BIBLIOTHECA AUGUSTANA

 

Tommaso Campanella

1568 - 1639

 

Lettere

 

1593

 

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Serenissimo Gran Duca,

 

Si tratta in Padova di darmisi una lezione di metafisica nello Studio da alcuni gentiluomini: a'quali dissi che avevo promesso di servir Vostra Altezza, e per sua grazia gli era obbligato. E risolvendomi di finirla, perchè veggo la cosa fredda (come da Firenze mi si scrive) mi parve non far altro senza farcilene motto. Tanto più che mi parrebbe digradar dal mio pensiero, mostrandomisi confermar generosamente da V. A., mentre essendo con essa mi disse non solo volermi favorire, ma mi persuase con giusti consigli lasciar i frati (donde dipende la forza della mala fortuna mia) con apportarmi esempio di molti virtuosi da loro perseguitati, e da se rilevati. Anzi mi giovò con danari; e scrisse al P. Generale che mi desse licenza di venire a servirla, e di stampare altresì. Sicché sapendo io che le parole de' principi sono eterne e non devono mai aver fatto errore, nè in fatti e in parole, dove la cosa, particolarmente di stato, non ricercasse altro; abbisogna credere ch'io perda assai d'onore, cascando da quel prudente consiglio che aveva, sotto l'ale di Principe sì grande schivar la fortuna alle muse nemicissima; nè sarò mai che m'immagini ch'ella mutasse parere (a detto d'altri), non essendo proprio di Signori: benchè mi si scrive che alcuni gonfi di quella vana sorte che suole apportare la ipocrisia abbian proposto a V. A. (per la mutazion che avverrà da le nuove mie dottrine) che non doveva ricevermi: e questo, il medesimo dì ch'io mi partii da lei. Pure so ben io che le mutazion di nuovi ordini, d'onori e di viver appo i sudditi è nocevole al Principe; ma le dottrine nuove senza interesse giovano, perchè rendono il Principe ammirabile e riguardevole. Onde Alessandro diceva ad Aristotile, che quella nuova scienza che a lui comunicava non la facesse ire in man d'altri, perchè egli solo volea esser ammirato per quella. Le scienze poi vecchie e comuni rendono l'uomo men venerando. E perciò i legislatori proposero cose nuove e maravigliose a' popoli.

Io ancora so stare in quelle dottrine (48) che la volesse ordinare; e forse più ben degli altri: che saper me più dell'aristotelica le platoniche (da' suoi avi amate) e le pittagoriche et altre moderne non deve diminuirmi grazia e favore appo lei, come non mi scema la scienza, con la quale si governano gli Stati. Dunque la supplico resti servita farmi scrivere s'io deggio ricever questa lezione, ovver aspettar quando mi comanderà che venga a servirla. Al che resto prontissimo, e dal genio molto inclinato. Le dia il Cielo maggior felicità.

Di Padova, 13 Agosto 1593.