guicciardini. Non credo che bisogni dirti altro, perchè so che tu sai che e' val più l'onore che la roba. Altro non ò che dirti. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca e digli da mia parte che si dia pace, perchè l'à di molti compagni nelle tribulazione e massimo oggi, che chi è migliore più patiscie.

A dì 21 di febraio 1549.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [242]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 15 di marzo 1549.

 

CCXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Quello che io ti scrissi per la mia ultima, non acade riplicare altrimenti. Circa il male mio del non potere orinare, io ne sono stato poi molto male, muggiato dì e notte senza dormire e senza riposo nessuno, e per quello che gudicano e' medici, dicono che io ò il mal della pietra. Ancora none son certo: pure mi vo medicando per detto male, e èmi data buona speranza. Nondimeno per essere io vechio e con un sì crudelissimo male, non ò da promettermela. Io son consigliato d'andare al bagnio di Viterbo, e non si può prima che al prencipio di maggio; e in questo mezzo andrò temporeggiando il meglio che potrò, e forse àrò grazia che tal male non sarà desso, o di qualche buon riparo: però ò bisognio dell'aiuto di Dio. Però di' alla Francesca che ne facci orazione e digli che se la sapessi com'io sono stato, che la vedrebbe non esser senza compagni nella miseria. Io del resto della persona son quasi com'ero di trenta anni. Èmi sopraggunto questo male pe' gran disagi e per poco stimar la vita mia. Pazienzia! Forse anderà meglio ch'io none stimo, co' l'aiuto di Dio; e quando altrimenti, t'aviserò: perchè voglio aconciar le cose mia dell'anima e del corpo, e a questo sarà necessario che tu ci sia; e quando mi parrà tempo, te ne aviserò: e senza le mia lettere non ti muover per parole di nessun altro. Se è pietra, mi dicono i medici che è in sul prencipio e che è picola: e però, come è detto, mi dànno buona speranza.

Quando tu avessi notizia di qualche estrema miseria in qualche casa nobile, che credo che e' ve ne sia, avisami, e chi; che per insino in cinquanta scudi io te gli manderò che gli dia per l'anima mia. Questi non ànno a diminuir niente di quello che ò ordinato lasciare a voi: però fallo a ogni modo.

A dì 15 di marzo 1549.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [243]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 23 di marzo 1549.

 

CCXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi per l'ultima mia del mio male della pietra, il quale è cosa crudelissima, come sa chi l'à provato. Dipoi sendomi stato dato a bere una certa aqqua, m'à fatto gittar tanta materia grossa e bianca per orina con qualche pezzo della scorza della pietra, che io son molto megliorato; e abiàno speranza che in breve tempo io n'abbi a restar libero; grazia di Dio, e di qualche buona persona: e di quello che seguirà, sarete avisati. Della limosina che ti scrissi, non acade replicare: so che cercherai con diligenzia.

Questo male m'à fatto pensare d'aconciare i casi mia dell'anima e del corpo più che io non àrei fatto: e ò fatto un poco di bozza di testamento come a me pare, la quale per quest'altra se potrò ve la scriverrò, e voi mi direte il parer vostro: ma vorrei bene che le lettere andassino per buona via. Altro non m'acade per ora.

A dì 23 di marzo 1549.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [244]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 29 di marzo 1549.

 

CCXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò mandato stamani per Urbino, a dì ventinove di marzo 1549, a Bartolomeo Bettini scudi cinquanta d'oro in oro, acciò ne facci quello che ti scrissi. Tu m'ài avisato d'uno de' Cerretani 205) che à a mettere una fanciulla in munistero: io no' n'ò notizia nessuna. Guarda di dare dove è 'l bisognio e non per amicizia nè per parentado, ma per l'amore di Dio, e fa' d'averne ricievuta, e non dir donde si vengino. In questa sarà la poliza del Bettino di detti danari. Va per essi e avisa.

Àrei a scriver più cose, come ti scrissi, ma lo scrivere mi dà noia, perchè non mi sento bene: pure a rispetto a quello che sono stato, mi pare essere risucitato; e perchè ò cominciato a gittare qualche poco della pietra, ò buona speranza.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [245]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 5 d'aprile 1549.

 

CCXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Della settimana passata mandai per Urbino al Bettino scudi cinquanta d'oro in oro, i quali ti facessi pagare costà. Credo gl'àrai ricievuti e che ne farai quel tanto che ti scrissi, o a quello de' Ceretani o a altri, dove vedrai il bisognio: e dara'ne aviso. Circa l'aconciare i casi mia di che ti scrissi, io non volevo dire altro, se non che per esser vechio e amalato, che mi pareva di far testamento. E 'l testamento è questo: ciò è di lasciare a Gismondo e a te ciò che i' ò, in questo modo: che tanto n'abbi a far Gismondo mio fratello, quante tu mio nipote, e che delle cose mia none possa pigliar partito nessuno l'uno senza il consenso dell'altro; e questo, quando vi paia far per via di notaio, io sempre retificherò.

Circa la malattia mia, io sto asai meglio. Noi sia' certi che io ò la pietra, ma è cosa picola e per grazia di Dio e per virtù dell'aqua ch'i' beo, si va consumando a poco a poco, in modo ch'i' spero restarne libero. Ma pure, perchè son vechio e per molti altri respetti, àre' caro quel mobile che ò qua tenerlo costà, che stéssi a' mia bisogni e poi restassi a voi: e questo sarebbe un circa quattro mila scudi; e massim'ora, che avendo andare al bagnio, mi vorrei star qua più spedito ch'i' potessi. Sie con Gismondo e pensateci un poco e avisate, perchè è cosa che non fa manco per voi che per me.

Circa il tôr donna, stamani m'è stato a trovare uno amico mio e àmi pregato ch'io ti dia aviso d'una figluola di Lionardo Ginori, nata per madre de' Soderini. Io te ne do aviso come sono stato pregato, ma non te ne so parlare altrimenti, perchè no' n'ò notizia: però pènsavi bene e non aver rispetto a cosa nessuna; e quando se' resoluto, rispondimi, acciò ch'i' possa rispondere o del sì o del no a l'amico mio.

A dì cinque d'aprile 1549.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [246]

 

Io àrei bene avuto caro che inanzi che avessi tolto donna, avessi comperato una casa più onorevole e capace che quella ove siate, e io v'àrei mandati i danari.

Questo ch'io ti scrivo di quella de' Ginori, te lo scrivo solo perchè sono stato pregato, non perchè pigli più una che un'altra. Fa' pure secondo che ti va a fantasia e non aver rispetto nessuno, come altre volte t'ò scritto. A me basta saperlo inanzi al fatto: però cerca e pènsavi e non indugiare, quando abbi il capo a simil cosa. [247]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 13 d'aprile 1549.

 

CCXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò avuto la ricievuta de' cinquanta scudi dal Munistero. Piacemi che gli abbi allogati bene, nè acade dirne altro. Per l'ultima mia ti scrissi come ero stato pregato ti déssi aviso d'una figluola di Lionardo Ginori; e così feci. Àspettone risposta, per rispondere a l'amico mio: e benchè io t'abbi dato questo aviso, non fare però se non tanto, quanto a te piace e non guardare al mio scrivere. Cònsigliati bene, e se non te ne contenti, rispondimi senza rispetto, acciò possa licenziare l'amico. Io ti scrissi che àrei avuto caro di tener costà certi danari, come àrai inteso, per istar qua con manco pensieri, e massimo sendo io vechio: però, quando si possa fare che io ne sia sicuro, lo fare' volentieri, ma non vorrei uscir della padella e cascar nella brace. Credo, quando si trovassi da mettergli in beni, cioè in terre o in case, che non ci sia altro modo sicuro: sì che pensatevi, perchè fa per voi. Circa la casa di che mi scrivi apresso al Proconsolo, il luogo a me non sodisfa, come fa quella della via del Cocomero. Quando si fussi potuta avere con buon sodo, non mi par si sie trovato meglio. Del mio male io ne sto con buona speranza, perchè vo pur megliorando, grazia di Dio; ma pur credo mi bisognierà andare al bagnio: che così dicono i medici. Io ebbi nella tua una del Bugiardino: 206) un'altra volta non mettere in tua lettere quelle di nessuno altro, per buon rispetto. El Bugiardino è buona persona, ma è sempice uomo: e basta. Quando tu fussi richiesto di mandarmi lettere nelle tua, di' che non t'acade scrivermi.

A dì 13 d'aprile 1549.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [248]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 25 d'aprile 1549.

 

CCXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non ti potetti scrivere sabato, perchè ebbi la tua troppo tardi, e oggi a' dì 25 d'aprile 1549 ò un'altra tua dei venti di detto del medesimo tenore. Circa il podere di Chianti, io dico che a me piace più presto di comperare, che tener danari; e se detto podere è cosa buona, a me pare da tôrlo a ogni modo e massimo sendo buon sodo, come mi scrivete. Ma ben mi par da vederlo prima; e piacendovi, tôrlo a ogni modo e non guardare in cinquanta scudi: e così vi do commessione, che, piacendovi, voi lo togliate a ogni modo e non guardiate in danari e avisiate; e súbito vi farò pagare costà quello che monterà: e quando ne fussi in vendita qualcun'altro d'altrettanta spesa, con simil sodo, dico che v'attendiate, e manderò ancora i danari di quello, perchè è meglio che tenergli perduti: overo in una casa, quando si truovi.

Circa 'l mio male, io ne sto assai meglio, e spero, con maraviglia di molti; perchè ero tenuto per morto, e così mi credevo. Ò avuto buon medico, 207) ma più credo agli orazioni che alle medicine. Non altro. Per quest'altra ti scriverrò altre cose. 208) [249]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (2 di maggio 1549).

 

CCXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Com'io t'ò scritto un'altra volta, così ti raffermo per questa, cioè che voi andiate a vedere il podere di Chianti, di che m'ài scritto, e se è cosa che vi piaccia, lo togliate a ogni modo e non guardate in cinquanta scudi: e così vi do commessione libera, cioè che sendo cosa buona, lo togliate a ogni modo e non guardate in danari: e avisatemi, perchè vi manderò súbito quello che monterà.

Circa il tôr donna, io ti scrissi d'una figluola di Lionardo Ginori, com'io fu' pregato qua da uno amico mio. Tu mi rispondesti, ricordandomi quello di tal cosa ti scrissi l'anno passato. Io te lo scrissi, perchè ò paura delle pompe e delle pazzie che vògliano queste case di famiglia, e perchè tu non avessi a essere stiavo d'una donna. Nondimeno quande la cosa ti piacessi, non àresti a guardare al mio scrivere, perchè de' cittadini di Firenze io ne sono igniorantissimo. Però se ti piace tal parentado, non avere cura a quel ch'i' scrissi, e se non ti piace, none far niente; perchè della donna t'ài a contentar tu: e quando ne sarai contento tu, ne sarò contento anch'io. Rispondi liberamente, che io non ò interesso qua con amico nessuno, perch'io abbi a fare più che per te. Del mal mio crudele che io ò avuto, send'io stato tenuto morto, isto tanto bene, che mi pare esser risucitato. Altro non m'acade. Rispondi quando se' risoluto, e non far mai cosa a stanza di nessuno, che interamente non ti contenti.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [250]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 11 di maggio 1549.

 

CCXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io resto avisato per l'ultima tua del podere di Chianti. Però, poi che è cosa buona, fate che e' vi resti a ogni modo e non guardate i' danari. Tu mi scrivi di nuovo di quello da Monte Spertoli e d'una bottega che si vende in Porta Rossa; e io vi dico, che se voi trovate buon sodo, che voi togliate ancora la bottega e 'l podere se è cosa buona, e dòvi commissione libera, che per insino in quattro mila scudi d'oro in oro, che voi gli spendiate e non abbiate rispetto se non a' sodi: e questo fia meglio che tenere in su i banchi, perchè non me ne fido; e sia qual si voglia. Del tôr donna, di quella che io ti scrissi che m'avea parlato un mio amico, non me n'avendo tu risposto altrimenti, io ò licenziato l'amico e dittogli che cerchi suo ventura. Altro non m'acade. Come ò detto di sopra, comperate liberamente dove i sodi son buoni, e più presto che si può, e avisate.

A dì undici di maggio 1549.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [251]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 25 di maggio 1549.

 

CCXXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per l'ultima tua intendo come vi sono restate le possessione di Chianti. 209) Mi pare che tu dica per dumila trecento fiorini di sette lire l'uno. Se son cose buone, come mi scrivi, avete fatto bene a non guardare in danari. Io ò portato a Bartolomeo Bettini scudi cinque cento d'oro in oro che te gli facci pagare costà per principio del pagamento, e quest'altro sabato per gli Altoviti ne manderò altri cinque cento; e come e' c'è Urbino, che andò più dì fa a Urbino, che ci sarà infra otto o dieci dì, vi manderò il resto. Gli scudi d'oro in oro che io vi mando, vaglion qua undici iuli l'uno. Della possessione di Monte Spertoli, quando sia cosa buona e che e' la vendino in popilli, fate che anche quella vi resti, e non guardate in danari. Altro non m'acade. Va' pe' detti danari, e avisa. E in questa sarà la poliza del cambio. 210)

A dì venti cinque di maggio 1549. [252]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 1 di giugno 1549.

 

CCXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Stamani a dì primo di gugnio 1549 ò portato agli Altoviti scudi mille d'oro in oro e cinquecento n'ò portati a Bartolomeo Bettini, che te gli faccino pagare costà per conto del pagamento del podere di Chianti. Le polize del cambio e degli Altoviti e del Bettino saranno in questa. Però va' per essi e scrivimi quello che manca, acciò si facci presto per rispetto della ricolta come mi scrivi. Del podere di Monte Spertoli, dicovi che v'attendiate se è cosa buona e non guardiate in danari, ma non dico però che per averlo si pagi il doppio più che e' non vale, com'io credo sie fatto di questo di Chianti; ma che e' non si guardi in cinquanta scudi. Del mio male sto assai meglio, che non si credeva. Altro non m'acade. Scrivi quel che bisognia.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [253]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (8 di giugno 1549).

 

CCXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa il podere da Monte Spertoli, avendo a pagare più che non vale, quattro cento scudi, mi par cosa disonesta. Dubito che e' non paia che voi n'abbiate troppa voglia e che voi non siate fatti saltare. Io non credo che sievi chi lo comperre' tanti scudi più che e' non vale. In cinquanta o cento scudi non è da guardare: pure io la rimetto in voi, se vi par di tôrlo, toglietelo, che ciò che voi farete, sarà ben fatto. La procura io non l'ò potuta fare, ma intendo sì male le tua lettere che mi fanno ogni volta venire la febbre a leggierle. Vedrò di farla in quest'altra settimana, se intendo come. Io ò avuto il trebbiano: il fardelletto di che mi scrivi, non è ancora venuto. Del mio male io ne sto assai bene, a rispetto a quel che sono stato. Io ò beuto circa dua mesi sera e mattina d'una aqqua d'una fontana che è quaranta miglia presso a Roma, la quale rompe la pietra: e questa à rotto la mia e fàttomene orinar gran parte. Bisògniamene fare amunizione 211) in casa e non bere nè cucinar con altra, e tenere altra vita che non soglio. 212) [254]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (15 di giugno 1549).

 

CCXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi il ruotolo della rascia: parmi che sia molto bella: ma era meglio che tu l'avessi data per l'amor di Dio a qualche povera persona. Circa al contratto di che mi scrivi, io dico che l'Uficio de' popilli suole essere un male uficio: però bisognia aprir gli ochi, e sare' buono farlo volgare, acciò che ogn'uomo l'intendessi. E' danari che io t'ò fatti pagare dal Bettino, credetti gli avessi costà súbito; e io credo che e' sieno ancora qua, in modo che la ricolta che tu mi scrivesti di quest'anno non s'àrà. Del podere di Monte Spertoli ti scrissi a bastanza. Quattro cento scudi di più che e' non vale, sarebbe un altro podere. Però mi pare d'andare adagio. La procura che mi chiedi sarà in questa.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [255]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (12 di luglio 1549).

 

CCXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Le terre di che mi scrivi che sono in Chianti apresso apresso 213) c'avete comperato, mi pare da tôrle a ogni modo, quando vi sia buon sodo per dugento cinquanta scudi: che come mi scrivi della copia del contratto e d'altri conti, a me basta che le cose sien fatte fedelmente e che le stien bene: non mi curo d'altro: e avisate di quel che bisognia. Non ò tempo da scrivere altrimenti.

Michelagniolo in Roma. [256]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 19 di luglio 1549.

