B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A
           
  Virginia Galilei
1600 - 1634
     
   



L e t t e r e   a l   p a d r e

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L'anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L'uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

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      35.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 4 gennaio 1628 [1629]


      Amatissimo Signor Padre.
      Mi giova di credere che V. S. per ritrovarsi in questi giorni assai occupata non abbia potuto altrimenti venir da noi; onde, desiderosa di saper qualcosa, mi son risoluta di scriverle di nuovo, dicendole che circa al visitar la sposa, indugerò quando piacerà a V. S. bastandomi di saperlo qualche giorno avanti, e farò anco capitale dell'amorevole offerta ch'Ella mi fa di aiutarmi, poiché, come discreta, può giudicare che, nel termine nel quale mi ritrovo, le forze non corrispondino né all'animo, né al debito mio. Onde gli mando in nota le cose di più spesa che per far un bacino di paste ci bisognano, lasciando per me gl'ingredienti di minor costo. Oltre a ciò V. S. potrà vedere se vuole ch'io gli faccia altre paste, come biscottini col zoccolo, e simili; perché credo senz'altro che spenderebbe manco che pigliandole dallo speziale, e noi le faremmo con tutta la diligenza possibile.
      Desidero di più ch'Ella mi dica il suo gusto quanto al presentare qualche cosa alla medesima sposa, perché io non desidero se non di compiacer a V. S. Il mio pensiero sarebbe di farle un bel grembiule, sì perché sarebbe cosa utile, come anco a noi di manco spesa, potendo lavorarlo da per noi; e questi collari e grandiglie, che usano adesso, non sappiamo farli.
      Dubiterei di non far sproposito, domandando a V. S. di queste bagattelle, se non sapessi ch'Ella, così nelle cose piccole come nelle grandi, ha di gran lunga più retto giudizio che non abbiamo noi altre. E perciò a Lei mi rimetto. E per fine mi raccomando insieme con Suor Arcangela, e a Vincenzio ancora.
      Il Signore la feliciti.
      Potrà consegnare al fattore la paniera dei collari con 3 coperte, cioè un grembiule sudicio, un asciugatoio e una pezzuola.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      36.

      A Bellosguardo

      22 marzo 1628 [1629]


      Amatissimo Signor Padre.
      Restammo veramente tutte satisfatte della sposa, per esser molto affabile e graziosa; ma sopr'ogni altra cosa ne dà contento il conoscer ch'ella porti amore a V. S., poiché supponghiamo che sia per farle quegli ossequi che noi le faremmo se ci fossi permesso. Non lasceremo già di far ancor noi la parte nostra inverno di lei, cioè di tenerla continuamente raccomandata al Signor Iddio, ché troppo siamo obbligate, non solo come figlie, ma come orfane abbandonate che saremmo, se V. S. vi mancassi.
      Oh se almeno io fossi abile ad esprimerle il mio concetto! Sarei sicura ch'Ella non dubiterebbe ch'io non l'amassi tanto teneramente quanto mai altra figlia abbia amato il Padre: ma non so significarglielo con altre parole, se non con dire ch'io l'amo più di me stessa: poiché, dopo Dio, l'esser lo riconosco da lei, accompagnato da tanti altri benefizi che sono innumerabili, sì che mi conosco anco obligata e prontissima, quando bisognassi, ad espor la mia vita a qualsivoglia travaglio per lei, eccettuatone l'offesa di sua Divina Maestà.
      Di grazia V. S. mi perdoni se la tengo a tedio troppo lungamente, poiché talvolta l'affetto mi trasporta. Non m'ero già messa a scriver con questo pensiero, ma sì bene per dirle che se potessi rimandar l'oriuolo sabato sera, la sagrestana che ci chiama a mattutino l'avrebbe caro; ma se non si può mediante la brevità del tempo che V. S. l'ha tenuto, sia per non detto: ché meglio sarà l'indugiar qualche poco e riaverlo aggiustato, caso che n'abbia bisogno.
      Vorrei anco saper s'Ella si contentassi di far un baratto con noi, cioè ripigliarsi un chitarrone ch'Ella ci donò parecchi anni sono e donarci un Breviario a tutte due; poiché quelli che avemmo quando ci facemmo monache sono tutti stracciati, essendo questi gli instrumenti che adoperiamo ogni giorno; ove che quello se ne sta sempre alla polvere e va a risico d'andar male, essendo costretta, per non far scortesia, a mandarlo in presto fuor di casa qualche volta.
      Se V. S. si contenta, me ne darà avviso acciò possa mandarlo: e quanto ai Breviari non ci curiamo che siano dorati, ma basterebbe che vi fossino tutti i Santi di nuovo aggiunti, e avessino buona stampa, perché ci serviranno nella vecchiaia, se ci arriveremo.
      Volevo fargli della conserva di fiori di ramerino, ma aspetto che V. S. ci rimandi qualcuno dei miei vasi di vetro, perché non ho dove metterla; e così se avessi per casa qualche barattolo o ampolla vota che gli dia impaccio, a me sarebbe grata per la bottega.
      E qui, per fine, la saluto di cuore insieme con Suor Arcangela e tutte di camera. Nostro Signore la conservi in sua grazia.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      37.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 8 luglio 1629.