 

CCXXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per l'ultima tua tutte le spese fatte nella possessione di Chianti: la qual cosa non acadeva, perchè se son bene spesi, come mi scrivi, ogni cosa sta bene. Delle terre che confinano con detta possessione, di che mi scrivesti, ti risposi che le togliessi se v'era buon sodo. Di Monte Spertoli non è poi seguìto altro. Sarà buon tôrlo, quando fussi in vendita, sendovi il sodo de' popilli, come mi scrivesti. A questi dì ò avuto una lettera da quella donna del Tessitore che dice averti voluto dare per moglie una per padre de' Capponi e per madre de' Nicolini, la quale è nel munistero di Candeli; e àmmi scritto una lunga bibbia con una predichetta che mi conforta a viver bene e a far delle limosine: e te dice aver confortato a viver da cristiano, e dèbbeti aver ditto che è spirata da Dio di darti detta fanciulla. Io dico che la fare' molto meglio attendere a tessere o a filare, che andare spacciando tanta santità. Mi par che la voglia essere un'altra suor Domenica: 214) però non ti fidar di lei. E circa al tôr donna, come mi par che sia necessario, io di più una che un'altra non ti posso consigliare, perchè non ò notizie de' cittadini, come tu puoi pensare e come altre volte t'ò scritto: però bisognia che tu stesso bisognia 215) vi pensi e cerchi con diligenzia e pregi Idio che t'acompagni bene: e quando trovassi cosa che ti piacessi, àre' ben caro, inanzi l'effetto, me n'avisassi. Altro non m'acade.

A dì 19 di luglio 1549.

Michelagnolo in Roma. [257]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (3) d'agosto 1549.

 

CCXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per l'ultima tua mi scrivi del podere di Monte Spertoli che e' non è al proposito: non bisognia più pensarvi. Circa la casa, non trovando da comperarne una, mi di' che si potrebbe rassettar la nostra dove state, e che sarebbe una spesa di sessanta scudi. Io dico che se a te pare, che tu lo facci, acciò che questo non tenga adietro il tôr donna. Ma perchè la casa è in cattivo luogo per rispetto del fiume, non mi par però da spendervi molto, avendone a comperare un'altra. Pure fa' tanto quante conosci il bisognio. Altro non m'acade, nè ò tempo da scrivere.

A dì.... d'agosto 1549.

Michelagniolo in Roma. [258]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (18 d'agosto 1549).

 

CCXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Oggi fa quindici dì ti risposi circa la casa di via Gibellina che tu l'aconciassi come ti pareva, per tanto che se ne truovi un'altra; e così ti rafermo. Altro non ti scrivo per ora, perchè non ò tempo.

Michelagniolo in Roma. [259]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (25 d'agosto 1549).

 

CCXXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Questa è per coverta d'una della Francesca. Dàlla súbito. Non mi acade altro. Dell'aconciare la casa, ti scrissi che tu facessi tanto quanto ti parea necessario. Delle terre di Chianti vicine a le comperate, ti scrissi per giusto prezzo le togliessi, quando vi fussi buon sodo: e così ti rafermo.

Michelagniolo in Roma. [260]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 21 di dicembre 1549.

 

CCXXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per risposta dell'ultima tua, egli è vero che i' ò avuto grandissimo dispiacere e non manco danno della morte del Papa, 216) perchè ò avuto bene da Sua Santità e speravo ancora meglio. È così piaciuto a Dio: bisognia aver pazienzia. La morte sua è stata bella, con buon conoscimento in sino all'ultima parola. Idio abbi misericordia dell'anima sua. Altro non mi acade circa questo. Le cose di costà credo vi vadin bene, e de' casi del tôr tu donna non mi pare che se ne parli più: penso che tu vi pensi e che non vegga ancora cosa al tuo proposito. Circa l'esser mio, io mi sto col mio male il me' ch'i' posso, e a rispetto agli altri vechi non ò da dolermi, grazia di Dio. Qua s'aspetta d'ora in ora il Papa nuovo. Iddio sa 'l bisognio de' Cristiani e basta. Racomandami al prete. Altro non m'acade. A dì ventuno di dicembre 1549.

Michelagniolo in Roma. [261]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 16 di febbraio 1550.

 

CCXXXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa le terre di Chianti di che mi scrivi, io non ti posso rispondere, se io non so come voi state a danari.

Tu mi scrivesti più tempo fa, che volevi rassettar la casa di via Gibellina, non trovando altra casa da comperare; dipoi non so quello che t'abbi fatto o speso o che ti resta.

Se tu ricerchi le mia lettere, tu troverrai che già molti mesi sono che io ti scrissi, che dubitando che 'l Papa per la vechiezza non mi mancassi, volevo far costà, più presto che altrove, una entrata che in mia vechiezza non avessi a mendicare, e massimo avendo fatto rico altri con grandissimi stenti. Però àvisami come le cose stanno e io ti risponderò. Qua mi truovo poco capitale, e quel poco se lo spendessi costà, mi potre' qua morir di fame. Però, come è detto, avisa e come le cose vanno, e io penserò anch'io al fatto mio e risponderotti. Altro non acade.

A dì sedici di febraio 1550.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1549, di Roma, a dì 21 di febraio: de' dì 16 predetto. [262]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 1 di marzo 1550.

 

CCXXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non ti scrissi che tu mi rendessi tanti conti, ma che io non ti potevo rispondere delle terre di Chianti, se non mi avisavi come voi vi trovavi danari, perchè del capitale che mi restava qua ne volevo fare qualche entrata per me. Ora mi pare, secondo che m'avisi, che e' vi resti danari da potere comperare dette terre: però attendetevi; e se trovate che vi sia buon sodo, toglietele a ogni modo, se vi pare che le sien cosa buona e a proposito: e io penserò qua a' casi mia.

Vero è che quando avessi trova(to) costà da farmi una entrata di cento scudi l'anno, l'àrei fatta, e fare'la ancora quando potessi o credessi valermene a' mia bisogni: ma credo none sare' niente, come ti scrissi.

A dì primo di marzo 1550.

Michelagniolo in Roma. [263]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 7 d'agosto 1550.

 

CCXXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Poi la ricevuta del trebbiano e delle camicie non m'è acaduto scriverti; ora, perchè mi tornerebbe bene avere dua Brevi di papa Paolo, 217) dove si contiene la provigione che Sua Santità mi fa a vita, stando a Roma al suo servizio: i quali Brevi mandai costà con l'altre scritture nella scatola che tu ricevesti, e gli ànno a essere in certi stagniati: so che gli conoscerai: però gli puoi involtargli 'n un poco d'incerato e mettergli 'n una scatoletta bene amagliata: e se vedi di potermegli mandare per un fidato, che e' non vadin male, màndamegli e condànnagli in quel che ti pare, acciò che mi sien dati. Io gli voglio mostrare al Papa, acciò che vegga che secondo quegli io son creditore, credo, di più di dumila scudi di suo' Santità: non già che tal cosa m'abbi a giovare, ma per mio contento. Credo che 'l procaccio gli potrebbe portare, perchè son picola cosa.

Del caso del tôr donna non se ne parla più, e a me è detto da ognuno che io ti die moglie; come se io n'avessi mille nella scarsella. Io non ò modo da pensarvi, perchè non ò notizia de' cittadini. Àrei ben caro e sare' necessario che tu la togliessi; ma io non posso far altro, come più volte t'ò scritto.

Altro non m'acade. Racomandami al prete e agli amici. A dì 7 d'agosto 1550.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1550, di Roma, adì 13 d'agosto: de' dì 7 detto. [264]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 16 d'agosto 1550.

 

CCXXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per l'ultima tua mi scrivi, come il Cepperello vuol vendere il podere che confina co' nostri a Settigniano, e che quella donna che l'à a vita; se ben è forza che lo tenga insino a la morte; trovando detto Cepperello da venderlo ora, le verebbe del prezzo quel tanto che si conviene di quel tempo che detta donna può vivere; entrando dopo la morte sua in possessione. A me non pare che la sia cosa da fare per molti casi che possono avenire, che sarien pericolosi, non sendo in possessione: però bisognia aspettare che la muoia: e se 'l Cepperello mi viene a parlare, gli dirò l'animo mio: non son già per andare a trovar lui.

Ti scrissi de' dua Brevi, come àrai inteso: se vedi di potermegli mandare per un fidato che io gli abia, màndamegli; se non, làsciagli stare.

Circa il tôr donna, tu mi scrivi che vuoi prima venir qua a parlarmi a boca: io circa al governo sto molto male e con grande spesa, come vedrai; per questo non dico che tu manchi di venire, ma parmi che e' sia da lasciar passare mezzo settembre, e in questo mezo se mi trovassi una serva che fussi buona e netta; benchè sie difficile, perchè son tutte puttane e porche; avisami: io do dieci iuli il mese; vivo poveramente, ma io pago bene.

A questi dì m'è stato parlato per te d'una figluola d'Altovito Altoviti: non à padre nè madre, e è nel munistero di San Martino. Non conosco e non so che mi ti dire intorno a ciò. A dì 16 d'agosto 1550.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1550, di Roma, addì 20 d'agosto: de' dì 16 detto. [265]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 22 d'agosto 1550.

 

CCXXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò ricevuto i Brevi, e pagato tre iuli come mi scrivi.

Del podere del Cepperello ti risposi che comperarlo e pagarlo ora, e non entrare ora in possessione, non mi parea cosa da farla: non ò poi inteso altro.

Scrissiti ultimamente d'una serva: ora credo essermi provisto: però none cercare altrimenti.

Del tôr donna, mi scrivesti che prima mi volevi parlare a boca; ti risposi che da mezzo settembre in là potevi venire a tua posta; benchè potresti far di manco, perchè tanto ti saperrò io dire de' cittadini di Firenze a boca qua, quant'io te ne so scrivere; che none so niente; perchè non pratico con nessuno, nè con altri. Altro non mi acade.

Saluta la Francesca da mia parte e digli che come posso risponderò a la sua, e che attenda a star sana.

A 22 d'agosto 1550.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1550, di Roma, addì 27 d'agosto: de' dì 22 detto. [266]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 31 d'agosto 1550.

 

CCXXXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa il podere del Cepperello, tu mi scrivi che lo potrebbe comperare tale che no' l'àremo per male; di questo io me ne fo beffe, perchè so che a Firenze si fa buona iustizia. Ma perchè e' vi sta bene, se vi si truova buona sicurtà, toglietelo; ma non so come vi troviate danari, perchè non son per mandarvene più: chè quel capitale che m'è rimasto, ne voglio fare qua entrata per me.

Ti scrissi la ricievuta del Breve, e secondochè abiàn visto, resto creditore di più di dumila scudi d'oro: non so che si seguirà: non ci ò speranza nessuna.

Della serva, ti scrissi come m'ero provisto. Avisami del sopra detto podere quello che ne domanda.

A dì ultimo d'agosto 1550.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1550, addì 4 di setembre: de' dì 31 del passato. [267]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 6 di settembre 1550.

 

CCXXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivesti del podere del Cepperello che lo comperrebbe qualcuno che lo àremo per male; e io per l'ultima ti risposi che voi lo comperassi, ma che io non ero per mandarvi più danari. Non ò poi inteso altro da voi. Circa al venire qua; quanto al venire qua per vicitarmi, queste vicitazione oramai io so di che sorte le sono; se none avessi a venir per altro, potresti per tal conto non venire: ma poi che ti piace venire, per quello che mi scrivi, vien più presto che puoi, acciò che nanzi le piove sia ritornato costà. Altro non m'acade. A dì sei di settembre 1550.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1550, di Roma, addì 11 di setembre: de' dì 6 detto. [268]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (4 d'ottobre 1550).

 

CCXXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per l'ultima m'avisi che se' a ordine per venire a Roma, e che innanzi che parta, aspetterai una mia e poi partirai. Non m'acade dirti altro. Ricievuta questa, pàrtiti a tu' posta. Credo sapra' in Roma trovar la casa, cioè a riscontro a Santa Maria del Loreto presso al Macello de' Corvi.

A dì 4 d'ottobre 1550.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1550, di Roma, addì 10 d'otobre: de' dì 4 detto. [269]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 14 di novembre (1550).

 

CCXL.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebi la tua da Aqualagnia, e tanto si fece, quanto scrivesti; e oggi a' 14 di novenbre ò la tua dell'essere arrivato a Firenze con buon tempo: di tutto sie ringraziato Iddio.

Circa a' ravigguoli, io gli ebbi, ma tutti apicati insieme e guasti. Credo gl'incassasti troppo freschi, o forse ebon dell'aqqua per la via: peraltro eron molto begli. Altro non ò che scriverti per ora.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Ieshus. 1550. Da Roma, addì 21 di novembre: de' dì 15 detto. [270]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 20 di dicembre 1550.

 

CCXLI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi e' marzolini, cioè dodici caci. Sono molto begli: ne farò parte agli amici e parte per casa. E come altre volte v'ò scritto, non mi mandate più cosa nessuna, se io non ve ne chieggo, e massimo di quelle che vi costano danari.

Circa il tôr donna, come è necessario, io non ò che dirti; se non che tu non guardi a dota, perchè e' c'è più roba che uomini: solo ài aver l'ochio a la nobiltà, a la sanità, e più alla bontà, che a altro. Circa la bellezza, non sendo tu però el più bel giovane di Firenze, non te n'ài da curar troppo, purchè non sia storpiata nè schifa. Altro non m'acade circa questo.

Ebbi ieri una lettera da messer Giovanfrancesco che mi domanda se io ò cosa nessuna della Marchesa di Pescara. 218) Vorrei che tu gli dicessi che io cercherò e risponderògli sabato che viene; benchè io non credo aver niente: perchè quando stetti amalato fuor di casa, mi fu tolto di molte cose. Àrei caro, quando tu sapessi qualche strema miseria di qualche cittadino nobile e massimo di quelli che ànno fanciulle in casa, che tu m'avisassi, perchè gli farei qualche bene per l'anima mia.

A dì 20 di dicembre 1550.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [271]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 28 di febbraio 1551.

 

CCXLII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per l'ultima tua, circa il tôr donna, intendo come ancora none se' a cosa nessuna: mi dispiace; perchè è pur cosa necessaria tôrla, e come altre volte t'ò scritto, non mi pare che tu, avendo quel che tu ài e quel che tu àrai, che tu abi a guardare a dota, ma solo a la bontà, a la sanità e a la nobilità, e far conto quando una bene allevata, buona, sana e nobile non abbi niente, di tôrla per fare una limosina; e quando questo facessi, non saresti obrigato a le pompe e pazzie delle donne; onde ne seguiteria più pace in casa: e del parer di volersi nobilitare, come già mi scrivesti, questo non è cosa valida, perchè si sa che noi siàn antichi cittadini fiorentini. Però pensa a quello che io ti scrivo, perchè tu non se' anche di sorte e di persona, che tu sia degnio della prima bellezza di Firenze. Racomandati, acciò che tu non ti inganni.

Della limosina che io ti scrissi far costà, tu mi rispondesti ch'i' t'avisassi quant'io volevo dare, come se io avessi 'l modo a dar qualche centinaio di scudi. Quand'e' tu fusti qua ultimamente, mi portasti un pezzo di panno, il quale mi parve intendere che ti fussi costo da venti a venti cinque scudi, e questi e questi, 219) pensai allora di dargli in Firenze per l'anime di tutti noi. Dipoi per la carestia grande che c'è qua, si son convertiti in pane e anche se non c'è altro socorso, dubito non ci moriàno tutti di fame.

Altro non mi acade. Racomandami al prete e quando potrò, risponderò a quel che già mi domandò.

A dì ultimo di febraio 1551.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1550, di Roma, addì 5 di marzo: de' dì 28 paxato. [272]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 7 di marzo 1551.

 

CCXLIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi le pere, cioè novanta sette bronche, poi che così le battezzate. Non mi acade altro circa questo. Del caso del tôr donna, te ne scrissi sabato passato il parer mio, cioè che tu non abbi rispetto a dota, ma solo all'esser di buon sangue, nobile, e bene allevata e sana: altro non so che dirti di cose particulare, perchè di Firenze io ne so quel che uno che non v'è mai stato. Èmmi a questi dì stato parlato d'una degli Alessandri, ma non ò inteso particular nessuno. Se ne intenderò, per quest'altra te ne darò aviso.

Messer Giovanfrancesco mi richiese circa un mese fa di qualche cosa di quelle della Marchesa di Pescara, se io n'avevo. Io ò un libretto in carta pecora che la mi donò circa dieci anni sono, nel quale è cento tre sonetti, senza quegli che mi mandò poi da Viterbo in carta bambagina, che son quaranta; i quali feci legare nel medesimo libretto e in quel tempo li prestai a molte persone, in modo che per tutto ci sono in istampa. 220) Ò poi molte lettere che la mi scrivea da Orvieto e da Viterbo. Ecco ciò ch'io ò della Marchesa. Però mostra questa a detto prete, e avisami di quello che ti risponde.

Circa i danari ch'i' ti scrissi già dar costà per limosina, com'io credo ti scrivessi sabato, mi bisognia convertirgli in pane per la carestia che c'è, in modo che se non ci aparisce altro socorso, dubito che non abbiàno a morir tutti di fame.

A dì 7 di marzo 1551.

Michelagniolo in Roma. [273]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 8 di maggio 1551.

 

CCXLIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa il tôr donna; della medesima cosa che mi scrivi ora, me ne parlasti qua quando ci fusti, e allora me ne informai e none trovai se non bene; però ti dico, che la fanciulla per padre e per madre mi piace assai. L'altre cose, cioè di sanità e di tempo, le puoi intendere meglio costà: però se ti pare di farne parlare come mi scrivi, io la rimetto in te, e Dio ci facci grazia del meglio.

Circa i' libretto de' sonetti della Marchesa, io non lo mando, perchè lo farò copiare prima, e poi lo manderò. Altro non acade.

A dì 8 di maggio 1551.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1551; addì 14 di magio: de' dì 8 deto. [274]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 22 di maggio 1551.

 

CCXLV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti risposi pel passato com'io m'ero informato della cosa de' Nasi, e che io non avevo trovato se non bene. Dipoi m'è stato di nuovo riparlato d'una figluola di Filippo Girolami, per madre d'una sorella di Bindo Altoviti: io non ò notizia che cosa si sia; pure non ò voluto mancare di dartene aviso. Questa de' Nasi, per la informazione ch'io n'ò, quando sia così, mi piace, e così ti scrissi. Però attendendoci tu, àrò caro m'avisi quello che ne segue, e ancora m'avisi quello che intendi dell'altra de' Girolami.

Di maggio a dì 22 1551.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1551, di Roma, a dì 27 di magio: de' dì 22 decto. [275]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 28 di giugno 1551.

 

CCXLVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi, oggi fa otto dì, una soma di trebbiano, cioè quaranta 4 fiaschi; ònne presentato a più amici: è stato tenuto il meglio che quest'anno sia venuto a Roma. Ti ringrazio, nè altro ò che dir circa questo.

Della cosa de' Nasi tu mi scrivi che non ài ancora avuto risposta da Andrea Quaratesi: io non credo che per simil cose sia da fondarsi molto ne' casi sua; e 'l tempo con questo aspettare passa e non ritorna. A me pare, quand'e' si truovassi una fanciulla nobile, bene allevata e buona e poverissima; che questa sarebbe, per istare in pace, molto a proposito; tôrla senza dota per l'amore di Dio; e credo che in Firenze si truovi simil cose: e questo a me piacerebbe molto, acciò che tu non ti obrigassi a pompe e a pazzie, e che tu fussi ventura a altri, come altri è stato a te: ma tu ti truovi rico, e non sai come. Non mi vo' distender più a narrarti la miseria in che io trovai la casa nostra, quand'io cominciai aiutarla; che non basterebbe un libro; e mai ò trovato se non ingratitudine: però fa di riconoscer da Dio il grado in che tu se', e non andar drieto a pompe e a pazzie.

A dì 28 di gugnio 1551.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1551, addì 2 di luglio: de' dì 28 del paxato. [276]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (17) d'ottobre 1551.

 

CCXLVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Per l'ultima tua intendo come ti se' informato di quella de' Girolami, e che none senti altro che bene; però quando vi fussi le parte buone che si debbe desiderare in simil cosa, non mi pare che la dota debba guastare il parentado: però pensavi bene, perchè il parentado mi pare assai onorevole, e a me piacerebbe, quando vi fussi le parti buone, come ò detto, cioè ben allevata e di buona fama e costumi, come si desidera: e questo puoi andare intendendo con diligenzia e credere a pochi. Altro non mi acade. Desidero asai che di voi resti qualche reda. Ricòrdoti che quando ti fussi parlato da mia parte di cosa nessuna, se non vedi mie lettere, non prestar fede. A dì.... d'ottobre 1551.

Michelagnolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1551, di Roma, addì 23 d'otobre: de' dì 17 deto. [277]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 19 di dicembre 1551.

 

CCXLVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò inteso per l'ultima tua della corta vista, che non mi pare picol difetto; però io ti rispondo, che qua non ò promesso niente, e non avendo ancora tu promesso costà niente, che mi pare da non se ne impacciare, essendone tu certo; perchè, come mi scrivi, e' va per redità. Ora io ti dico di nuovo quel che altre volte t'ò scritto, che tu cerchi d'una che sia sana, e più per l'amor di Dio che per dota, purchè sia buona e nobile; e non ti die noia l'esser povera, perchè si sta più in pace; e la dota che sarebbe conveniente, te la darò io. Circa questo non mi acade altro. Io mi truovo vechio e un poco di capitale, il quale non vorrei spender qua: però quando trovassi costà una buona casa o possessione che fussi cosa sicura per una spesa di mille cinquecento scudi, sarei per tôrla: però cèrcane, perchè morendo io qua, come può avenire ogni ora, che non vadin male.

A dì 19 dicembre 1551.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Addì.... di gienaio: de' dì 19 passato. [278]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 19 di dicembre (1551).

 

CCXLIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Di quella cosa che mi scrivi, sendone tu certo, e non avendo promesso costà niente, nè io qua, non mi pare che sia cosa da impacciarsene; e come t'ò scritto altre volte, cercare d'una che sia sana e tôrla più per l'amor di Dio, che per altro, pur che sia nobile e buona; e non ti die noia che sia povera, perchè si sta più in pace. Non ò tempo da distendermi altrimenti, ma ò scrittoti più appieno per uno scarpellino che si chiama il Fantasia, che si parte di qua domattina. Truòvalo, e fatti dar la lettera.

A 19 di dicembre.

Michelagniolo in Roma. [279]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 20 di febbraio 1552.

 

CCL.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Parlando io a questi dì qua col tio 221) di quella cosa, mi disse che si maravigliava molto che la fussi tornat'a dietro, e che stimava che qualche magrone l'avessi impedita, per entrare in quella roba o per redarla: m'è parso di darti aviso di dette parole.

Ora mentre scrivo, m'è stata portata una tua, per la quale intendo di una figluola di Carlo di Giovanni Strozzi. Giovanni Strozzi conobbi che io ero fanciullo, e era un uomo da bene: altro non ò che dirtene: conobbi anche Carlo; e credo che possa esser cosa buona.

Circa le possessione che m'avisi, non mi piaccion presso a Firenze: in Chianti mi pare che sarebbe più a proposito; però quando vi si trovassi cosa sicura, sare' da farlo, e non guardare in dugento scudi.

Circa il tôr donna, io non ò qua modo d'intendere di cosa nessuna, perchè non ò pratica di Fiorentini nessuna, e manco d'altri.

Io son vechio come per l'ultima mia ti scrissi, e per levar la speranza vana a qualcuno, quando la sia, io penso di far testamento e lasciar ciò ch'io ò costà a Gismondo mio fratello e a te mio nipote, e che l'uno none possa pigliar partito di nessuna sorte senza il consenso dell'altro; e che restando voi senza reda legittima, ogni cosa redi Sa' Martino, cioè che l'entrate si dieno per l'amor di Dio a' vergognosi, cioè a' cittadini poveri, o altrimenti che sia meglio, come mi consiglierete. A dì venti di febraio mille cinquecento cinquanta dua.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1551, da Roma, alli 26 di febraio: de' dì 20 deto.

 

(D'altra mano.)

Dàtela bene, perchè è di messer Michelagniolo Buonaruoti. [280]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 1 d'aprile 1552.

 

CCLI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa al tôr donna, io ò un aviso da uno amico mio, che quel difetto che ti fe' tirare adrieto da quella che ti scrissi, non è vero, cioè della corta vista, ma che t'è stato ditto da uno tuo amico per darti una sua cosa; e perchè la non è ancora da marito, à fatto per intrattenerti tanto che la sia per dartela. Però quando quella cosa della vista non sia vera, e che e' non vi sia altro difetto, a me pareva che la fussi cosa per farla. Però abi cura di non esser menato pel naso da gente molto inferiore che quella. Io non t'ò che dire altro circa questo. Ricòrdati che 'l tempo passa, e che io non vorrei essermi afaticato tutto il tempo della mie vita per gente strana: ma 'l testamento spero provegga.

A dì primo d'aprile 1552.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, addì 7 d'aprile: de' dì primo detto, 1552. [281]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 23 d'aprile 1552.

 

CCLII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi dell'aviso che io avevo avuto di costà, cioè che quel difetto della vista non era vero, e d'altre cose, come intendesti. Ora tu mi rispondi che ne se' certo, ma che se io voglio, che la tôrrai; e io ti dico, che sendo la cosa come mi scrivi, che e' non se ne parli più, e che tu cerchi di tôr donna a ogni modo e non guardare a dota, purchè sia cittadina e buona; e non stare a bada di parenti, che forse non piace loro che tu la tôgga; e ingégniati di trovare una di sorte che non si vergogni, quando bisogni, di rigovernar le scodelle e l'altre cose di casa, aciò che tu non t'abbi a consumare in pompe e in pazzie. Io intendo che in Firenze è gran miseria e massimo ne' nobili; però non guardando a dota, io credo che si possa trovar cosa al proposito: come t'ò scritto altre volte, far conto di fare una limosina. Adì 23 d'aprile 1552.

Michelagniolo in Roma. [282]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 24 di giugno 1552.

 

CCLIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò avuto il trebbiano, cioè quaranta quattro fiaschi; di che ti ringrazio. Parmi molto buono, ma poco lo posso godere, perchè dato ch'i' n'ò agli amici qualche fiasco, quel che mi resta, in pochi dì s'inforza. Però un'altr'anno s'io ci sarò, basterà mandarne dieci fiasci, se ci fie modo, per la soma d'un altro.

A questi dì fu qui il vescovo de' Minerbetti, 222) e riscontrandolo con messer Giorgio pittore, 223) mi domandò di te e circa al darti donna: di che ragionamo: mi disse che avea una cosa buona da darti, e che anche non s'avea a tôrla per l'amor di Dio. Non ricercai altro, perchè mi parve che andassi in fretta. Ora tu mi scrivi che non so chi de' sua t'ànno parlato costà e confortàtoti a tôr donna, e dittoti che io n'ò gran desiderio. Questo tu te lo puo' sapere per le lettere ch'io t'ò più volte scritte, e così ti raffermo, acciò che l'esser nostro non finisca qui; benchè non sare' però disfatto il mondo: pure ogni animale s'ingegnia conservare la suo' spezie. Però io desidero che tu tolga donna, trovando cosa al proposito, cioè sana e bene allevata, d'uomini di buona fama, e quando vi sia le parte buone che si ricercano in simil caso non aver rispetto a la dota: e quand'e' pure tu non ti sentissi della sanità della persona da tôr donna, meglio è ingegniarsi di vivere che amazzarsi per fare altri. Questo ti dico io ultimamente, perchè io veggo andar la cosa a lunga, e non vorrei che tu facessi a mie' stanza cosa che fussi contra te medesimo, perchè non àresti mai bene e io non sarei mai contento.

Del trovarti io qua cosa che sia al proposito, tu puoi pensar ch'io non sia 283] al mondo in simil caso, perchè non ò pratica nessuna, e massimo de' Fiorentini; ma àrò ben caro che quando tu abbi qualche cosa alle mani, m'avisi prima che stringa la cosa. Altro non ò da dirti. Prega Dio che ce la die buona. A dì 24 di gugnio 1552.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1552, di Roma, adì 30 di giugno: de' dì 24 deto. [284]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (d'ottobre 1552).

 

CCLIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò avuto piacere grande, avendo inteso per la tua come quella cosa ti sodisfa. Ma abbi cura che non sendo certo delle dua che tu à' viste insieme, qual si sie quella di che si parla, che e' non te ne sia data una per un'altra, come fu fatto già a uno amico mio. Però apri gli ochi, e non aver fretta. Circa alla dota io soderò e farò ciò che tu mi dirai: ma a me è stato detto qua che e' non v'è dota nessuna. Però vacci col calzar del piombo, perchè non si può mai tornare adrieto, e io n'àrei grandissima passione, quando o per la dota o per altro non te ne sodisfacessi. El parentado, come ti scrissi, mi piace assai, e essendovi poi le parte che si desiderano in simil caso, non mi par da guardare nella dota quand'ella non sia come desideri. Io t'ò detto che tu apra gli ochi, perchè sèndone sollecitato, mi par che non debbe esser così, sendo chi e' son da ogni parte, bisognia farne e farne fare orazione, acciò che segua il meglio, perchè simil cose si fanno solo una volta.

Michelangniolo in Roma. [285]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 28 d'ottobre 1552.

 

CCLV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – In questa sarà la risposta ch'i' fo a Michele Guicciardini circa al tôr tu donna; e scrivogli com'io son parato a sodar la dota in su le cose mia, come o dove a te pare, e pregolo che in questa cosa duri un poco di fatica: però pórtagli la lettera e lui ti mostrerà circa 'l sodo come mi par da fare, o altrimenti come a te parrà: e a te dico, che tu non compri la gatta in saco, che tu facci di veder cogli ochi tuo' molto bene, perchè potrebbe esser zoppa o mal sana, da non esser mai contento; però úsaci diligenzia quanto puoi e racomàndatene a Dio. Altro non m'acade, e lo scriver m'è gran fastidio. A dì 28 d'ottobre 1552.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1552, di Roma, addì 28 otobre: a dì 22 deto. [286]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 5 di novembre 1552.

 

CCLVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò una tua con una di Michele, a le quali non mi pare da rispondere altrimenti che quello ch'io vi scrissi, oggi fa otto dì; e queste credo l'abbiate avute; e così raffermo per questa: cioè che io per non esser stato costà, non ò notizia delle famiglie di Firenze; ma che io ò tal fede nel Guicciardino, che io non credo che ti consigliassi di cosa che non fussi al proposito: ma che tu facessi di vederla cogli ochi tuoi: e della dota, ti scrissi che tu la sodassi in su le cose mia dove ti pare, e mandassimi il contratto, che io retificherei a ciò che tu facessi. Credo le lettere l'abiate avute. Altro circa a questo non ò da dirti.

Àrei caro che quando tu trovassi da comperare una casa di mille per in sino in dumila scudi, me ne déssi aviso. Cèrcane e fanne cercar con diligenzia. Non ò or tempo da scrivertene altro.

A cinque di novembre 1552.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [287]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (del 21 novembre 1552).

 

CCLVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – E' mi par che le cose che ànno cattivo prencipio non possino aver buon fine. Io resto avisato per l'ultima tua, come circa quella cosa t'è mancato di quello che volontariamente t'era promesso; io ti dico, che benchè più volte t'abbi scritto che tu non guardi in danari, non mi par però che t'abbia a eser mancate le promesse; e perchè l'isdegnio à gran forza, a me parrebbe di non ne parlar più, se già tu non vi vedessi tante altre cose al proposito tuo, che non ti paressi da guardare in picola cosa. Di questo non intendendo particularmente le cose, non so che me ne dire: racomandarsene a Dio, e stimar che quel che segue sia il meglio: nè credo abia a mancar d'aconciarsi bene con la sua grazia.

Per l'ultima mia ti scrissi che tu cercassi di comperare una casa onorevole e in buon luogo, perchè pur quando acadessi ch'i' tornassi a Firenze, vorrei aver dove stare, e ancora perchè son vechio, e' vorrei dar luogo a quel poco del capitale che ò qua e starci più leggiermente ch'i' posso. Altro non mi acade. Non rispondo al Guicciardino, perchè non ò ancora saputo leggier la sua; io non so dove voi v'abbiate imparato a scrivere. Fa' mie scuse, e racomandami a lui e alla Francesca. 224)

 

(Di mano di Lionardo.)

1552, riceuta a dì 26 di novembre. [288]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 17 di dicembre 1552.

 

CCLVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi di dua partiti che ti son messi inanzi: a me piacciono molto più che quel di prima, ma perchè non ò da chi m'informarmi di tal cosa, non te ne posso scrivere particularmente cosa nessuna: bisognia che tu cerchi tu e pregi Iddio che ti dia il meglio. A me pare che tu abbi aver cura alla bontà e sanità, più che a nessun'altra cosa. Non ti posso dire altro circa a questo.

Della casa che io ti scrissi, dico, che quando se ne trovassi una in buon luogo che fussi onorevole e con buon sodo, ch'io non guarderei in danari, per insino alla quantità che ti scrissi. A dì 17 di dicembre 1552.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1552, di Roma, addì 22 di dicembre: de' dì 17 deto. [289]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (18 di marzo? 1553).