      Amatissimo Signor Padre.
      L'incomodità ch'io ho patita dappoi che sono in questa casa, mediante la carestia di cella, so che V. S. in parte lo sa, ed ora io più chiaramente gliel'esplicherò, dicendole che una piccola celletta, la quale pagammo (conforme all'uso che abbiamo noi altre) alla nostra maestra trentasei scudi, sono due o tre anni, mi è convenuto, per necessità, cederla totalmente a Suor Arcangela, acciò (per quanto è possibile) ella stia separata dalla suddetta nostra maestra, che, travagliata fuor di modo dai soliti umori, dubito che con la continua conversazione gl'apporterebbe non poco detrimento; oltre che per essere Suor Arcangela di qualità molto diversa dalla mia e piuttosto stravagante, mi torna meglio il cedergli in molte cose per poter vivere in quella pace e unione che ricerca l'intenso amore che scambievolmente ci portiamo. Onde io mi ritrovo la notte con la travagliosa compagnia della maestra (se bene me la passo assai allegramente coll'aiuto del Signore, dal quale mi sono permessi questi travagli indubitamente per mio bene) e il giorno sono quasi peregrina, non avendo luogo ove ritirarmi un'ora a mia requisizione. Non desidero camera grande o molto bella, ma solo un poca di stanzuola, come appunto adesso me se ne porge l'occasione d'una piccolina, che una monaca vuol vendere per necessità di danari; e, mediante il buon uffizio fatto per me da Suor Luisa, mi preferisce a molte altre che cercano comperarla. Ma perché la valuta è di scudi 35, e io non ne ho altri che dieci, accomandatimi pur da Suor Luisa, e cinque n'aspetto della mia entrata, non posso impossessarmene, anzi dubito di perderla, se V. S. non mi sovviene colla quantità che me ne manca, che sono scudi 20.
      Esplico a V. S. il bisogno con sicurtà filiale e senza cerimonie, per non offender quella amorevolezza da me tante volte esperimentata. Solo replicherò che questa è delle maggiori necessità, che mi possono avvenire in questo stato che mi ritrovo, e che, amandomi Ella come so che mi ama, e desiderando il mio contento, supponga che da questo me ne deriverà contento e gusto grandissimo, e pur anco lecito e onesto, non desiderando altro che un poco di quiete e solitudine. Potrebbe dirmi V. S. che per esser assai la somma che domando, io mi accomodi dei 30 scudi che tiene ancora il convento di suo: al che io rispondo (oltre che non è possibile averli in questo estremo, essendo in molta necessità la monaca venditrice) che V. S. promesse alla madre Badessa di non gli domandare se non veniva qualche occasione, mediante la quale il convento fossi sollevato e non astretto a sborsarli contanti; sì che non per questo penso che V. S. lascerà di farmi questa gran carità, la quale gl'adimando per l'amor di Dio, essendo ancor io nel numero dei poveri bisognosi posti in carcere, e non solo dico bisognosi, ma anco vergognosi, poiché alla sua presenza non ardirei di dire così apertamente il mio bisogno: né meno a Vincenzio; ma solo con questa mia a V. S. ricorro con ogni fiducia, sapendo che vorrà e potrà aiutarmi. E qui per fine mi raccomando con tutto l'affetto, sì come anco a Vincenzio e sua sposa. Il Signor Iddio la conservi lungamente felice.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      38.