 

CCLIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivesti già d'una figluola di Donato Ridolfi, per madre di quegli del Benino, e ora per quella che rispondi a Urbino, di nuovo me lo ramenti. Io non te ne posso nè consigliare nè sconsigliare, perchè, come t'ò scritto altre volte, io non ò notizia di famiglia nessuna di Firenze, e qua non pratico con nessun fiorentino: ma stimo bene, che avèndotene parlato il Guicciardino, che la possa esser cosa al proposito, sendo parente e di pura e buona coscienzia. Però io ti dico che tu lo pregi da mia parte che per l'amor di Dio s'afatichi un poco per simil cosa, o di questa de' Ridolfi o d'un'altra, tanto che si truovi cosa al proposito; restandogli obrigatissimo: e così prega la Francesca e racòmandami loro. Io t'ò scritto più volte che tu non guardi a dota, ma solo a nobilità, sanità e bontà; e quando si truovi queste cose, non ài aver rispetto a nessuna altra, perchè sendo tu uomo da bene non ti può mancare.

Urbino ti scrisse quello che gli era stato detto qua di te: che n'ebi passione: però non praticar cogl'uomini di Settigniano, che tu none caverai altro che vergognia.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [290]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 25 di marzo 1553.

 

CCLX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per l'ultima tua come tu ài circa il tôr donna rappicato pratica per quella de' Ridolfi. E' debbe esser quattro mesi o più, che io ti risposi di dua partiti di che mi scrivesti, che mi piacevono, e tu non me n'ài poi scritto altro; in modo che io non ti intendo e non so che fantasia si sia la tua: e questa pratica è già durata tanto, che la m'à straco, per modo che io non so più che mi ti scrivere. Questa de' Ridolfi, se tu n'ài buona informazione che ti piaccia, tò'la, e quello che io t'ò scritto altre volte del sodo, quel medesimo ti raffermo: e se e' non ti piace di tôr questa nè nessuna altra, io ne lascio il pensiero a te. Io ò atteso sessanta anni a' casi vostri; ora son vechio e bisògniami pensare a' mia: sichè pigliala come a te pare; che ciò che tu farai, à a esser per te e non per me, che ci ò a star poco. Quando ebbi la tua, n'ebbi un'altra del Guicciardino, e perchè è del medesimo tinore, non m'acade rispondergli altrimenti. Racomandami a lui e alla Francesca. Altro non m'acade. A dì 25 di marzo 1553.

Michelagniolo in Roma. [291]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 22 d'aprile 1553.

 

CCLXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per la tua come la pratica rappicata per conto della figluola di Donato Ridolfi è venuta a effetto: di che ne sia ringraziato Idio; pregandolo che ciò sia seguito con la sua grazia. Circa il sodo della dota, io ò fatto dire la procura in te, e così con questa te la mando, acciò che sodi la dota che mi scrivi di mille cinquecento ducati di sette lire l'uno, dove a te pare delle cose mia. Ò parlato con messer Lorenzo Ridolfi e fatto le parole conveniente meglio che ò saputo. Altro non m'acade per ora. Scriverra'mi poi come la cosa seguirà, e io penserò di mandar qualche cosa, come s'usa.

A dì 22 d'aprile 1553.

Michelangniolo Buonarroti in Roma. [292]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 30 d'aprile 1553.

 

CCLXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Súbito che io ebbi la tua del parentado fatto, ti mandai la procura che tu potessi sodare sopra le cose mia la dota; 225) cioè mille cinquecento ducati di sette lire l'uno. Credo l'abbi avuta e ch'ella stia bene; el notaio che l'à fatta è d'alturità, perchè è notaio del Consolato de' Fiorentini e di Camera.

Per l'ultima tua intendo come l'una parte e l'altra resta sodisfatta di tal parentado; di che ne ringrazio Dio: e come Urbino torna da Urbino, che sarà infra quindici dì, farò il debito mio.

A l'ultimo d'aprile 1553.

Michelagniolo in Roma. [293]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 20 di maggio 1553.

 

CCLXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per l'ultima tua, come tu ài la donna in casa e come tu ne resti molto sodisfatto, e come mi saluti da sua parte e come non ài ancora sodato la dota. Della sodisfazione che n'ài, n'ò grandissimo piacere e parmi sia da ringraziarne Idio continuamente quante l'uomo sa e può. Del sodar la dota, se tu non l'ài, non la sodare e tien gli ochi aperti, perchè in questi casi de' danari sempre nasce qualche discordia. Io non m'intendo di queste cose, ma a me pare che avessi voluto aconciare ogni cosa inanzi che la donna avessi in casa. Circa il salutarmi da sua parte, ringràziala e fagli quelle oferte da mia parte che meglio saperrai fare a boca, che io non saperrei scrivere. Io voglio pur che paia che la sia moglie d'un mio nipote, ma non ò potuto farne ancora segnio, perchè non c'è stato Urbino. Ora è tornato due dì fa: però io penso di farne qualche dimostrazione. Èmmi detto che un bel vezzo di perle di valuta starebbe bene. Ò messo a cercarne uno orefice amico d'Urbino, e spero trovarle, ma none dire ancor nulla a lei: e se altro ti par ch'i' facci, avisàmene. Altro non mi acade. Fa' di vivere e pon mente e considera, perchè molto è sempre maggiore il numero delle vedove che de' vedovi.

A dì venti di maggio 1553.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [294]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 21 di giugno 1553.

 

CCLXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò ricievuto la soma del trebbiano che m'ai mandato, cioè quaranta quattro fiasci: 226) è molto buono, ma è troppo, perchè non ò più a chi ne donar come solevo; però se sarò vivo quest'altro anno, non voglio me ne mandi più.

Io ò provisto a dua anelli per la Cassandra, un diamante e un rubino; non so per chi mandartegli. Àmi ditto Urbino che si parte di qua dopo San Giovanni uno Lattanzio da San Gimigniano 227) tuo amico: ò pensato di dargli a lui che te gli porti, o vero tu mi adirizzi qualcun fidato, acciò che non sien cambiati, o che non vadin male. Avisami più presto che puoi quel che ti par ch'i' faccia. Come gli àrai, àrò caro gli facci stimare, per vedere se sono stato gabbato, perchè no' me ne intendo.

A dì 21 di gugnio 1553.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [295]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 22 di luglio 1553.

 

CCLXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti mando pel procaccio i dua anelli, cioè uno diamante e uno rubino, e màndogli in una scatoletta amagliata, come mi scrivesti. Al procaccio darai tre iuli pel porto, e tre iuli gli ò promessi, se mi porta la ricievuta; però fàgniene; e àrò caro che detti anegli gli facci vedere, e m'avisi di quello che sono stimati. Altro non m'acade.

A dì 22 di luglio 1553.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Dietro sotto l'indirizzo è parimente di mano di Michelangelo.)

Tre iuli ài a dare pel porto al procaccio. [296]

 

――――――

 

Museo Britannico.  Di Roma, 5 d'agosto 1553.

 

CCLXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi le camice, cioè otto camice: sono una cosa bella e massimo la tela: l'ò care assai. Ma pure ò per male che le togliate a voi, perchè a me non manca. Ringrazia la Cassandra da mia parte e fagli oferte di ciò che io posso qua, delle cose di Roma o d'altro, che io non sono per mancarli. Ò avuta la ricievuta de' dua anelli e quello che sono stati stimati: l'ò caro, perchè son certo non essere stato ingannato: e benchè io abbi mandato picola cosa, un'altra volta superiréno in qualche altra cosa che e' l'abbi fantasia, secondo che tu m'aviserai. Altro non m'acade circa questo. Fa' di vivere e sta' in pace.

A dì 5 d'agosto 1553.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [297]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 24 di ottobre 1553.

 

CCLXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per la tua, come la Cassandra è gravida; del che n'ò piacer grandissimo, perchè spero pur che di noi resti qualche reda o femina o mastio che si sia; e di tutto s'à a ringraziare Idio. A questi dì è tornato di costà il Cepperello e à ditto a Urbino che mi voleva parlare; penso che sia per conto del suo podere che confina co' nostri. Avisami se n'à parlato costà niente con esso voi, perchè quando si potessi avere, sarebbe molto a proposito.

Altro non mi acade. Saluta messer Giovan Francesco da mia parte, e avisami come (la fa).

A 24 d'ottobre 1553.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [298]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (del marzo 1554).

 

CCLXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi una tua della settimana passata, dove mi scrivi la contentezza che tu ài continuamente della Cassandra: di che ne abbiamo a ringraziare (Idio), e tanto più quanto è cosa più rara. Ringràziala e racomandami a lei; a quando delle cose di qua gli piacessi niente, dàmene avviso. Circa al por nome a' figluoli che tu aspetti, a me parrebbe che tu rifacessi tuo padre, e se è femina, nostra madre, ciò è Buonarroto e Francesca. Non di manco io la rimetto in te. Altro non m'acade. Riguàrdati e fa' di vivere.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [299]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (dell'aprile 1554).

 

CCLXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per la tua come la Cassandra è presso al parto e come vorresti intendere il parer mio del nome de' putti: della femina, se sia così, tu mi scrivi esser risoluto, per e' sua buon portamenti; del mastio, quando sia, io non so che mi ti dire. Àrei ben caro che questo nome Buonarroto non mancasse in casa, sendoci durato già trecento anni in casa. Altro non ò che dire, e lo scrivere m'è noia assai. Attendi a vivere.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [300]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 21 d'aprile 1554.

 

CCLXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per la tua come la Cassandra à partorito un bel figluolo e come la sta bene, e che gli porrete nome Buonarroto. Di tutto n'ò avuto grandissima allegrezza. Idio ne sia ringraziato; e lo facci buono, acciò ci facci onore e mantenga la casa. Ringrazia la Cassandra da mia parte e racomandami a lei. Altro non m'acade. Son breve allo scrivere, perchè non ò tempo. A dì ventuno d'aprile 1554.

Michelagniolo in Roma. [301]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (8 di dicembre 1554).

 

CCLXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ho ricevuto i caci che m'ài mandati, cioè dodici marzolini; son molto begli e buoni: n'ò fatto parte agli amici, e 'l resto per in casa. Altro non m'acade circa a questo. Del mio essere, secondo l'età, non mi pare di stare peggio che gli altri della medesima età; e di voi tutti stimo bene e così della Cassandra. Racomandami a lei, e digli ch'i' prego Iddio che la facci un altro bel figluolo mastio. Altro non m'acade.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1554, addì 14 di dicembre: de' dì 8 detto. [302]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 26 di gennaio 1555.

 

CCLXXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ho mandati costà cento scudi d'oro in oro e' quali ò pagati qua, overo mandati per Urbino che sta meco a messer Bartolomeo Bussotti in Roma, che ti sieno pagati costà a tuo piacere. Però anderai a trovare messere Simone Rinuccini con la poliza che sarà in questa, e lui te gli pagerà; e di detti danari vorrei ne comperassi diciannove palmi di rascia pagonazza scura, la più bella che truovi, per fare una vesta a la moglie d'Urbino; del resto, vorrei che ne facessi limosine, ove ti pare che ne sia più bisognio, e massimo per fanciulle.

Io ti scrissi della ricievuta de' marzolini. Altro non m'acade: àvisami del seguito di detti scudi, e manda la detta rascia più presto che puoi. A dì 26 di gennaio 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [303]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 9 di febbraio 1555.

 

CCLXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Intendo per la tua come ài ricevuti i cento scudi che io ti ò mandati, e come ài inteso per la mia quello che tu n'ài a fare, cioè a mandarmi dicianove palmi di rascia pagonazza scura, e del resto farne limosine dove e come pare a te, e darmene aviso.

Circa al bambino che tu aspetti, tu mi scrivi che ti parrebbe porgli nome Michelagniolo. Io dico che se così piace a voi, piace anche a me; ma se sarà femina, non so che mi dire. Contentavi 228) voi, e massimo la Cassandra, alla quale mi racomanderai. Altro non m'acade. Circa le limosine di che ti scrivo, fanne poco romore. A dì 9 di febraio 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1554, addì 16 di febraio: de' dì 9 detto. [304]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 2 di marzo 1555.

 

CCLXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi la rascia: è molto bella, e a torla qua sarebbe costa molto più e non sare' stata sì bella: del che Urbino te ne ringrazia quanto sa e può.

Circa a quel de' Bardi, mi piace quel che ài fatto e così séguita del resto senza romore. Qua si dice che costà è gran carestia e miseria; però è tempo, il più che l'uomo può, di guadagniare qual cosa per l'anima. Altro non m'acade. Séguita e àvisami. Altro non m'acade. 229) A dì 2 di marzo 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [305]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, (del marzo 1555).

 

CCLXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò per l'ultima tua la morte di Michelagniolo, e tanto quanto n'ebbi allegrezza, n'ò passione; anzi molto più. Bisognia aver pazienza e stimar che sia stato meglio che se fussi morto in vechiezza. Ingegniati di viver tu, perchè sarebbe con tanta fatica la roba senza uomini.

Il Cepperello à ditto a Urbino che vien costà, e che la donna che avea a vita il podere, di che già si parlò, è morta; credo sarà con esso teco. Se lo vuol dare pel gusto prezzo con buona sicurtà, piglialo e avisami, e io ti manderò i danari.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [306]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 30 di marzo 1555.

 

CCLXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Messer Francesco Bandini m'à domandato s'io voglio vendere le terre ch'io ò da Santa Caterina, che à uno suo amico che le comperrebbe volentieri. Io gli ò ditto che ogni cosa mia costà è vostra, e che voi ne farete, sarà ben fatto: e così vi rafermo. Però siate insieme tu e Gismondo e vedete che vi torna meglio, o danari o tenere le terre; e rispondi resoluto, acciò possa rispondere a detto messer Francesco. Altro non m'acade circa questo.

Un manovale della Fabrica qua di Santo Pietro m'à dato qua due scudi d'oro, che io gli mandi alla madre; però leggierai la poliza che sarà in questa, e dara'gli a chi la dice, perchè non ò da mandargli altrimenti.

A dì 30 di marzo 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [307]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 10 di maggio 1555.

 

CCLXXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi circa un mese fa che tu déssi dua scudi d'oro alla madre di Masino da Macìa che sta qua per manovale, che tanti n'avea qua dati a me, che io gniene mandassi. Non ò mai avuto risposta. Àrei caro m'avisassi se avesti la lettera e se gli à' dati o sì o no. Altro per questa non m'acade.

In questa sarà una di messer Giorgio pittore. Àrei caro che la déssi in sua propia mano, perchè è cosa che m'importa assai. A dì dieci di maggio 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [308]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 25 di maggio 1555.

 

CCLXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa le terre di Santa Caterina, io ti scrissi che tu fussi con Gismondo, e che voi ne pigliassi quel partito che fussi più utile per voi. Ora mi scrivi che a voi par da venderle e a me non potrebbe più piacere; sichè vendete e non aspettate altro, e de' danari acordavene 230) insieme. Ài dati i danari alla madre di Masino? Altro non ò che dire: riguàrdati: e Dio ci aiuti. Adì 25, 1555 di maggio. 231)

Michelagniolo in Roma. [309]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 22 di giugno 1555.

 

CCLXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti mando in questa una lettera che tu la dia a messer Giorgio Vasari e racomandami a lui.

Delle terre di Santa Caterina io ti scrissi, che a me piacea assai che voi le vendessi, e che vendendole, i danari ne facciate quello che vi pare, come di cosa vostra: però quando siate d'acordo con chi le vuole, datemene aviso, acciò che io vi mandi la procura. Altro non m'acade. Attendi a star sano e vivere. A dì 22 di gugnio 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, addì 26 di giugno: de' dì 22 detto, 1555. [310]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 5 di luglio 1555.

 

CCLXXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi per l'ultima tua esser d'accordo con lo Spedalingo di Bonifazio delle terre mia da Santa Caterina, cioè di dargniene per trecento venti scudi, e che io ti mandi la procura. Io te la manderò di questa settimana che viene a ogni modo. Non ò potuto prima per ragione di crudelissimo male che io ò avuto in un piede, che non m'à lasciato uscir fuora e àmi dato noia a più cose: dicono ch'è spezie di gotte: non mi manca altro in mia vechiezza! pure ora ne sto assai bene: e come ho detto, di questa settimana che viene, te la manderò a ogni modo. Tien fermo l'acordo, perchè mi piace assai. Altro non m'acade. A dì cinque di luglio 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1555, addì 11 di luglio: de' dì 5 detto. [311]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 13 di luglio 1555.

 

CCLXXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti mando la procura che tu possi dare le terre dette da Santa Caterina allo Spedalingo, e a chi altri ti pare; e de' danari, che tu e Gismondo ne facciate quello che vi pare il meglio. Delle terre che furno di Niccolò della Buca, a me piacerebbe come mi scrivi, quando vi fussi buon sodo.

In questa sarà una a Gismondo: confòrtalo da mia parte a pazienza, e digli che degli affanni i' n'ò anch'io la parte mia: e non gli mancar di niente. A dì 13 di luglio 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [312]

 

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Raccolta già Bustelli.  Di Roma, 28 di settembre 1555.

 

CCLXXXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze. 232)

Lionardo. – Io ho inteso per l'ultima tua come il Duca 233) è stato a vedere i dua modegli della facciata di San Lorenzo 234) e come Sua Signoria gli à domandati. Io ti dico che avevi súbito a mandargli, dove Sua Signoria gli voleva, senza scrivermene altrimenti: e così àresti a far d'ogni altra cosa nostra, quando avessimo cosa che gli piacessi.

Con questa sarà la risposta di quella di messer Giorgio, e circa la scala della Libreria 235) io gnene do notizia, come per un sogno di quel poco ch'i' mi posso ricordare: e màndoti la lettera sua aperta, acciò che tu la legga e così aperta gniene dia.

Mi piace che stiate bene tu e la Cassandra e 'l putto, ma di Gismondo n'ho gran passione e duolmi assai; ma non sono anch'io senza difetti e con molte brighe e noie, e di più ch'io ho già tenuto Urbino tre mesi nel letto malato e èvvi ancora; che m'è stato d'un gran fastidio e noia: ringraziare Dio d'ogni cosa. Confortalo da mia parte e aiutalo quanto tu puoi. A dì 28 di settembre 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [313]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 30 di novembre 1555.

 

CCLXXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per la tua la morte di Gismondo mio fratello 236) e non senza grandissimo dolore. Bisognia aver pazienza: e poi ch'è morto con buon conoscimento e con tutti e' sacramenti che ordina la Chiesa, è da ringraziarne Idio.

Io son qua in molti affanni, e ancora ò Urbino nel letto molto mal condotto; non so che se ne seguirà: io n'ò quel dispiacere che se fussi mio figluolo, perchè è stato meco venticinque anni molto fedelmente; e perchè son vechio, non ò più tempo a fare un altro a mio proposito: però mi duol molto: però se ài costà nessuna persona divota, ti prego facci pregare Idio per la sua sanità.

A dì trenta di novembre 1555.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1555, addì 7 di dicembre: de' dì 30 passato. [314]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 4 di dicembre 1555.

 

CCLXXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa alle sustanze che à lasciate Gismondo, di che mi scrivi, io dico che ogni cosa à restare a te. Fa' d'osservare il suo testamento e di fare orazion per l'anima sua, che altro non si gli può fare.

Àvisoti come iersera, a dì tre di dicembre a ore 4 passò di questa vita Francesco detto Urbino, 237) con grandissimo mio affanno; e àmmi lasciato molto aflitto e tribolato, tanto che mi sare' stato più dolce il morir con esso seco, per l'amore che io gli portavo: e non ne meritava manco; perchè s'era fatto un valente uomo, pieno di fede e lealtà; onde a me pare essere ora restato per la 315] morte sua senza vita: e non mi posso dar pace. Però àrei caro di vederti: ma non so come tu ti possa partire di costà per amor della donna. Àvisami se infra un mese o un mese e mezo tu potessi venire insino qua, intendendo sempre con licenzia del Duca. I' ò ditto che 'l tuo venire sie con licenzia del Duca, per bene: ma non credo che bisogni: gòvernala come ti pare, e rispondi. Scrivi se tu puoi venire, e io ti scriverrò quande tu t'àrai a partire, perchè io voglio che prima sia partita di casa la moglie d'Urbino.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [316]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 11 di gennaio 1556.

 

CCLXXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi della settimana passata la morte d'Urbino 238) e com'io ero restato in gran disordine e molto malcontento, e come àrei caro che tu venissi insino qua. E così ti scrivo di nuovo, che quando tu possa acomodar le cose tua costà senza pericolo o danno per un mese, che tu ti metta a ordine per venire. Quando non ti tornassi bene, o che fussi per seguirne danno o per sospetto di strade o per altro, indugia tanto che ti paia tempo da venire; e quando ti par tempo, vieni, perchè i' son vechio e ò caro parlarti inanzi ch'i' muoia. Altro non m'acade. Se altro ti fussi scritto, no' prestar fede se non alle mie lettere. A dì undi(ci) di gennaio 1556. 239)

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [317]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 7 di marzo 1556.

 

CCLXXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò per la tua come siate gunti a salvamento, di che n'ò piacere grandissimo, e più stando bene la Cassandra e gli altri. Io qua mi sto nel medesimo termine che mi lasciasti, e del riavere le cose mia ancora non è seguito altro che parole. Starò a veder quello che segue quante potrò.

Dello spender costà dumila scudi, come ti dissi qua, o in casa o in possessione, io son del medesimo parere; però quando trovassi cosa al proposito, dànne aviso.

La moglie d'Urbino mi manda a chiedere sette braccia di panno nero che sia bello e leggieri, e che súbito mi manderà e' danari del costo: però io àrei caro che tu me lo mandassi; e pàgalo: e quel manco che costerà, darai come restàmo: e come acade che io t'abbi a mandar danari, te gli rimetterò nella somma de' cento. Altro non m'acade. Ringrazia la Cassandra e racomandami a lei.

Adì 7 di marzo 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Addì 14 di marzo: de' dì 7 detto; di Roma, 1555 [318]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 11 d'aprile 1556.

 

CCLXXXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu t'abbattesti bene a dare a un gran tristo quel panno; io l'ò aspettato qua un mese e fattolo aspettare a altri, con grandissimo dispiacere. Io ti priego, che intenda quel che questo tristo mulattiere n'à fato: e se si ritruova, màndalo più presto che tu puoi; se non si ritruova, se si tiene ragione, fa gastigare cotesto tristo e fàgniene pagare e màndamene altre sette braccia. E' non mi mancava afanni! io n'ò avuto e ò tanta noia e dispiacere, che non si potrebbe dire.

A la Francesca io risponderò a la sua un'altra volta, perchè adesso non mi sento da scrivere. Racomandami a lei e a Michele e a tutti gli altri. A dì undici d'aprile 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [319]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 25 d'aprile 1556.

 

CCLXXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò avuto il panno, grazia di Dio, e come truovo un mulattier fidato lo manderò alla Cornelia. 240)

Io non t'ò mai risposto della casa che mi scrivesti per compera, perchè ò avuto da pensare a altro. Ora ti dico, che in quello luogo la non mi piace, perchè mi par troppo streto e maninconico: la vorrei in luogo più arioso e aperto: e non guardare in ispesa: e se non casa, possessione: perchè mi vorrei alleggerire qua quant'io posso di quel poco del capita(le) che io ci ò, perchè son molto diminuito, poi che morì Urbino, e ogni ora potrebbe esser la mia, e Dio sa come andassino poi le cose mia: però pensa a quello che io ti scrivo, perchè t'importa asai.

Vorrei e àrei caro mi déssi un poco d'aviso come ài governata la cosa delle limosine e come vi sarebbe ancor da farne, chi potessi. Altro non m'acade. Racomandami a la Cassandra e cerca di vivere el più che puoi, che la roba non resti senza le persone. Adì 25 d'aprile 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [320]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 8 di maggio 1556.

 

CCLXXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò con la tua di molte ricevute; io no l'ò volute vedere e òllo avute 241) molto per male, perchè e' par che tu creda che io non mi fidi di te. Io avevo caro sapere in che modo l'avevi distribuite e dove, per sapere in che persone è la povertà, e bastava darmene un po' d'aviso per la lettera.

Tu mi scrivi che la Cassandra non si sente bene; n'ò passione e duolmi assai: però non mancar di cosa nessuna, e se posso far niente, àvisami, e racomandami a lei.

Della casa di che mi scrivi, non mi piace il luogo; meglio è star così, che non se ne contentare. Io ti scrissi che àrei voluto dar luogo a un poco di capital ch'io ò, pe' casi che possono venire, send'io vechio e mal condizionato: io non ò poi voluto tôr porzione per più rispetti che non acade dire.

A dì 8 di maggio 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [321]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 31 di maggio 1556.

 

CCXC.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non risposi a l'altra tua, perchè non potetti. Ora ti dico circa il podere del Cepperello che quando s'acosti a prezzo ragionevole, che tu lo togga a ogni modo; e ancora dico, che oltre al podere del Cepperello, che tu spenda dumila scudi in quello che pare a te, perchè della casa, se io non truovo cosa al proposito, cioè in luogo aperto e spazioso, io voglio più presto che tu toga una possessione.

Ò avuto una lettera dalla Francesca, per la quale mi prega ch'i' facci una limosina di dieci scudi a un suo confessore per una povera fanciulla che mette nel munistero di Santa Lucia. Io la voglio fare per amor della Francesca; perchè so che se non fussi buona limosina, che non me ne richiederebbe; ma non so come me gli far pagar costà: però vorre' ch'el detto confessore, se avessi qua un amico di chi si potessi fidare, che io gniene darei, quando me ne désse aviso.

Che la Cassandra stia bene, come mi scrivi, n'ò grandissimo piacere. Racomandami a lei, e ingegniatevi di vivere.

Adì ultimo di maggio 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [322]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (del giugno 1556).

 

CCXCI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi il caratello de' ceci bianchi e rossi e de' pisegli e delle mele. Se non te l'ò scritto prima, non m'è paruto cosa che importi, e perchè lo scrivere m'è di gran noia e fastidio. Altro non mi acade. Attendi a vivere. Io son vechio e malsano: e quando m'acaderà niente di pericolo, te lo farò intendere, se àrò tempo. Se trovassi messer Giorgio 242) digli, che della cosa sua io non lo posso aiutare; che lo farei volentieri, e che io n'ho parlato con messer Salustio, 243) e che m'à risposto averci durato fatica e che non ci vede ordine. Mi pare a me che bisogni farsi a messer Piergiovanni. 244)

Michelangniolo Buonarroti in Roma. [323]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 27 di giugno 1556.

 

CCXCII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti mando 245) d'oro in oro che tanti n'ò dati qua a messer Francesco Bandini che te gli 246) pagar costà, e la poliza sarà in questa. Pòrtagli a la Francesca che gli dia per quella fanciulla, di che m'à scritto.

Del Cepperello tu ài a pensare, ch'egli è certo che tu desideri di comperare quel podere, e ingegnierassi di farti fare di cento scudi almeno: sì che fa' il me' che tu puoi. Di quello che tu potevi spendere in quel che a te pareva, io te lo scrissi per l'altra. Non acade, non acade 247) altro.

Adì venti 7 di gugno 1556.

Michelangniolo in Roma. [324]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 4 di luglio 1556.

 

CCXCIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non ti scrissi del trebbiano per la fretta. Io l'ebbi, cioè trentasei fiasci. È il migliore che tu ci abbi mai mandato: io te ne ringrazio, ma duolmi che tu sia entrato in questa spesa e massimamente, perchè, mancati tutti gli amici, e' non ò più a chi ne dare.

Del podere del Cepperello tu à' mostro d'avere troppa voglia; tutto il contraro di quello che io ti dissi qua: basta che la vedova di mala vita ne vuol dare un tesoro: astuzie goffe da farmi correre: pure sia come si vuole: fa' il meglio che tu puoi e to'lo, e avisami come e dove io t'ò a far pagare i denari, co' manco romore che si può. Altro non m'acade. Mi piace che tutti stiate bene: ringraziato sie Dio.

Adì 4 di luglio 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [325]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 25 di luglio 1556.

 

CCXCIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io intesi per l'ultima tua come eri d'acordo col Cepperello e del prezzo. Ora io ti dico che benchè sia caro cento scudi, che tu ài fatto bene: ma vorrei inanzi che io facessi pagare costà i danari, che tu t'assicurassi del sodo con diligenzia, e che tu non corressi a furia come à' fatto in sino a ora, e che tu m'avisassi dell'appunto de' danari che io t'ò a far pagare costà, cioè di quanti scudi io t'ò a far pagare costà o d'oro o di moneta. Lo scudo d'oro qua sono undici iuli, e di moneta, dieci. E se io indugiassi qualche dì a farti pagare i danari, non posso fare altro; perchè c'è da pensare a altro più che tu non credi, e non ò chi mi serva di simil cose. Bastiano 248) è forte ammalato, e dubito non si muoia. Tien fermo il mercato con Cepperello. Altro non m'acade. Credo stiate tutti bene e similmente la Cassandra. Racomandami a lei e pregàmo Iddio che ci aiuti, che ce n'è di bisognio.

Adì venticinque di luglio 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [326]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 1 d'agosto 1556.

 

CCXCV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – La tuo' furia mi pèggiora almeno cinquanta scudi d'oro: ma più mi duole che ài fatto più stima d'un pezzo di terra, che delle mie parole. Tu sai quel che io ti dissi; che tu mostrassi che io non lo volevo, e che noi ci facessimo pregar di comperarlo: e tu súbito che fusti costà vi mettesti su i sensali con gran sollecitudine. Ora poi ch'è fatto, fa' di vivere e goderlo.

Ieri ebi una tua, venuta molto in fretta, dove mi scrivi che se' per fare il contratto, e che 'l tutto monta secento cinquanta scudi d'oro in oro, 249) e che io dia detti scudi a messer Francesco Bandini che te li farà pagar costà da' Capponi; e così farò: ma non posso prima che quest'altra settimana, che Bastiano, sendo megliorato, comincierà a uscir fuora e verrà al banco a contargli, perchè non ò altri che mi serva. Altro non m'acade.

Adì primo d'agosto 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [327]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 8 d'agosto 1556.

 

CCXCVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Bastiano à cominciato a uscir fuora, e lunedì o martedì verrà a' Bandini a contare i danari, e così ti saranno pagati costà nel modo che tu m'ài scritto. Circa la compera, tu l'ài governata a tuo modo e non a mio; à'mi peggiorato almeno cinquanta scudi. Egli è ben vero che l'amor propio inganna tutti gli omini. Ricòrdati di tuo padre e della morte che fece, 250) e io, Dio grazia, sono ancor vivo. Altro non m'acade.

Adì 8 d'agosto 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [328]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 15 d'agosto 1556.

 

CCXCVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io portai iermatina al banco de' Bandini scudi secento cinquanta d'oro in oro, e in questa sarà la lettera: va' e pàgagli, come se' d'accordo. Tu mi scrivi de' danari ch'i' ti scrissi che tu spendessi a tuo modo: tu sai bene che non si intendeva nel podere del Cepperello, che è cosa vechia, praticata già più di venti anni e già col pensiero era comperato: ma tu l'ài voluta intendere e governare secondo l'appetito tuo. La cosa è fatta. Attendi a vivere e fa' poco romore, e massimo a Settigniano: che non ci manca altro che essere in voce di Settignianesi tu e la donna tua qua e costà. Io non ti scrivo a caso, perchè tu ài un cervello molto contrario al mio. Altro non m'accade. Adì 15 d'agosto 1556.

La lettera di detti scudi sarà 251) sarà in questa.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [329]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, di settembre 1556.

 

CCXCVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Circa il soddisfare il boto di che mi scrivi, io ti dico che a me non par tempo d'andare attorno: e parmi per ora. Del pore nome Michelagniolo a la creatura che tu aspetti, a me piace, o altro nome, purchè sia di casa: e Giovansimone ancora starebbe bene. Fa' come a te pare, che io ne son contento. Altro non m'acade.

Adì.... di settembre 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [330]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 31 d'ottobre 1556.

 

CCXCIX.

A Lionardo Buonarrotti Simoni, nipote carissimo. In Firenze. Raccomandasi alli Cortesi che la diano súbito. In Firenze.

 

Lionardo nipote carissimo. – Più giorni sono ricevei una tua, alla quale prima non ho fatto risposta, per non aver auto comodità: et ora sopperirò al tutto, acciò non ti maravigli, et perchè intendi. Trovandomi più d'un mese fa che la fabrica di San Pietro s'era allentata del lavorare, mi disposi andare fino a Loreto per alcuna mia divozione: così trovandomi in Spoleti un poco stracco, mi fermai alquanto per mio riposo: cosicchè quivi non possetti conseguire l'intenzion mia; chè mi fu mandato un homo a posta che io mi dovessi ritornare in Roma. Il che, per non disubbidire, mi mossi e ritornai in Roma: dove io, grazia del Signore, mi trovo, et qui si sta come a Dio piace, rispetto ai frangenti che ci sono: 252) sì che io non mi stenderò in altro, se non che qui ci sono buone speranze della pace: che a Dio piaccia sia. Attendi a star sano, pregando Dio ci aiuti. Di Roma, addì ultimo d'ottobre 1556.

Tuo come padre,

(Sottoscritto) Michelagniolo Buonarroti in Roma. [331]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 19 di dicembre 1556.

 

CCC.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi della mia ritornata a Roma. Dipoi ebbi una tua, dove intesi come la Cassandra aveva partorita una bambina e che in pochi dì la s'era morta; di che n'ò avuto dispiacere assai: ma non me ne maraviglio, perchè noi abiàn questa sorte di non avere a multiplicare in famiglia a Firenze. Però prega Idio che e' viva quello che tu ài, e fa' di vivere anche tu, acciò che ogni cosa non abi a rimanere allo Spedale. Altro non m'acade. Racomandami a la Cassandra e a Dio, ch'i' n'ò bisognio.