      A Firenze

      San Matteo, 6 settembre 1629


      Amatissimo Signor Padre.
      Aviamo riavuta l'ampolla d'olio con li scorpioni, e la ringraziamo Suor Luisa ed io infinitamente. Volevamo, parecchi giorni sono, mandargli un poca d'acqua di cannella fatta da noi non è molto, che, avvicinandosi la stagione più fresca, pensiamo che gli deva esser grata; ma restiamo per l'incomodità che aviamo di chi la porti. Che se V. S. avessi la casa più appresso [com'io desidererei) non ci sarebbono queste difficoltà. Basta, aspetteremo la prima occasione e frattanto avrò caro di sapere come stia la Lisabetta e se vuol qualche cosa da noi. Quando V. S. manda la tela per i collari per lei e pezzuola per la cognata, avrò caro che mandi la mostra di un collare che gli stia bene, e similmente il refe bresciano che m'ha promesso, che ne lavorerò con esso la pezzuola: perché ho gran sonno, non dirò altro se non che mi vo a letto per cavarmelo, essendo assai notte. La saluto di cuore insieme con Suor Luisa e Suor Arcangela, e similmente Vincenzio e la sposa. Nostro Signore la conservi.

      figliuola Affezionatissima
      S. M. Celeste.


      39.

      A Bellosguardo

      10 novembre 1629


      Amatissimo Signor Padre.
      Mi dispiace in estremo il sentire l'indisposizione di V. S., e tanto più perché ordinariamente è più travagliata quando viene da noi; e ardirei di dire, se credessi indubitatamente che questa gita tanto le nocessi, che più presto mi contenterei di privarmi di vista tanto cara e desiderata; ma veramente ne incolpo molto più la contraria stagione. La prego ad aversi cura più che sia possibile.
      Non poteva Suor Luisa mia aver maggior gusto quanto che vedendo che V. S. faccia capitale (se bene in piccola cosa) della nostra bottega; solo ha timore che non sia l'ossimele di quella esquisitezza ch'ella vorrebbe, dovendo servire per V. S. Gliene mandiamo once V come domanda, e se più gliene bisognerà siamo prontissime; ma perché ordinariamente si suol temperare con siroppo di scorza di cedro, anco di questo gli mandiamo, acciò veda se gli gusta: e, se altro gli occorre, dica liberamente. La ringrazio dei ritagli, e caso che n'abbia più, mi saranno gratissimi, e ancora io non lascierò di mandarle qualche amorevolezza per la Porzia [governante di Galileo]. Gli mando un poco di marzapane, che se lo goda per mio amore, e la saluto insieme con Vincenzio e la Cognata, della quale molto mi duole che si ritrovi in letto, e se gli bisogna qualche cosa ch'io la possi servire, lo farò molto volentieri. Nostro Signore doni a tutti la sua santa grazia.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.


      40.