In questa sarà una di messer Giorgio pittore: dàlla più presto che puoi.

Adì 19 di dicembre 253) 1556.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [332]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 6 di febbraio 1557.

 

CCCI.

Al suo carissimo Lionardo Buonarroti nipote carissimo in Firenze.

 

Lionardo carissimo. – Ho riceuto la vostra lettera et visto quanto mi scrivi circa sua Eccellenzia, imperò darai la inclusa a messer Lionardo 254) et scusami; che io non sono per mancare a sua Eccellenzia della promessa, et come vedrò il tempo, non mancherò; ma non posso così súbito, perchè bisogna dar ordine alle cose mie di qua: sì che io non ti dirò altro per adesso, per avere auto le lettere in sulle 24 ore di sabato. Così atendi a star sano et Dio ti guardi.

Di Roma, il dì 6 di febraro 1557.

(Sottoscritto) Michelagniolo. [333]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 13 di febbraio 1557.

 

CCCII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Venendomi a trovar qua in Roma circa du' anni sono messer Lionardo, 255) uomo del duca di Firenze, mi disse che sua Signoria àrebbe avuto grandissimo piacere ch'i' fussi ritornato in Firenze, e fecemi molte oferte da sua parte. Io gli risposi, che pregavo suo Signoria che mi concedessi tanto tempo che io potessi lasciare la fabrica di Santo Pietro in tal termine, che la non potessi esser mutata con altro disegnio fuori dell'ordine mio. Ò poi seguitato, non avendo inteso altro, in detta Fabrica, e ancora non è a detto termine; e di più m'è agunto che m'è forza fare un modello grande di legniame con la cupola e la lanterna, 256) per lasciarla terminata come à a essere finita del tutto; e di questo son pregato da tutta Roma, massimamente dal Reverendissimo Cardinale di Carpi: in modo che io credo che a far questo mi bisogni star qua non manco d'un anno; e questo tempo prego il Duca che per l'amor di Cristo e di Santo Pietro me lo conceda, acciò ch'io possa tornare a Firenze senza questo stimolo, con animo di non aver a tornar più a Roma. Circa l'esser serrata la Fabrica, questo non è vero, perchè, come si vede, ci lavora pure ancora sessanta uomini fra scarpellini, muratori e manovali, e con speranza di seguitare.

Questa lettera io vorrei che tu la leggiessi al Duca, e pregassi suo Signoria da mia parte, che mi facessi grazia del tempo sopra detto, ch'i' ò di bisognio inanzi ch'i' possa tornare a Firenze; perchè se mi fussi mutato la composizione di detta Fabrica, come l'invidia cerca di fare, sare' come non aver fatto niente insino a ora. 257)

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma. Riceuta addì 18 febraio 1556: de' dì 13 istante. [334]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 4 di maggio 1557.

 

CCCIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti mando costà per messer Francesco Bandini scudi cinquanta d'oro in oro, perchè tu mi mandi otto braccia di rascia nera la più legiera e bella che tu truovi, e dua braccia d'ermisino. Queste cose m'à mandato a chiedere la moglie d'Urbino: però mandamele più presto che puoi, e avisami della spesa; e del resto de' cinquanta scudi che io ti mando, fanne limosine dove ti pare che sie più bisognio. Altro circa questo non mi acade.

Io son vechio, come sai, e ò molti difetti nella persona, in modo che io mi sento poco lontan dalla morte, in modo che questo settembre, se sarò vivo, àrò caro che tu venga insin qua per aconciar le cose mia e nostre: e fa' pregare Idio per me; s'intende s'i' non sono prima costà. In questa sarà la lettera de' danari e una di messer Giorgo Vasari. Dàlla più presto che puoi e racomandami a lui, e avisami d'ogni cosa. Altre volte t'ò scritto, che tu non creda a nessuno che parli di me, se tu non vedi mia lettere.

Per farmi tornar costà, forse per ricuperare l'onore della sua partita di qua, dico di Bastiano da San Gimigniano, à ditto costà molte bugìe, forse a buon fine. A dì 4 di maggio 1557.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(D'altra mano.)

D. (Donato) Capponi di grazia fàtela dar bene. [335]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 16 di giugno 1557.

 

CCCIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò ricevuto la rascia e l'ermisino: come truovo chi la porti, la manderò, e súbito mi manderà i danari. 258) Del resto de' danari m'aviserai, quando n'àrai fatto quello che io ti scrissi.

Circa l'esser mio, sto male della persona, cioè con tutti i mali che sogliono avere i vechi; della pietra, che non posso orinare; del fianco, della schiena, in modo che spesso non posso salir la scala; e peggio è, perchè son pieno di passione; perchè lasciando le comodità ch'io ò qui a' mia mali, non ò a viver tre dì: e non vorrei perder per questo la grazia del Duca, nè vorrei mancar qua alla fabrica di Santo Pietro, nè mancare a me stesso. Prego Dio che m'aiuti e mi consigli; e se mi venisse male, cioè febre di pericolo, súbito manderei per te. Ma non ci pensare e non ti mettere a venire, se non ài mia lettere che tu venga.

Racomandami a messer Giorgio, che mi può giovare asai se vuole, perchè so che il Duca gli vuol bene.

A dì sedici di gugnio 1557.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [336]

 

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Raccolta già Bustelli.  Di Roma, 1 di luglio 1557.

 

CCCV. 259)

 

Lionardo. – Io vorrei più presto la morte che essere in disgrazia del Duca. Io in tutte le mie cose m'ingegno d'andare in verità, e se io ho tardato di venir costà come ho promesso, io ho sempre inteso con questa condizione di non partire di qua, se prima non conduco la fabbrica di San Pietro a termine che la non possa esser guasta nè mutata della mia composizione, e di non dare occasione di ritornarvi a rubare come solevano e come ancora aspettano i ladri: e questa diligenzia ò sempre usata e uso, perchè come molti credono e io ancora, esservi stato messo da Dio. Ma 'l venire al detto termine di detta fabbrica non m'è ancora, per esser mancati i danari e gli uomini, riuscito. Io perchè son vechio e non avendo a lasciare altro di me, non l'ò voluta abbandonare, e perchè servo per l'amor di Dio e in lui ho tutta la mia speranza. 260) Acciò che 'l Duca sappia la cagion del mio ritardare, la scrivo in questa con un po' di disegnio dell'errore, acciò ne dia notizia al Duca messer Giorgio.

A dì primo di luglio 1557.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. 261) [337]

 

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Raccolta già Bustelli.  Di Roma, 17 d'agosto 1557.

 

CCCVI. 262)

 

Lionardo. – Per l'ultima tua come per l'altre mi solleciti al tornare costà; e io ti dico che chi non è qua e non m'ode e non mi vede, non sa che starmi sia il mio qua. Però non bisognia dirmi altro. Io fo ciò ch'i' posso fare di me ne' termini ch'io mi trovo.

Circa la cortesia e amore e carità grandissima del Duca, io resto tanto vinto, ch'io non so che mi dire. Bisognia che messer Giorgio m'aiuti, perchè sa quanto bisognia ringraziare, e con che parole, uno che stima la mia vita più che non fo io medesimo, e massimo un senza pari. Altro non mi acade. Lo scrivere m'è di gran fastidio per esser vechio e pien di confusione. A dì 17 di agosto 1557.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

Spicca la metà di questo foglio e dàllo a messer Giorgio, perchè va a lui. Non ho scritto altrimenti, perchè non avevo più carta in casa. [338]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, di settembre 1557.

 

CCCVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò inteso per l'ultima tua la gran rovina de' ponti e de' munisteri e delle case e de' morti che à fatto costà la piena, 263) e come voi a rispetto agli altri l'avete campata assai bene. Io l'avevo inteso prima, e così credo che abiate inteso di qua voi, che abiàno avuto il simile delle rovine e de' morti dalla piena del Tevere: e noi per essere in luogo alto l'abiam campata assai bene a rispetto agli altri. Prego Idio che ci guardi di peggio, com'io temo per e' nostri pecati.

Le cose mia di qua vanno non troppo bene: io dico circa la fabrica di Santo Pietro, perchè non basta ordinare le cose bene, ch'e' capomaestri o per ignioranza o per la malizia fanno sempre il contrario, e a me toca la passione dell'error mio. Dell'altre cose, tu 'l puoi considerare, sendo nell'età ch'i' sono. Altro non mi acade.

Michelagniolo Buonarroti. [339]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 16 di dicembre 1557.

 

CCCVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivi per l'ultima tua, che bisogniandomi o serve o altro per mio governo, che io te n'avisi, che mi manderai tutto quello che mi bisognia. Io ti dico che per ora non mi acade altro, perchè ò dua buon garzoni che mi servono tanto che basta.

Altro non ò da scriverti. Da vechio sto assai bene e con buona speranza: fa' di vivere, e pregàmo Dio che c'aiuti. A dì sedici di dicembre 1557. 264)

 

(Di mano di Lionardo.)

1556, di Roma, ricevuta adì 22 di gennaio: de' dì 16 detto. (sic.) [340]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, (25 di giugno 1558).

 

CCCIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò avuto il trebbiano, e non senza vergognia e passione, perchè senza assaggiarlo n'ò presentato, credendo che fussi buono. Dipoi n'ò avuto il mal grado: quando bene e' fussi stato, no' lo avevi a mandare, perchè non son tempi da ciò. Attendi a vivere e non pensare a me; che quando m'acadessi cosa alcuna, te lo farei intendere. Io non t'ò risposto a più tuo' lettere, perchè lo scrivere m'è gran fastidio e noia, e perchè ò 'l capo a altro; e non importando, l'ò trascurato: e così farò per l'avenire.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [341]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 2 di luglio (1558).

 

CCCX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi della ricievuta del trebbiano e come senza assaggiarlo prima, ne presentai parechi fiaschi, credendo che fussi come l'altro, che m'ài più volte mandato; ond'io n'ò avuto vergognia e passione. Se tu lo togliesti costà buono, è forza che 'l mulattiere abbi fatto qualche ribalderia per la via. Però non mi mandar più niente, se io non te ne richiego, perchè ogni cosa mi fa noia. Bada a vivere e governarti el meglio che puoi, e non pensare di qua a' casi; e quando m'acadessi più una cosa che un'altra, io te lo farò intendere.

A dì 2 di luglio.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1558. Riceuta addì 7 di luglio. [342]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (16 di luglio 1558).

 

CCCXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebi della settimana passata una tua, per la quale intendo come stai bene, e 'l putto ancora. Idio gli dia lunga e buona vita, e di tutto sia ringraziato.

Circa il trebbiano di che mi scrivi, non acade farne scusa, e un'altra volta i danari che tu spenderesti a mandarmene, àrò più caro che tu gli dia per l'amor di Dio, perchè credo che vi sia de' bisogni, e secondo che si dice qua, avete gran carestia; e anche qua par che cominci il medesimo. Altro non m'acade. Ingégniati di vivere e star sano, e racomandami alla Cassandra.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [343]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 2 di dicembre 1558.

 

CCCXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò inteso la morte della bambina: non me ne maraviglio, perchè non fu mai in casa nostra più che un per volta. Io ti scrissi già di comperare costà una casa che fussi onorevole e in buon luogo: son della medesima voglia, perchè comperai qua circa novecento scudi di Monte, del quale me n'uscirei volentieri, e con la casa che io ò qua, e comperar costà: però m'avisa, quando trovassi cosa al proposito per insino in dumila scudi.

Altro non m'acade. Son vechio e qua duro gran fatica mal conosciuta, e fo per l'amor di Dio, e in quello spero e non in altro.

A dì 2 di dicembre 1558.

Michelagniolo Buonarroti.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1558. Riceuta adì.... di dicembre: del 2 deto. [344]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 16 di dicembre 1558.

 

CCCXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Bartolomeo Amannato, capomaestro dell'Opera di Santa Maria del Fiore, mi scrive e domanda consiglio da parte del Duca d'una certa scala che s'à fare nella Librerria di San Lorenzo. Io n'ò fatto così grossamente un poco di bozza picola di terra, come mi par che la si possa fare, e ò pensato d'aconciarla qua in una scatola, e darla qua a chi lui mi scriverrà che gniene mandi: però pàrlagli e fàgniene intendere come più presto puoi.

Io ti scrissi per l'ultima d'una casa, perchè se di qua mi posso disobrigare innanzi la morte, vorrei saper d'avere costà un nido per me solo e mia brigate: e per questo fare, penso fare di qua danari di ciò che io ci ò: e se prima potessi con buona licenzia e di costà e di qua, prima lo farei; perchè, come ti scrissi, ci ò cattiva sorte.

A dì sedici di dicembre 1558.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1558, di Roma, addì 23 di dicembre: de' 16 detto. [345]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 15 di luglio 1559.

 

CCCXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò ricievuto le camicie con tutte l'altre cose che dice la lettera. Ringrazia la Cassandra da mia parte, come saperrai fare.

I' ò avuto dua lettere che molto caldamente mi priegano ch'i' torni a Firenze. Io credo che tu non sappia, che circa quattro mesi fa, per mezzo del cardinale di Carpi, che è de' deputati della fabrica di Santo Pietro, io ebbi licenzia dal Duca di Firenze di seguitare in Roma la fabbrica di Santo Pietro; in modo che ne ringraziai Dio e ébine grandissimo piacere. Ora quello che tu mi scrivi sì caldamente, come è detto, non so se s'è pel desiderio che tu ài ch'io torni, o se pur la cosa sta altrimenti; però ciarisci un poco meglio, perchè ogni cosa mi dà passione e noia.

Òtti per buon rispetto a fare intendere, come i Fiorentini voglion fare qua una gran fabrica, cioè la lor chiesa, e tutti d'acordo m'ànno fatto e fanno forza ch'io ci attenda. Ò risposto che son qua a stanza del Duca per le cose di Santo (Pietro), e che senza sua licenzia non son per aver niente da me.

A dì quindici di gugnio 265) 1559.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

Lo scrivere m'è di grandissima noia alla mana, alla vista, e alla memoria. Così fa la vechiezza!

 

(Di mano di Lionardo.)

Riceuta adì 29 di luglio: de' dì 15 detto. [346]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, ( di dicembre 1559).

 

CCCXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò avute tutte le cose che dice la lettera: di che ti ringrazio: e ònne fatto parte agli amici. L'altra cosa, di che mi scrivi, s'aconcierà presto e bene: e manderòti ogni cosa chiara.

Michelagniolo in Roma. [347]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 16 di dicembre 1559.

 

CCCXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò ricevuti i dodici marzolini che tu mi mandi: son molto begli: faronne parte a qualche amico: e te ne ringrazio; e piacemi intendere che tutti state bene. Io qua son molto vechio e con molti difetti, come fa la vechiezza; però questa primavera àrò caro che tu venga insin qua per più rispetti, come ti scriverrò, e non prima. Altro non mi acade. A dì sedici di dicembre 1559.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1559, addì 22 di dicembre. [348]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 7 di gennaio 1560.

 

CCCXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per le man di Simon del Bernia quindici marzolini e quattordici libre di salsiccia: l'ò avute care e similmente e' marzolini, perchè è carestia di simil cose; ma non vorrei già che entrassi più in spesa per simil cose, perchè qua la minor parte è la mia.

Io ti scrissi d'una casa per ridur costà ciò che io ò qua inanzi alla morte: non so che si seguirà, perchè ci son molto impacciato.

A l'Ammannato vorrei che gli dicessi, che sabato gli manderò il modello della scala della Libreria o per le man del parente o del procaccio, come più presto e meglio si potrà.

Poi che ebbi scritto, rimasi col parente, cioè col padre della sua donna, 266) che lui lo mandassi per un mulattiere ieri o oggi che è sabato, perchè pel procaccio si sarebbe guasto: e detto suo parente per insino adesso ch'è sera, non s'è lasciato ritrovare. Ò mandato a casa sua: non è in Roma. Come torna, gniene darò, come ò commessione.

Michelagniolo in Roma.

 

Fa' intender questo a l'Ammannato, e racomandami a lui. [349]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 14 di gennaio 1560.

 

CCCXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Ier mattina si partì il mulattiere che porta costà a l'Ammannato quel modelletto che gli promessi, e detto mulattiere si domanda Marco da Luca. Quello Battiferro, a chi io avevo commessione di darlo che lo mandassi, non è stato mai in Roma, se non poi che io l'ò mandato: e quando detto Marco ti viene a truovare con la scatola legata dov'è il modello, fàlla pigliare a detto Amannato acciò s'egli volessi donar qualche cosa; che qua non à avuto altro che un iulio: e racomandami a lui. A dì 14 di gennaio 1559. 267)

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1559, addì 23 di gennaio: de' dì 14 detto. [350]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 10 di marzo 1560.

 

CCCXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò avuti i ceci rossi e bianchi e piselli e faguoli: ògli avuti molto cari, benchè istia in modo che mal posso far quaresima per esser vechio come sono. Io ti scrissi più mesi sono, che àrei caro che tu venissi insino qua; e così ti raffermo: cioè che passato mezzo maggio che viene, t'aspetterò: e se non ti senti da venire o non puoi, avisa.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma. Riceuta addì 16 di marzo, 1559. [351]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (15) di marzo 1560.

 

CCCXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non risposi sabato all'ultima tua, perchè non ebbi tempo: ora ti dico che ò avuto piacere grande della femina che ài avuta, perchè sendo noi soli, sarà pur buona a fare qualche buon parentado. Però abbiàtene cura, benchè io non m'abbi a trovare a quegli tempi. Io scrissi del venire tu a Roma: quando sarà tempo t'aviserò, come per altra volta t'ho scritto. Sappi che la maggior noia che io abbi a Roma, è d'avere a rispondere alle lettere.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma. Riceuta addì 21 di marzo, 1559. [352]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 11 d'aprile 1560.

 

CCCXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Tu mi scrivesti che questa primavera volevi andare a Loreto; e che passeresti di qua. A me pare che sare' meglio andare prima a Loreto e al tornare, passare di qua: e potrai star qui qualche dì. Però scrivimi il dì che partirai, e fa' d'aver buona compagnia, perchè non nuoce d'ogni tempo. Altro non mi acade. Parmi che tu vadi inanzi a' caldi.

A dì undici d'aprile mille cinquecento sessanta.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1560: addì 19 d'aprile: de' dì 11 detto. [353]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 18 di maggio (1560).

 

CCCXXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò per l'ultima tua, come se' tornato da Loreto. Io t'aspettavo a Roma, tornando; ma veggo non avesti la mia lettera inanzi che partissi di Firenze. Ora poi che è seguito così, e che oramai siàno distante, mi pare per più rispetti che sie meglio indugiare a settembre il tuo venire, e allora t'aspetterò. Non mi acade altro per ora. Io vo sopportando la vechiezza el meglio ch'i' posso con tutti i suo' mali e disagi che porta seco: e raccomando a chi mi può aiutare.

A dì.... di maggio.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, addì 22 di magio 1560: de' dì 18 detto. [354]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 1 di giugno 1560.

 

CCCXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Poichè non se' venuto qua al tornar da Loreto, per non avere avuto la mia lettera, inanzi che partissi di Firenze, è meglio lasciar passar questa state e venire questo settembre. Altro non ò da scriverti per ora.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1560, di Roma. Riceuta a dì 5 di gugno: de' dì primo detto. [355]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 27 di luglio (1560).

 

CCCXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi una tua pochi dì sono con la morte di Lessandra tua figluola. N'ò avuto passione assai; ma mi sarei maravigliato se fussi campata, perchè in casa nostra none sta mai più che uno per volta. Bisognia aver pazienzia, e tanto più aver cura a chi ci resta. Altro non mi acade. Passati e' caldi, se potrai, verrai insin qua, come t'ò scritto altre volte; e quando ti parrà tempo, da'mene prima aviso.

A dì 27 di luglio.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1560, addì 31 di luglio: de' dì 27 detto. [356]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (27 d'ottobre 1560).

 

CCCXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi più mesi sono, che àrei caro che tu venissi qua. Ora (ò) inteso per la tua, come ti parrebe indugiare insino a ottobre. Io ti dico che 4 mesi o più o meno non dànno noia: però sarà buono indugiare a questa primavera, che sarà miglior tempo da venire, e da tornare. Altro non mi acade. Quando sarà tempo, te lo farò intendere. Alli.... d'ottobre 1560.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

Di Roma, 1560. Riceuta addì 31 d'otobre. [357]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 12 di gennaio 1561.

 

CCCXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ebbi più dì sono da te dodici marzolini: sono stati begli e buoni: di che ti ringrazio. Non te n'ò scritto prima, perchè non ò potuto, e perchè lo scrivere, sendo vechio come sono, lo scrivere 268) m'è di gran fastidio. Altro non mi acade. Del venire ora qua non è tempo, perchè sto in modo, che sarebbe uno acresermi 269) noia e affanno. Quando sarà tempo, te n'aviserò.

A dì dodici di gennaio 15sessantuno.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1560, di Roma, addì 17 di gennaio: de' dì 12 detto. [358]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 18 di febbraio 1561.

 

CCCXXVII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io t'aspetto qua in queste feste di Pasqua. Non m'è paruto tempo prima. Però se ti torna bene, non mancare.

A dì 8 270) di febbraio 15sessantuno.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1560, di Roma, addì 23 di febbraio: de' dì 18 detto. [359]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 22 di marzo 1561.

 

CCCXXVIII.

A Lionardo Buonarroti in Firenze.

 

Lionardo. – Io t'aspetto dopo le feste o quando t'è comodo, perchè non è cosa che importi. Fa' d'aver buona compagnia, e non menar teco gente che io abbia a tener qua in casa, perchè ci ò donne e poche masserizie; e in fra due o tre dì ti potrai ritornare a Firenze, perchè con poche parole ti farò intendere l'animo mio.

Al venti dua di marzo mille cinque cento sessantuno.

Michelagniolo Buonarroti in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1561, di Roma, addì 27 di marzo: del 22 detto. [360]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, (22 di giugno 1561).

 

CCCXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ò ricievuto oggi a dì venti dua di gugnio fiaschi quarantadua di trebbiano; di che ti ringrazio. È molto buono: faronne parte agli amici. El nome del mulattiere è Domenico da Feggine. E de' dua cappelli ti ringrazio. Àrei caro che m'avisassi come la fa la Francesca.

Michelagniolo in Roma.

 

(Di mano di Lionardo.)

1561, di Roma, addì 26 di giugno: de' dì 22 detto. [361]

 

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Museo Britannico.  Di Roma, 18 di luglio 1561.

 

CCCXXX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti scrissi la ricievuta del trebbiano e ultimamente com'io avevo caro d'intendere come sta la Francesca, e non ò avuta risposta nessuna. E ora perchè son vechio come sai, vorrei fare costà qualche bene per l'anima mia, ciò è limosine; che altro bene non ne posso fare, nè so. E per questo vorrei far pagare in Firenze una certa quantità di scudi, che tu gli andassi pagando overo dando per limosina dove è maggior bisognio. E' detti scudi saranno circa trecento. Ònne richiesto il Bandino, ciò è che me gli facci pagare costà; m'à risposto che infra quatro mesi gli porterà lui. Non voglio indugiar tanto: però se ài qualche amico fiorentino a chi io possa dargniene sicuramente che te gli dia costà, dàmene aviso, e tanto farò: e avisera'mi della ricevuta.

A dì diciotto di luglio mille cinque cento sessantuno.

Michelagniolo Buonarroti in Roma. [362]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 20 di settembre 1561.

 

CCCXXXI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io vorrei che tu cercassi fra le scritture di Lodovico nostro padre, se vi fussi la copia d'un contratto in forma Camera, fatto per conto di certe figure ch'i' promessi seguitare per papa Pio Secondo, 271) dopo de la morte sua; e perchè detta opera, per certe differenze restò sospessa circa cinquant'anni sono, e perchè io son vechio, vorrei aconciar detta cosa, a ciò che dopo me ingustamente non fussi dato noia a voi. Parmi ricordare che 'l notaio che fece in Vescovado detto contratto, si chiamassi Ser Donato Ciampelli. Èmi detto che tutte le sua scritture restassino a Ser Lorenzo Violi; però non trovando in casa detta copia, si potrebbe intendere dal figliolo di detto Ser Lorenzo e se l'à e che vi si trovassi detto contratto in forma Camera, non guardare in spesa nessuna averne una copia.

A dì venti di settembre 1561.

Io Michelangiolo Buonarroti.

 

(Di mano di Lionardo.)

1561, di Roma, addì 25 di settembre: del 20 detto. [363]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 30 di novembre (1561).

 

CCCXXXII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò avuto dua delle tua lettere e una d'Antonio Maria Picoluomini e un contratto. Io non ti posso dire altro, perche l'Arcivescovo di Siena, 272) sua grazia, s'è messo a volere aconciare questa cosa, e perchè è uomo da bene e valente, credo ch'àrà buon fine; e quello che seguirà, t'aviserò. Non altro.

Di Roma, a dì ultimo di novembre.

Io Michelagniolo Buonarroti.

 

(Di mano di Lionardo.)

1561, di Roma, riceuta addì 4 di dicembre: de' dì ultimo di novembre. [364]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 12 di gennaio 1562.

 

CCCXXXIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io ti mandai, già più anni sono, una scatola di scritture di grande importanza, perchè non andassino qua male, per certi pericoli che c'erano. Ora m'acade per mia utilità e onore mostrarle al Papa: però vorrei che ora più presto che puoi per uomo fidato me le rimandassi; e condannale in quel che tu vuoi senza rispetto; che tanto gli (farò) dar qua. Di Roma, a dì dodici di gennaio mille cinquecento sessanta dua.

Michelagniolo Buonarroti.

 

(Di mano di Lionardo.)

1561, riceuta a dì 15 di gennaio: de' dì 15 273) detto.

 

(D'altra mano.)

D. (Donato) Capponi fàtene di grazia servizio. [365]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 31 di gennaio 1562.

 

CCCXXXIV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò avuto la scatola delle scritture. Òvi trovate più cose a proposito di quello ch'i' voglio poter mostrare, come ti scrissi. Vorrie fare copiare quelle che i' ò di bisognio, e poi rimetterle insieme e rimandartele. Altro non acade. Adì ultimo di gennaio in cinque cento sessanta dua; di Roma.

Io Michelagniolo Buonarroti. [366]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 14 di febbraio 1562.

 

CCCXXXV.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Io non ti rimando ancora le scritture che mi mandasti, perchè non ò potuto fare cosa nessuna di quello che io volevo, per rispetto del carnovale e del sentirsi male della vita. Ò avuto dolori colici molto crudeli: ora sto bene: e come ò aoperato dette scritture, me ne serberò la copia e rimanderoti ogni cosa, con quelle che io avevo prima. Riguàrdale, perchè è buono averle in casa.

A dì quattordici di febraio mille cinquecento sessanta dua.

Io Michelagniolo Buonarroti in Roma. [367]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 20 di febbraio 1562.

 

CCCXXXVI.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò ricevuto un bariglione con tre sachetti di civaie, ceci rossi e bianchi e pisegli verdi; di che ti ringrazio. Altro no' mi acade. Sono stato un poco male di dolor colici: son passati, e sto assa' bene.

Adì venti febraio mille cinquecento sessanta dua.

Io Michelagniolo. [368]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 27 di giugno 1562.

 

CCCXXXVII.

 

Carissimo Nipote. – Per questa vi aviso come ho recevuto il trebbiano, che furno fiaschi 43, il quale mi è stato, al solito, grato. Non vi maravigliate, se io non vi scrivo, perchè sono vechio come sapete, et non posso durar fatica a scriver. Io sono sano; il simile sperando de voi tutti. Pregate Iddio per me. Se la Cassandra fa figliolo, póreteli nome Buonarroto; se sarà figliola, póretili nome Francesca. Altro non scrivo. Il Signor Iddio da mal vi guardi et me insieme con voi. Di Roma, il dì 27 de giugno 1562.

(Sottoscritto) Michelagniolo Buonarroti. [369]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 31 di gennaio 1563.

 

CCCXXXVIII.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – I' ò ricevuto il panno per Simon del Bernia mulattiere. Io ti ringrazio. Del venire a Roma, non mi serebbe c'aggugnier noie alle mie passione, per ora. Altro no' mi acade. A dì utimo di gennaio del sessanta 3.

Michelagniolo in Roma. [370]

 

――――――

 

Archivio Buonarroti.  Di Roma, 25 di giugno 1563.

 

CCCXXXIX.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

A dì 25 di gugnio 1563.

Lionardo. – Io ò ricevuto il trebbiano con altre tua lettere e della Francesca. Non ò risposto prima, perchè la mano non mi serve a scrivere; el simile dissi al signore Imbasciatore 274) del Duca. Della lettera di messer Giorgo, io ti ringrazio; e fa' mie scuse con messer Giorgo, perchè son vechio. A voi mi racomando.

Io Michelagniolo Buonarroti. [371]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 21 d'agosto 1563.

 

CCCXL.

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Veggo per la tua lettera che tu presti fede a certi invidiosi e tristi, che non possendo maneggiarmi nè rubarmi, ti scrivono molte bugìe. Sono una brigata di giottoni: e se' sì scioco, che tu presti lor fede de' casi mia, come s'io fussi un putto. Lèvategli dinanzi come scandalosi, invidiosi, e tristamente vissuti. Circa il patir del governo che tu mi scrivi e d'altro: quanto al governo, ti dico che io non potrei star meglio, nè più fedelmente esser in ogni cosa governato e trattato; circa l'esser rubato, di che credo voglia dire, ti dico che ò in casa gente che me ne posso dare pace e fidarmene. Però attendi a vivere, e non pensare a' casi mia, perchè io mi so guardare, bisogniando, e non sono un putto. Sta' sano. Di Roma, a dì 21 d'agosto 1563.

Michelagniolo.

 

(D'altra mano.)

A Jacopo Buonsigniori che ne faci servitio. [372]

 

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Archivio Buonarroti.  Di Roma, 28 di dicembre 1563.

 

CCCXLI. 275)

A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.

 

Lionardo. – Ebbi la tua ultima con dodici marzolini begli e buoni; te ne ringrazio: rallegrandomi del vostro buon essere, e 'l simile è di me. E avendo ricevuto pel passato più tua, e non avendo risposto, è mancato perchè la mano non mi serve; però da ora inanzi farò scrivere altri e io sottoscriverò. Altro non m'acade. Di Roma, a dì 28 di dicembre 1563.

Io Michelagniolo Buonarroti.

 

Fine delle lettere alla famiglia.

 

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161) Michelangelo aveva assegnato per dote alla Francesca sua nipote il podere di Pozzolatico, detto Capiteto. Ma poi se lo riprese nel 1540, mediante lo sborso di 700 ducati.  

162) Fattucci.  

163) Fattucci.  

164) Erano i marmi che Michelangelo aveva nella sua stanza di Via Mozza, comprati in questo anno dal duca Cosimo de' Medici, e che servirono a Baccio Bandinelli per il lavoro del Coro del Duomo. Pe' quali fu sborsato il prezzo che si dice nella lettera, finito di pagare al Buonarroti nel settembre del 1559.  

165) Intendi del ritratto del duca Cosimo.  

166) Manca l'indirizzo. Si vede bene che questa lettera fu scritta da Michelangelo, quando Lionardo andò a Roma a visitarlo dopo la grave sua malattia: il che Michelangelo ebbe molto per male.  

167) Ossia il provento del porto del Po a Piacenza.  

168) Così nell'autografo. Intendi: altrettanta somma di danari.  

169) Sta così nell'autografo. Ma vale l'osservazione fatta nella lettera precedente.  

170) Alessandro Vellutello, il cui Comento alla Divina Commedia fu stampato la prima volta in Venezia dal Marcolini nel 1544.  

171) La sottoscrizione manca.  

172) Bernardino di Piero Basso, scarpellino.  

173) Le cantine.  

174) Di qui scrive il Del Riccio. Però Michelangelo sottoscrive.  

175) Michelangelo era stato gravissimamente malato, in modo che era venuta la nuova in Firenze della sua morte. Stette in casa degli Strozzi, ed il Del Riccio, loro ministro ed amico di Michelangelo, lo governò ed assistè con grandissima cura ed amorevolezza.  

176) La lettera è scritta da messer Luigi del Riccio.  

177) Di qui scrive Michelangelo.  

178) Sta così nell'autografo.  

179) Così si legge.  

180) Ossia nel Quartiere di Santa Croce.  

181) Da queste parole s'intende che Michelangelo credeva che veramente l'origine della sua famiglia fosse da' Conti di Canossa.  

182) Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 737.  

183) Del Riccio, morto sul finire del 1546.  

184) Mancano le parole: a mandare.  

185) Manca una parola; forse, mando.  

186) Intendi: del tôrre moglie.  