      A Bellosguardo

      San Matteo, 22 novembre 1629


      Amatissimo Signor Padre.
      Ora che alquanto è mitigata la tempesta dei nostri molti travagli, non voglio tralasciar di farne consapevole V. S., sì perché ne spero alleggerimento d'animo, come anco perché desidero d'esser scusata da lei, se già due volte gli ho scritto così a caso e non in quella maniera che dovevo. Perché veramente ero mezza fuori di me, mediante il terrore causato a me e a tutte l'altre dalla nostra maestra, la quale, sopraffatta da que' suoi umori o furori, due volte ne' giorni passati ha cercato d'uccidersi. La prima volta con percuotersi il capo e il viso in terra tanto forte, ch'era divenuta deforme e mostruosa; la seconda volta con darsi in una notte tredici ferite, due nella gola, due nello stomaco e l'altre tutte nel ventre. Lascio pensare a V. S. qual fosse l'orrore che ci sopraprese, quando la trovammo tutta sangue e così malconcia. Ma più ci da stupore che, nell'istesso tempo che si era ferita, ella fa romore perché si vadia in cella, domanda il confessore, e in confessione gli consegna il ferro ch'adoprò, acciò non sia visto da alcuno (se bene, per quanto possiamo conghietturare, fu un temperino); basta che apparisce ch'ella sia pazza e savia nel medesimo tempo, e non si può concluder altro se non che questi sono occulti giudizi del Signore, il quale ancora la lascia in vita, quando per ragioni naturali doveva morire, essendo le ferite tutte pericolose, per quanto diceva il cerusico; ché perciò siamo state a guardarla continuamente giorno e notte. Adesso siamo qui tutte sane, per grazia di Dio benedetto, e lei si tiene in letto legata, ma con le medesime frenesie, che perciò stiamo in continuo timore di qualche altra stravaganza.
      Dopo questo mio travaglio voglio accennarle un'altra inquietudine d'animo sofferta da me. Dappoi in qua che V. S. per sua amorevolezza mi donò i 20 scudi che gli domandai (poiché alla presenza non ardii di dirle liberamente l'animo mio, quando ultimamente mi domandò se ancora avea avuto la cella) e ciò è ch'essendo io andata con i danari in mano a trovar la monaca che la vendeva, ella, ch'era in molta necessità, volentieri avrebbe accettati detti danari, ma di privarsi per amore della cella non si risolveva, sì che non essendo accordo infra di noi, non ne seguì altro, non pretendendo io altro che la presente comodità di quella stanzuola. La quale per aver accertata V. S. che avrei avuta, e non essendo sortito, ne presi grandissimo affanno, non tanto per restarne priva, quanto perché ho dubitato che V. S. si tenga aggirata, parendomi d'averle detto una cosa per un'altra, ancorché tale non fosse il mio pensiero; né mai avrei voluto aver questi danari, perché mi davano molta inquietudine. Che perciò, essendo sopravenuta alla madre Badessa certa necessità, io liberamente gliene prestai, ed ella adesso, per gratitudine e sua amorevolezza, m'ha promesso la camera di quella monaca ammalata; ch'io raccontai a V. S., la quale è grande e bella, e valeva 120 scudi ed ella si contenta di darmela per 80, che in questo mi fa grazia particolare, sì come in altre occasioni m'ha sempre favorita. E perché essa sa benissimo, c'hio non posso arrivare anco alla spesa di 80 scudi, s'offerisce di pigliar a questo conto i 30 scudi che già tanto tempo il convento ha tenuti di V. S,. purché ci sia il suo consenso, del che non mi par quasi di poter dubitare, parendomi che non sia da sfuggir questa occasione, essendo massime con molto mio comodo e satisfazione, la quale già so quanto a V. S. sia di gusto. Pregola adunque che mi dia qualche risposta, acciò io possa dar satisfazione alla madre Badessa, che dovendo fra pochi giorni lasciar l'offizio va di presente accomodando i suoi conti.
      Desidero anco di sapere come V. S. si sente adesso che l'aria è alquanto rasserenata, e non avendo altro, gli mando un poco di cotognato condito di povertà, cioè fatto con mele, il quale, se non sarà il caso per lei, forse non spiacerà agli altri; alla cognata non saprei che mandarle, già che niente gli piace. Pure se avessi gusto a cosa alcuna fatta da monache, V. S. ce lo avvisi, che desideriamo di dargli gusto. Non mi sono scordata dell'obbligo che tengo con la Porzia, ma per ancora non m'è possibile il far cosa alcuna. Intanto se V. S. avrà avuti gli altri ritagli promessimi, avrò caro che me li mandi, aspettandoli io per metterli in opera con quelli ch'ho avuti.
      Aggiungo di più che, mentre scrivo, la monaca suddetta ammalata ha avuto un accidente tale che pensiamo che sia per morire in breve; a tal che mi bisognerà dar il restante dei danari a Madonna, acciò possi far le spese necessarie per il mortorio.
      Mi ritrovo nelle mani la corona d'agate donatami da V. S. la quale a me è superflua e inutile, e parmi che starebbe bene alla Cognata. La mando adunque a V. S., acciò veda se si contenta di pigliarla, e in cambio mandarmi qualche scudo per questo mio bisogno, che, se piacerà a Dio, credo pure che sarà l'ultimo di tanto gran somma; e per conseguenza non sarò più astretta ad infastidir V. S. ch'è quello che più mi preme. Ma infatti non ho, né voglio aver altri a chi voltarmi, salvo che a Lei e a Suor Luisa mia fedelissima, la quale per me si affatica quanto può; ma finalmente siamo riserrate e non aviamo quell'abilità che molte volte ci bisognerebbono. Benedetto sia il Signore che non lascia mai di sovvenirci; per amor del quale prego V. S. che mi perdoni se troppo l'infastidisco, sperando che l'istesso Signore non lascierà irremunerati tanti beni che ci ha fatti e fa continuamente, che di tanto lo prego con tutto l'affetto, e Lei prego che mi scusi se qui saranno degli errori, chè non ho tempo per rileggere questa lunga diceria.

      sua figliuola Affezionatissima
      S. Maria Celeste.