187) Il porto del Po a Piacenza era stato concesso a Michelangelo da Paolo III con Breve del dì 1º di settembre 1535, affinchè colla sua entrata, che si stimava di 600 ducati all'anno, potesse essergli assicurata la metà della pensione vitalizia di 1200 ducati, assegnata a lui da papa Clemente VII. Di questa entrata però non potè Michelangelo conseguire il formale possesso prima del maggio 1538. E perchè egli, per dimorare in Roma, non poteva riscuotere i proventi di quel porto, avevalo dato in affitto a Francesco di Giovanni Durante da Piacenza. Ma Michelangelo non godè quel possesso senza contrasti e litigi: e prima per parte della signora Beatrice Trivulzio, la quale, pretendendo diritti sul fiume, vi aveva aperto un nuovo passo, e ne riscuoteva il pedaggio, con non piccolo scapito di Michelangelo; e ci volle tutta l'autorità della Camera Apostolica, perchè fosse tolto di mezzo questo inconveniente. Venne dipoi il Comune di Piacenza, che desiderava di assegnare in benefizio del proprio Studio pubblico i frutti del porto; ed in ultimo si presentarono i fratelli Baldassarre e Niccolò della Pusterla, i quali affermavano avervi diritto per concessione imperiale; e ne mossero lite, che andò assai in lungo con grande noia e sdegno di Michelangelo; sebbene Pier Luigi Farnese duca di Parma procurasse di quietarlo con buone promesse. Ma dopo la morte violenta di quel Duca, e la conseguente caduta di Piacenza nelle mani di Carlo V, la Camera Imperiale prese per suo il porto del Po, e così Michelangelo restò privato per sempre di quel contrastato provento. Intorno a questo fatto, vedi Amadio Ronchini; Michelangelo e il Porto del Po a Piacenza: negli ATTI E MEMORIE DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LE PROVINCIE MODENESI E PARMENSI.  

188) Cioè, consumando il capitale senza frutto, per non esercitarlo.  

189) Giuliano, pittore. Morì d'anni 79, a' 17 di febbraio 1554.  

190) Così dice per svista, invece di lettere.  

191) Questo che segue è pubblicato dal Grimm, Op. cit., pag. 739.  

192) Forse, dire.  

193) Parla del suo cognome, il quale voleva si dicesse de' Buonarroti Simoni, per essere stati nella sua famiglia parecchi individui col nome di Simone e di Buonarroto, sebbene egli si sottoscriva sempre Buonarroti.  

194) Manca la sottoscrizione.  

195) La lettera è scritta da Bianello de le quattro Castella il dì 8 d'ottobre 1520. In essa dice il Conte, che ricercando nelle cose antiche di sua casa aveva trovato un messer Simone da Canossa essere stato nel 1250 Potestà di Firenze. Da questo messer Simone si pretendeva aver avuto principio in Firenze i Buonarroti Simoni. Pare che Michelangelo credesse a questa sua parentela coi Conti di Canossa, e il Condivi, che si sa avere scritto la Vita del Buonarroti, secondo le informazioni avute in gran parte da lui, racconta la stessa cosa; come pure il Vasari, sebbene dubitativamente, il Borghini nel suo Riposo, il Varchi nell'Orazione funebre, il Mazzucchelli negli Scrittori italiani, ed il Litta nella Famiglia Buonarroti, seguitando semplicemente la tradizione. Ma la vanità di questa credenza, e come essa contraddica alla verità storica, è stata ultimamente mostrata con buone ragioni ed argomenti dal marchese Giuseppe Campori nel suo Catalogo degli Artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi. Modena, 1855, in-8º.  

196) La prima parte di questa lettera è pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 731.  

197) Morì a' 9 di gennaio del 1548, e fu sepolto nell'avello gentilizio in Santa Croce.  

198) Pare che accenni alla crudele legge mandata fuori dal duca Cosimo l'undici di marzo del 1548 contro i cospiratori, i ribelli e i discendenti loro: la quale legge per essere stata compilata, secondo gl'intendimenti del Duca, da Jacopo Polverini da Prato, auditore fiscale, fu chiamata La Polverina.  

199) Michelangelo, quando nel luglio del 1544 fu gravemente ammalato, stette in casa degli Strozzi.  

200) Ripetuto così nell'autografo.  

201) Tra le carte dell'Archivio Buonarroti è una copia del tempo di Michelangelo della sua natività, cavata dalle Ricordanze di Lodovico suo padre. Noi la riferiamo nella medesima forma sua, parendoci documento di qualche importanza:

Ricordo come ogi questo dì 6 di marzo 1474 mi nacque uno fanciulo mastio: posigli nome Michelagnolo; et nacque in lunedì matina innanzi di 4 o 5 ore, et nacquemi, essendo io potestà di Caprese, et a Caprese nacque e compari furno questi di sotto nominati. Battezossi addì 8 detto nella chiesa di S.to Giovanni di Caprese. Questi sono e' compari.

Don Daniello di Ser Bonaguida da Firenze, rettore di Santo Giovanni di Caprese.

Don Andrea di.... da Poppi, rettore della Badia di Diariano (Larniano?).

Giovanni di Nanni da Caprese.

Jacopo di Francesco da Casurio.

Marco di Giorgio da Caprese.

Giovanni di Biaggio da Caprese.

Andrea di Biaggio da Caprese.

Francesco di Jacopo del Anduino da Caprese.

Ser Bartolomeo di Santi del Lanse, nottaro.

Nota che addì 6 di marzo 1474 è alla Fiorentina ab incarnatione, et alla Romana ab nativitate è 1475.  

202) Il porto del Po. Vedi quel che è stato detto alla nota 1 della Lettera CLXXIX. 

203) Manca la sottoscrizione.  

204) Per costui fece Michelangelo il cartone della Venere baciata da Amore, dipinto poi stupendamente in tavola da Jacopo da Pontormo: ed ora si conserva nella Reale Galleria di Firenze.  

205) In un libro di Ricordi di Lionardo Buonarroti, segnato A, che tira dal 1540 al 1565, si legge a carte 92 verso, che la limosina di 50 ducati d'oro fu pagata per la figliuola di Niccolò di messer Giovanni Cerretani, accettata per monaca nel monastero di Santa Verdiana di Firenze.  

206) Giuliano, pittore.  

207) Realdo Colombo, medico celebre.  

208) Manca la sottoscrizione.  

209) Questa possessione era posta ne' popoli di San Giorgio e di San Lorenzo a Grignano, podesteria di Radda. Michelangelo la comprò per la detta somma dagli Uffiziali de' Pupilli, curatori dell'eredità di Pierantonio di Gio. Francesco de' Nobili, per contratto rogato sotto dì 18 giugno 1549 da ser Piero dell'Orafo, notaio fiorentino.  

210) Manca la sottoscrizione.  

211) Munizione, ossia, buona provvista.  

212) Manca la sottoscrizione.  

213) Così sta nell'autografo. Intendi: appresso a quelle.  

214) Di questa Suor Domenica parla il Busini nelle sue Lettere al Varchi, e la dice donna dabbene, sensata e ben parlante. Essa si credeva profetessa, ed era per la sua bontà ascoltata volentieri e assai favorita dagli uomini più riputati che maneggiarono le cose della Repubblica nel tempo dell'assedio.  

215) Dice così nell'autografo.  

216) Paolo III, morto a' 10 di novembre 1549.  

217) Di questi Brevi, l'uno è del primo di settembre 1535, col quale il Pontefice elegge Michelangelo a supremo architetto, scultore e pittore del Palazzo Apostolico; e più gli concede il passo del Po presso Piacenza, che si stimava fruttare 600 scudi all'anno, e così la metà della pensione annua vitalizia di 1200 scudi assegnatagli da papa Clemente VII. L'altro è del 18 di dicembre 1537 per cagione della pittura della Sistina e della sepoltura di papa Giulio.  

218) Vittoria Colonna.  

219) Così nell'autografo.  

220) Le Rime della Vittoria Colonna furono stampate la prima volta nel 1538 in Parma. Poi, con una giunta di stanze, nel 1539, senza luogo e stampatore. Una terza edizione colla giunta di 16 sonetti spirituali, è quella di Firenze del suddetto anno. Finalmente una quarta, colla giunta di 24 sonetti spirituali e del Trionfo della Croce, fu fatta in Venezia nel 1544. Le posteriori non si notano. Delle molte lettere che deve avere scritto la Colonna a Michelangelo, oggi sei sole se ne conoscono, e sono tutte pubblicate. Cinque da copie tratte da' loro originali conservati nell'Archivio Buonarroti, furono stampate dal marchese Giuseppe Campori nelle Lettere artistiche inedite: Modena, Soliani, 1867 in-8º, ed una dal Grimm, dall'originale che è nel Museo Britannico.  

221) Dice così, forse per scorso di penna, invece di zio.  

222) Bernardetto, vescovo d'Arezzo, morto nel 1574.  

223) Vasari.  

224) Manca la sottoscrizione.  

225) La confessione della dote di 1500 ducati fu fatta da Lionardo a' 16 di maggio del 1553 per strumento rogato da ser Ottaviano da Ronta, notaio fiorentino.  

226) Dice così.  

227) Forse Lattanzio Cortesi.  

228) Così nell'autografo, e voleva dire: contentatevi.  

229) Così è scritto nell'autografo.  

230) Scrive così per svista, invece di acordatevene.  

231) Così sta.  

232) Copiata da Michel.º Buonarroti il giovane. 

233) Cosimo de' Medici.  

234) Sono da gran tempo perduti.  

235) Di San Lorenzo.  

236) Morì il 13 di novembre di quest'anno.  

237) Fra le carte dell'Archivio Buonarroti esiste la copia del testamento che Francesco del fu Bernardino degli Amatori da Castel Durante, infermo di corpo, fece sotto il dì 24 novembre (per svista del copiatore è scritto 24 di dicembre) 1555 pei rogiti di ser Vitale Galgani, notaio. Noi ne daremo il seguente transunto:

Lascia di esser seppellito, dopo la sua morte, nella chiesa della Minerva.

Vuole che 200 fiorini avuti sopra la detta casa sieno pagati a madonna Cornelia da' suoi eredi, i quali sono Michelangelo suo figliuolo, e il figliuolo che nascerà da madonna Cornelia gravida. Nel caso poi che di lei nascesse una figliuola, vuole che al suo tempo essa sia maritata con dote di 500 fiorini.

Lascia che dopo quattro anni dalla sua morte il suo erede sia tenuto a maritare due fanciulle povere.

Sostituisce nel caso di morte de' suoi eredi la Confraternita di Santa Caterina di Castel Durante, volendo che i frutti della sua eredità sieno dispensati a' poveri.

Nomina suoi esecutori testamentari e tutori de' figliuoli pupilli, messer Michelangelo Buonarroti, Roso de' Rosi e Pier Filippo Vandini da Castel Durante.

Fatto in Roma nel Rione di Trevi, nella camera del detto testatore, nella casa di messer Michelangelo Buonarroti, alla presenza de' testimoni: ser Sebastiano del fu Pietro Marianetti da San Gimignano in Toscana, soprastante della Fabbrica di San Pietro di Roma; Francesco di Gio. Filippo Perfetti da Castel Torchiaro da Parma, pizzicaiuolo al Macello de' Corvi; maestro Paolo del fu Bartolommeo Ducci dal Borgo San Sepolcro, scarpellino; Mario di Bartolo, scarpellino dal Borgo San Sepolcro; Vitale di Girolamo da Urbino, scarpellino; Antonio di Bisino da Carona Ghiringhelli della Diocesi Milanese, muratore, abitatore in Borgo, e Stefano di Giovanni da Romano, Diocesi di Brescia, muratore.  

238) L'Urbino morì, come s'è veduto, il 3 di dicembre 1555. Michelangelo ne aveva scritto da più d'un mese.  

239) Nell'autografo era dapprima stato segnato l'anno 1556, e poi corretto nel 1559; ma non è dubbio che deve dire 1556.  

240) La moglie dell'Urbino.  

241) Così si legge.  

242) Vasari.  

243) Vedi una lettera di Michelangelo al Vasari del 28 di maggio 1556. Messer Salustio è il figliuolo di Baldassarre Peruzzi, anch'esso architetto morto annegato in Germania.  

244) Aleotti, chiamato dal Buonarroti il Tantecose.  

245) Manca, dieci scudi.  

246) Manca, faccia o farà.  

247) Queste parole sono così ripetute ancora nell'autografo.  

248) Malenotti da San Gimignano, entrato nel luogo dell'Urbino morto.  

249) Il podere, con casa da signore e da lavoratore, era posto nel popolo di Santa Maria da Settignano, in luogo detto Scopeto. Comprollo Michelangelo da messer Giannozzo di Gherardo da Cepperello per 650 scudi, con strumento rogato da ser Niccolò Parenti, sotto dì 28 luglio 1556.  

250) Buonarroto, fratello di Michelangelo e padre di Lionardo, morì, per quanto pare, di peste a' 2 di luglio del 1528, e, come si narra, fra le braccia di Michelangelo.  

191) Così dice.  

252) Di questa gita a Spoleto scrive Michelangelo al Vasari in una sua lettera del 18 di settembre del medesimo anno. Egli era partito da Roma per fuggire i pericoli, da' quali era minacciata la città per la mossa dell'esercito spagnuolo guidato dal duca d'Alva, il quale partito da Napoli fino dal 1 di settembre, aveva invaso gli Stati della Chiesa, governata allora da Paolo IV.  

253) Pare che debba dire: novembre.  

254) Marinozzi d'Ancona, cameriere del duca Cosimo de' Medici.  

255) Il Marinozzi nominato nella precedente.  

256) Questo bellissimo modello di legname si conserva ancora nell'Archivio della Fabbrica di San Pietro. È alto metri 5,40, compresa la croce, e largo metri 3,86. Da esso si rileva che Michelangelo aveva disegnato la chiesa ed in special modo alcune parti della cupola e della lanterna, in maniera diversa da quella che dopo la sua morte fu fatta dagli architetti che la seguitarono e compirono.  

257) Manca la sottoscrizione.  

258) Cioè, la Cornelia moglie d'Urbino.  

259) La presente è cavata dalla copia fatta dall'originale da Michelangelo il giovane.  

260) Quel che segue manca negli stampati.  

261) Pubblicata nelle Lettere pittoriche, e nella nuova edizione delle Rime e Lettere di Michelangelo fatta dal Barbèra in Firenze nel 1858, in-24º.  

262) Da una copia di mano di Michelangelo Buonarroti il giovane, il quale vi pose questa avvertenza: Questa qui indiretta a Lionardo era nel medesimo piego del foglio, come è qui e nella medesima lettera (cioè in quella dove è la pianta della Cupola).  

263) Di questa terribile piena d'Arno, avvenuta il 13 di settembre del 1557, la quale dopo aver rovinato ponti, mulini e gualchiere nel Casentino e nel Mugello, inondò Firenze, ruppe il Ponte a Santa Trinita, parte di quello delle Grazie, e fece altre rovine, alzando l'acqua per le piazze quasi due metri, parlano gli storici di quel tempo. Poco tempo innanzi anche il Tevere aveva traboccato ed inondato tutta Roma, con la rovina del Ponte Sant'Angelo, e di altri edifizi.  

264) Manca la sottoscrizione.  

265) Di mano di Lionardo è scritto sopra, di Luglio.  

266) , Laura di Gio. Antonio Battiferro da Urbino, celebre poetessa de' suoi tempi.  

267) Qui Michelangelo segna l'anno secondo il computo fiorentino, già dismesso da lui, come abbiamo veduto, nelle lettere precedenti scritte al Nipote.  

268) Così è ripetuto nell'autografo.  

269) Dice così.  

270) Michelangelo per svista, o per difetto di memoria, ha segnato il dì 8 di febbraio: mentre dal ricordo del Nipote si rileva che veramente la lettera fu scritta il 18 di quel mese.  

271) Con strumento del 5 di giugno 1501 il cardinale Francesco Piccolomini, che poi fu papa Pio III, aveva allogato a Michelangelo quindici statue di marmo di Carrara per ornamento d'una sua cappella nel Duomo di Siena. A' 15 settembre del 1504 fu confermato il detto contratto da Jacopo ed Andrea Piccolomini, fratelli ed eredi del detto Papa, e poi ratificato agli 11 di ottobre del medesimo anno da loro e da Michelangelo con strumento rogato da ser Donato Ciampelli. Questo strumento fu pubblicato da Domenico Manni nelle Addizioni alle Vite di Michelangiolo Buonarroti e Pietro Tacca: Firenze, per il Viviani, 1774, in-4º.  

272) Francesco Bandini Piccolomini, il quale, dopochè Siena cadde in potere degli Spagnuoli e di Cosimo de' Medici, s'era riparato a Roma, e quivi poi morto; protestando di non voler più ritornare alla sua sede, se prima la patria non fosse stata restituita alla libertà.  

273) Così dice per svista, invece di 12.  

274) Averardo Serristori.  

275) Con questa finiscono le lettere di Michelangelo al Nipote che sono pervenute fino a noi. Dal 28 di dicembre del 1563, fino al 18 di febbraio del 1564, che fu l'ultimo della sua vita, non se ne trova neppure una scritta a Lionardo; il che non pare possibile: onde bisogna credere che sieno andate smarrite.